Casalino e i segreti di Pulcinella

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di Giacomo Menegus

Hanno fatto molto scalpore le frasi con le quali il Portavoce del Presidente del Consiglio, Rocco Casalino, in un messaggio audio diffuso da alcune testate giornalistiche online, ha prefigurato una “mega-vendetta” contro i funzionari del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rei di ostacolare l’individuazione delle risorse necessarie per l’attuazione delle promesse elettorali fatte dalle forze di Governo.

Questo breve contributo intende offrire qualche spunto di riflessione a proposito della legittimità diffusione dell’audio, lasciando in disparte ogni considerazione sul merito dello spoils system minacciato da Casalino (sul quale v. già in questo giornale Di Cosimo).

Intervenendo a difesa del proprio portavoce, il Presidente del Consiglio ha affermato che «la diffusione dell’audio che sta circolando in queste ore configura condotte gravemente illegittime che tradiscono fondamentali principi costituzionali e deontologici. Chiarito che trattasi di un messaggio privato, mi rifiuto finanche di entrare nel merito dei suoi contenuti».

In termini analoghi si è espresso anche il Presidente della Camera: «A me sembra assurdo che i giornalisti che ricevono il messaggio fanno uscire in ogni caso le proprie fonti».

La questione è dunque la seguente: la diffusione dell’audio è illegittima in quanto viola “fondamentali principi costituzionali e deontologici”?

Partiamo innanzitutto dal profilo costituzionale: la riservatezza delle comunicazioni è garantita dall’art. 15 Cost., che recita: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

Perché una comunicazione possa essere ricondotta nella tutela dell’art. 15 Cost., è opinione comune in dottrina che la stessa debba essere formulata da un soggetto (mittente) al fine di farla pervenire nella sfera di conoscenza di uno o più soggetti determinati (destinatari). Alla base della nozione costituzionale di comunicazione stanno quindi un requisito oggettivo, la determinatezza dei destinatari; e uno soggettivo, l’animus (intenzione) di esprimere un determinato pensiero nei confronti di una cerchia determinata di soggetti, escludendo i terzi dalla conoscenza dello stesso.

Non si ha pertanto comunicazione protetta ai sensi dell’art. 15 Cost. (ma semmai libera espressione del pensiero, ai sensi dell’art. 21 Cost.) quando i destinatari sono indeterminati nel numero (o tanto numerosi da far venir meno la riservatezza della comunicazione) o quando gli stessi sono fungibili (ovvero, sotto il profilo qualitativo, il destinatario potrebbe essere tanto Tizio quanto Sempronio; si pensi ad es. al caso dei video on-demand).

La semplice intenzione di escludere i terzi non è apparsa tuttavia sufficiente per ricondurre una forma di comunicazione nell’alveo dell’art. 15 Cost.: assume in proposito un ruolo decisivo anche il mezzo prescelto dal mittente, che dev’essere convenzionalmente riconoscibile come segreto. Per meglio comprendere tale requisito, si può ricorrere a un esempio tratto da un noto manuale di diritto costituzionale: «Se Tizio scrive una “lettera aperta” ad un quotidiano, egli lo fa per dare al suo pensiero la maggior divulgazione possibile; se invece scrive una lettera in busta chiusa ad un amico, ciò che vuole è che il suo pensiero sia noto solo al destinatario: nel primo caso si ricade nell’art. 21 Cost., nel secondo nell’art. 15».

Proprio partendo dagli elementi suddetti (animus, determinatezza e infungibilità dei destinatari, mezzo di comunicazione idoneo a mantenere la segretezza della comunicazione) si dovrebbe verificare se l’audio in questione sia o meno una comunicazione tutelata dall’art. 15 Cost. Il caso del messaggio di Casalino è però tutt’altro che semplice, dal momento che gli stessi contorni della vicenda sono incerti.

