‘Questi sono i nodi’. Pandemia e strumenti di regolazione: spunti per un dibattito

Print Friendly, PDF & Email

di Edoardo Chiti

Pubblichiamo questo scritto di Edoardo Chiti, invitando chi ne ha interesse ad intervenire proponendo risposte ai fondamentali quesiti che egli pone

1. Il punto di vista. La scienza del diritto pubblico è stata molto reattiva: posta di fronte al numero sempre crescente di misure adottate nei vari ordinamenti per fronteggiare il dilagare del contagio, ha avviato un’opera meritoria di censimento e catalogazione, esemplificata, nel nostro paese, dai tentativi di organizzare per fonti un materiale ormai sovrabbondante. Al lavoro di inventario ha affiancato una riflessione sui problemi posti da questi sviluppi, con una particolare attenzione, nella discussione italiana, assai critica e decisamente poco compiacente, all’efficacia degli strumenti di governo della crisi sanitaria, alle gravi disfunzioni del rapporto tra centro e periferie, agli interventi necessari per la razionalizzazione amministrativa, a partire dal sistema sanitario nazionale, e per la ricostruzione economica.

Da parte mia, vorrei proporre un punto di vista diverso: non alternativo a quello prevalente nella discussione in corso, ma complementare; e forse capace di arricchire questa discussione o articolarla ulteriormente. Ciò che mi interessa non è tanto esaminare i singoli aspetti degli sviluppi giuridici in atto, che pure sono essenziali per ricavare una comprensione precisa della realtà giuridica, quanto provare a cogliere alcuni nodi di fondo, alcune questioni che la pandemia fa emergere in tutta la loro complessità e delle quali una specifica componente del diritto pubblico, il diritto amministrativo, è chiamata a farsi carico. Sono ‘nodi’ perché individuano problemi che non hanno una risposta certa. La ricerca di soluzioni giuridiche, naturalmente, resta interna all’orizzonte di una riflessione sulle questioni con le quali il diritto amministrativo dovrà misurarsi. Ma ciò che conta, in questo momento, è soprattutto mettere a fuoco la complessità dei problemi, il fatto che essi sono il frutto di sviluppi essenzialmente politici, spesso incompiuti o irrisolti, la possibilità che il diritto amministrativo se ne faccia utilmente carico. I nodi sui quali vorrei portare l’attenzione, poi, sono di un tipo particolare, perché potrebbero richiedere un ripensamento del progetto regolatorio che il diritto amministrativo persegue. Nel farvi fronte, in altri termini, il diritto amministrativo potrebbe ridefinire alcune delle sue finalità consolidate.

Mi limiterò a tracciare i contorni generalissimi dei problemi: gli inconvenienti e i limiti di un approccio di questo tipo sono ovvi, ma questo scritto vuole indicare una possibile direzione della riflessione giuridica, piuttosto che ripercorrere un cammino già compiuto. Muovo, in questo tentativo, da due presupposti.

Il primo è che la pandemia sia un fenomeno che avvia dei processi di trasformazione non transitori. Per le sue specifiche caratteristiche – essenzialmente, la rapidità di diffusione del virus e la capacità di disegnare un’onda altissima – essa ha creato un’emergenza sanitaria, acuita dall’assenza di programmazione di una risposta pandemica. Ma questa emergenza sanitaria, sia per il suo impatto diretto, sia per le risposte degli Stati, determina a sua volta problemi economici, sociali e istituzionali che tendono a scardinare gli assetti consolidati. La pandemia, cioè, non è una parentesi, un evento raro che può essere risolto e superato con una procedura sanitaria di emergenza. È piuttosto un fenomeno che impone agli ordinamenti statali di ridefinire le proprie agende politiche, i propri assetti istituzionali e gli stili di vita delle proprie collettività.

Il secondo presupposto è che i processi innescati dalla pandemia non riguardino solo l’economia, la società e gli assetti istituzionali, ma anche il sistema giuridico, inclusa la sua componente amministrativistica.

Dunque, quali sono i nodi?

2. Come governare nuove forme di autorità? Seppure in modi diversi e muovendo da prospettive politiche differenti, buona parte dei governi dei paesi europei colpiti dal virus hanno adottato, in risposta all’emergenza sanitaria, misure draconiane di lockdown. Queste misure lasceranno gradualmente il passo a misure più sottili, volte a regolare le attività dei singoli e delle collettività in un contesto generale nel quale le varie regioni del pianeta si infetteranno reciprocamente a più riprese. Le discussioni in corso nei vari paesi sulla cosiddetta fase 2 mostrano quanto possano variare le decisioni pubbliche sulla riapertura dei diversi tipi di attività, nonostante i parametri tecnici che l’Organizzazione mondiale della sanità suggerisce ai governi di tenere in considerazione. Sotto la superficie di questa grande varietà di orientamenti, però, si muove una tendenza che accomuna i vari paesi: le decisioni sui modi di svolgimento delle varie attività della vita pubblica, economica e sociale ai tempi della pandemia dipenderanno, in ultima istanza, dalla capacità tecnica dei governi di individuare e isolare le persone in grado di propagare il contagio. Vanno in questa direzione non solo l’esperienza della Corea del Sud, che ha attivato un vero e proprio protocollo di tracciamento, test e isolamento delle persone entrate in contatto con i positivi, basato sul ricorso sistematico a tecnologie digitali, ma anche le opzioni prese in considerazione da vari paesi europei, incluso il ricorso ad app di tracciamento dei contatti di cui si discute in Italia, che dovrebbe avvisare gli utenti che entrano in contatto con un positivo. Lo scenario possibile è quello di una discriminazione legale dei soggetti che possono trasmettere il virus, individuati attraverso l’uso delle nuove tecnologie, e di una conseguente limitazione di varie loro libertà, a partire da quella di movimento. Tutto ciò in un quadro complessivo di aperture differenziate delle attività produttive e sociali, definito anche attraverso modelli matematici di previsione dell’andamento della pandemia.

La scelta di utilizzare strumenti di discriminazione legale basati sulle nuove tecnologie non è inevitabile e neppure neutrale. Si tratta – è bene ricordarlo – di una scelta essenzialmente politica. Come tale, essa è ovviamente contestabile ed effettivamente oggetto di critiche anche radicali, tanto da un punto di vista liberale classico, orientato alla protezione delle libertà individuali, quanto nella prospettiva libertaria che contesta ogni forma di dominazione dell’uomo sull’uomo, esemplificata dalle posizioni quasi cospiratorie espresse da Giorgio Agamben contro l’avvento di un sistema di sorveglianza di massa. Ma si tratta – è bene ricordare anche questo – di una scelta tutt’altro che ingiustificabile da parte delle istituzioni politiche, tanto più in un contesto nel quale le opzioni politiche sono limitate e una di esse, quella relativa a restrizioni minime nella prospettiva della immunità di gregge, è del tutto irrealistica in un ordinamento liberal-democratico a causa dell’alto numero di morti dei contagiati che comporta.

Il probabile ricorso a strumenti di discriminazione legale basati sulle nuove tecnologie, però, pone una serie di questioni per le quali il diritto amministrativo – in quanto disciplina volta allo stesso tempo a fondare il potere amministrativo e a strutturarne l’esercizio – può e deve trovare risposte convincenti. Il compito non è quello di intervenire ex post, per individuare e risolvere i problemi posti dai nuovi strumenti che saranno messi a punto, ma piuttosto quello di contribuire alla loro messa a punto, portando dentro al processo di progettazione tecnica le questioni giuridiche che questa nuova forma di autorità pone. Ingegneri e giuristi, insomma, dovrebbero lavorare insieme, in modo tale che gli strumenti siano congegnati in modo tale da permettere lo sviluppo di un insieme di regole di diritto amministrativo capaci di governarne utilmente il funzionamento. Le questioni giuridiche sono numerose. Anzitutto, come tutelare i dati personali in un contesto che promette di utilizzare in modo sistematico una grande quantità di informazioni che riguardano vari aspetti della vita di una persona e portano a definire il suo grado di pericolosità sociale nella pandemia? Dobbiamo ripensare radicalmente la disciplina attuale, insieme alla cultura politica che la sostiene? Oppure questa disciplina può risultare utile anche rispetto alla nuova realtà? In secondo luogo, quale ruolo va riservato alla discrezionalità amministrativa in procedure che saranno dominate dall’intelligenza artificiale? Quale spazio deve essere mantenuto, in altri termini, per la ponderazione di interessi da parte della pubblica amministrazione e per la sua valutazione di opportunità nella procedura? E come regolare, per converso, l’uso dell’intelligenza artificiale? Infine, in quale modo si può evitare che questa nuova forma di autorità operi esclusivamente come meccanismo di sorveglianza? Sarebbe possibile, ad esempio, accompagnarne l’uso con strumenti diversi, incentrati sulla informazione e sulla responsabilizzazione dei cittadini, coinvolti direttamente nell’attività di riduzione dei rischi di contagio?