Mentre non è in discussione che il messaggio audio (via WhatsApp o Telegram) sia astrattamente idoneo a garantire la segretezza della comunicazione e che il requisito della infungibilità ricorra in capo ai destinatari, sembra più difficile ritenere sussistenti gli altri elementi menzionati. Per quanto concerne l’animus, il Portavoce-mittente vuole infatti chiaramente che il contenuto della sua comunicazione sia pubblicato dai giornalisti-destinatari; quello che vuole che resti segreto è semmai l’identità del mittente (dice infatti: «La metti come fonte parlamentare però, eh»).

Altro aspetto problematico è quello del numero dei destinatari. La difesa del Portavoce, affidata al blog dei 5S, imputa la diffusione dell’audio a due giornalisti dell’Huffington Post. Dalla replica che Lucia Annunziata fa sul suo blog, sembrerebbe invece che l’audio in questione non sia stato indirizzato da Casalino ai soli giornalisti chiamati in causa – che negano in effetti di averlo condiviso con terzi (v. qui) – ma piuttosto ad una platea più ampia di cronisti; tanto che i contenuti della comunicazione sono stati riportati contestualmente da più quotidiani distinti (v. anche quanto scrive in merito Marco Lillo sul Fatto Quotidiano).

Se si passa poi al profilo deontologico della vicenda, appare ancora più arduo riscontrare delle violazioni connesse alla diffusione dell’audio. Quel che si lamenta, nel caso di specie, è sostanzialmente la violazione della riservatezza richiesta dalla fonte della notizia. Ma va ricordato che l’indicazione della fonte della notizia è la regola generale dell’attività giornalistica, mentre la riservatezza sulla stessa è l’eccezione. Eccezione che, in questa ipotesi, si sarebbe potuta motivare solo per il carattere fiduciario delle notizie comunicate (v. art. 2, comma 3, legge 3 febbraio 1963, n. 69, Ordinamento della professione di giornalista; nonché art. 9, comma 5, del Testo unico dei doveri del giornalista, come pure precedentemente la Carta dei Doveri del Giornalista). Visto che non è chiaro chi abbia diffuso l’audio online, è difficile verificare la sussistenza di tale carattere; ma se si dà per buona la ricostruzione dell’Annunziata, secondo la quale vi sarebbe una prassi per cui il Portavoce del Presidente del Consiglio passa con una certa frequenza informazioni a diverse testate giornalistiche perché queste le pubblichino (con le formule “fonti vicine a…” e simili), mi pare difficile ritenere sussistente tale rapporto fiduciario.

Se poi si considerano i soggetti tra i quali concretamente la comunicazione è intercorsa – Portavoce del Presidente del Consiglio, da una parte, e una platea più o meno ampia di giornalisti, dall’altra – diventa ancora più difficile sostenere che si tratti di una “comunicazione riservata”: entrambe le parti della comunicazione appartengono infatti all’Ordine dei Giornalisti e rispondono alla medesima deontologia, che vuole l’attività giornalistica informata all’obbligo inderogabile del «rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede» (art. 2, comma 3, legge 3 febbraio 1963, n. 69).

In via di principio, il Portavoce-mittente non avrebbe pertanto dovuto chiedere di rimanere “segreto”, attribuendo ad altri le proprie dichiarazioni, come pure i giornalisti-destinatari non avrebbero dovuto assicurare allo stesso tale “segretezza”. E ciò vale a prescindere dal fatto che, nella realtà di tutti i giorni, le cose funzionino in modo ben diverso.

In conclusione, pur con le incertezze del caso, la diffusione dell’audio del Portavoce del Presidente del Consiglio non sembra integrare gravi violazioni di principi costituzionali e deontologici. Chi sarà probabilmente chiamato a rispondere dell’osservanza dei propri obblighi deontologici è invece lo stesso Portavoce del Presidente del Consiglio, giornalista professionista; l’Ordine della Lombardia (al quale è iscritto) ha infatti avviato l’iter per la trasmissione del file audio al Consiglio di disciplina territoriale, che verificherà se «le dichiarazioni del giornalista professionista Casalino, il loro tenore e l’uso del linguaggio siano pertinenti, continenti e compatibili con gli articoli 2 e 11 della legge professionale n. 69 del 3 febbraio 1963».

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