Questa lunga serie di domande individua lo spazio che si apre al diritto amministrativo, chiamato a rivisitare la doppia funzione di power-development e di power-checking che sta storicamente al centro del suo progetto regolatorio in modo tale da tenere conto delle nuove forme assunte da un’autorità intenzionata a sfruttare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. Si potrebbe ritenere che si tratti di questioni circoscritte alla specifica situazione della discriminazione legale dei soggetti contagiosi. Ma è chiaro che questa specifica situazione, oltre a essere importante in sé, rappresenta anche il banco di prova per valutare la capacità degli ordinamenti di individuare soluzioni giuridiche adeguate a un problema destinato a presentarsi in molte altre circostanze presenti e future, anche al di fuori di una pandemia. Naturalmente, non siamo in presenza di questioni del tutto nuove. Alcune di esse, ad esempio quelle relative alla disciplina dell’intelligenza artificiale nell’attività amministrativa e alla rilevanza della discrezionalità amministrativa, erano già presenti, seppure in forma latente, nella riflessione sulle trasformazioni del diritto amministrativo precedente all’esplosione della pandemia. Ma il contagio ha agito da catalizzatore, accelerando gli sviluppi in corso e rendendo le questioni ineludibili e urgenti.

3. Come governare il potere privato? Nel tentativo di gestire l’emergenza sanitaria, tutti i governi europei hanno promosso lo svolgimento a distanza di varie attività amministrative, inclusa l’istruzione scolastica e universitaria. Ciò ha richiesto un uso molto intenso da parte delle amministrazioni di piattaforme digitali private, a partire da quelle di Google, che offrono servizi di condivisione dei contenuti tra gruppi di utenti. Nello stesso momento in cui i governi procedevano alla chiusura degli spazi fisici, cioè, le piattaforme private hanno offerto alle amministrazioni uno spazio digitale per lo svolgimento di un numero crescente di attività destinate alla collettività. Se questo spazio digitale ha permesso ad alcune componenti della macchina amministrativa di continuare a svolgere le proprie attività, ha anche ulteriormente rafforzato la già notevole rilevanza delle piattaforme private. Nell’arco di poche settimane, le piattaforme digitali sono divenute un impressionante archivio di informazioni e dati relativi alle attività pubbliche, oltre a uno strumento indispensabile per il loro svolgimento. Ciò ha dato nuova linfa a un processo già in corso: le principali piattaforme si fanno ‘potere’, un potere che si esercita sia sugli altri privati sia sui poteri pubblici; e che, soprattutto, tende a farsi esso stesso ‘potere pubblico’, con una propria comunità di consociati, un suo sistema giuridico e, appunto, un proprio spazio digitale.

Nelle attuali circostanze, il ricorso massiccio alle piattaforme digitali per consentire il funzionamento di attività amministrative rappresenta uno sviluppo probabilmente inevitabile. È il frutto, nondimeno, di una scelta politica: le politiche dei paesi europei e della stessa Unione precedenti allo scoppio della pandemia hanno promosso la costruzione di una varietà di piccole piattaforme digitali pubbliche, relative a specifiche attività e in molti casi non ancora realizzate, piuttosto che investire su grandi piattaforme pubbliche capaci di operare come veri e propri ecosistemi digitali, all’interno dei quali si svolgono le relazioni tra amministrazioni e amministrati digitali.

Il tempo dirà se questa scelta politica è destinata ad essere o meno modificata. L’attuale situazione, in ogni caso, pone delle questioni che chiamano in causa il diritto amministrativo. Come governare l’azione di piattaforme digitali privati che si fanno ‘potere pubblico’? Possiamo utilizzare i tradizionali strumenti della concorrenza e della regolazione, divenuti, nel corso del tempo, sempre più raffinati grazie alla pratica delle autorità di regolazione di settore attive in Italia e negli altri Stati europei? Oppure questi strumenti, sui quali la Commissione europea continua a fare affidamento nella sua strategia per il futuro digitale dell’Europa, non sono sufficienti perché sono stati concepiti per le situazioni nelle quali un privato si faccia potere e diventi minaccioso rispetto ad altri privati all’interno del mercato, piuttosto che per far fronte alla trasformazione di un potere privato in potere pubblico? In questo caso, quali strade alternative possiamo battere? Dobbiamo semplicemente respingere in toto questo sviluppo, nel presupposto che i nuovi poteri siano illegittimi? Se dobbiamo accettarlo, anche solo in obbedienza al principio di realtà, come possiamo tenere sotto controllo i nuovi poteri e piegarli a principi e regole che ne fondino la legittimità? È sufficiente estendere l’ambito di applicazione del diritto amministrativo tradizionale? O c’è bisogno di battere strade nuove, calibrate rispetto alle specifiche caratteristiche dei nuovi poteri?

Valgono, per questa serie di domande, le stesse avvertenze fatte per il nodo precedente. Per organizzare delle risposte convincenti, il diritto amministrativo deve riuscire a rivisitare il proprio progetto regolatorio, in questo caso in modo tale da includere nel proprio campo di interesse non solo i poteri pubblici e i soggetti privati, dei quali conosciamo la tendenza a farsi, nel mercato, minaccia per altri privati, ma anche soggetti privati che tendano a divenire ‘potere pubblico’. Anche in questo caso, poi, non ci troviamo di fronte a questioni interamente nuove, ma a questioni che le risposte all’emergenza pandemica rendono non più eludibili. Del resto, esse vanno oltre la specifica situazione della gestione dell’emergenza e sono destinate a riproporsi nel prossimo futuro in contesti differenti.

4. Come gestire la iper-complessità del diritto amministrativo? I governi europei hanno risposto all’emergenza sanitaria in un modo che ha reso più complessa la coesistenza di principi e regole posti da fonti nazionali e fonti ultrastatali. Questo sviluppo è particolarmente evidente nel contesto dell’Unione. Gli Stati hanno adottato misure che derogano al diritto dell’Unione, ad esempio nell’ipotesi del ricorso alla clausola di salvaguardia generale del Patto di stabilità, o che ne sospendono de facto l’applicazione, come è avvenuto nel caso di Schengen a seguito della chiusura dei confini nazionali. Allo stesso tempo, l’Unione non ha predisposto una strategia unitaria di contrasto alla pandemia, ma ha tentato, piuttosto, di facilitare le risposte nazionali, attraverso misure di singole istituzioni, le principali delle quali sono le iniezioni di liquidità alle imprese e i programmi di acquisto di titolo di debito pubblico statali della Banca centrale europea, e introducendo una serie di discipline provvisorie, esemplificate dal ‘quadro temporaneo’ in materia di aiuti adottato dalla Commissione per consentire agli Stati membri di attenuare l’impatto economico della pandemia e dalle linee guida della stessa Commissione che consentiranno agli Stati di evitare acquisizioni opportunistiche da parte di gruppi non europei. Si tratta di processi tutt’altro che privi di implicazioni rispetto ai sistemi amministrativi nazionali. Essi vengono costruendo, infatti, un quadro giuridico di notevole complessità, fatto di più regimi amministrativi che esistono l’uno a fianco all’altro, in modi non sempre definiti in modo chiaro. Il diritto che le amministrazioni devono rispettare e attuare si fa ancora più denso e complesso che in passato. Spetta alle amministrazioni nazionali sbrogliare questa matassa giuridica e stabilire, di volta in volta, quali siano le norme rilevanti e quale disciplina complessiva vadano a comporre.

Questa particolare situazione non è il risultato di una dinamica interna al sistema giuridico, ma piuttosto l’effetto di una scelta politica. Se la pandemia è un fenomeno per definizione globale, gli ordinamenti politici hanno optato, per il momento, a favore di risposte nazionali, limitando al minimo la cooperazione internazionale e quella interna alle organizzazioni regionali, come mostra il sostanziale fallimento della negoziazione politica sulla mutualizzazione del rischio all’interno dell’Eurozona. Tra le due macro-opzioni politicamente possibili – da un lato, il potenziamento della interdipendenza e della solidarietà regionale e globale, dall’altro, l’isolamento nazionalistico – è a vantaggio della seconda che sembra pendere la bilancia. Ma i caratteri della pandemia e la necessità funzionale di una risposta quanto meno coordinata su scala globale suggeriscono che la paralisi collettiva che sta bloccando la cooperazione internazionale possa essere superata o quantomeno corretta.

Comprenderemo nel prossimo futuro in quale direzione si orienterà la politica degli Stati, dai quali dipende, in ultima istanza, la scelta tra una maggiore integrazione o un rinnovato isolazionismo. Per quel che qui interessa, occorre mettere a fuoco come la particolare posizione delle amministrazioni, chiamate, come si è detto, a gestire un diritto amministrativo iper-complesso, ponga una questione importante. Se il diritto amministrativo che emerge dalla gestione dell’emergenza pandemica è fatto di molti materiali che potrebbero non coesistere armonicamente, ma anzi entrare in conflitto tra loro, quali sono i criteri che le pubbliche amministrazioni potrebbero usare per ordinare tra loro le norme rilevanti? Sin qui, le amministrazioni hanno potuto contare sui modi che ciascun ordinamento statale ha messo a punto per regolare i rapporti tra fonti nazionali, europee, internazionali e globali. Le amministrazioni, cioè, sono state sottoposte al principio della rule of law, ovvero a un insieme di principi e regole poste da una molteplicità di fonti, ma sono state allo stesso tempo dotate degli strumenti necessari per ordinare le fonti che compongono il complessivo ‘diritto’ al quale sono sottoposte. Sappiamo bene che questi strumenti non sono di facile applicazione. Vi sono, intanto, criteri diversi per le varie fonti ultrastatali, così che si spazia dalla massima capacità di penetrazione delle fonti del diritto europeo, assicurata attraverso la combinazione delle dottrine del diretto effetto e della supremazia, al filtro opposto dagli Stati all’ingresso del diritto internazionale, alla capacità del diritto globale, soprattutto nelle fonti di soft law, di aggirare i cancelli degli ordinamenti statali e di essere applicabile dalle amministrazioni nazionali. Questi criteri plurali, poi, non sono stati davvero in grado di gestire la complessità della disciplina che le amministrazioni devono rispettare, come mostra, ad esempio, la lunga vicenda giurisprudenziale sulle sanzioni della Consob. Si riveleranno utili in momento in cui i conflitti sono destinati ad aumentare per intensità e complessità? O è il momento di immaginare criteri diversi? Non dovremmo forse chiederci se sia possibile sviluppare la riflessione sulla rule of law amministrativa e sui valori che essa promuove in un modo tale da permetterle di ordinare in maniera più efficace le varie componenti del diritto, magari lasciando un margine di scelta maggiore alla stessa amministrazione?

Come i precedenti, anche questo problema richiede, per essere affrontato, una rivisitazione del progetto regolatorio del diritto amministrativo, che deve farsi carico della individuazione di criteri per gestire la sempre maggiore complessità del diritto al quale le amministrazioni debbono dare attuazione, anche esplorando la possibilità di una maggiore articolazione della rule of law. Il problema della iper-complessità del diritto amministrativo, peraltro, non è nuovo, ma viene accentuato e aggravato dalle misure attraverso le quali i vari ordinamenti hanno tentato di contrastare la pandemia, che moltiplicano i possibili conflitti tra fonti.

5. Come sostenere una ricostruzione allo stesso tempo economica ed ecologica? Il quarto e ultimo nodo deriva dal problema politico più complesso. Tutti i governi europei hanno risposto all’emergenza sanitaria attraverso misure che hanno paralizzato l’economia: non solo quella nazionale, ma anche quella europea e globale. Non si tratta di un effetto provvisorio, destinato a essere rapidamente superato una volta che le attività economiche siano riavviate: ‘la madre di tutte le recessioni è arrivata’, ha scritto Unipol senza troppi giri di parole; e i governi dovranno gestirla, se si vuole evitare lo spettro di una depressione economica permanente. Si può considerare l’attuale situazione come una recessione da isolamento, secondo la qualificazione che ne ha dato il Fondo monetario internazionale, e prospettare il ricorso agli strumenti necessari per gestire questo tipo di recessione. Ma il quadro è ancora più complesso: il fatto che la recessione sia stata innescata da una pandemia e la circostanza che questa pandemia possa essere considerata non come un ‘cigno nero’ ma come la prevedibile (e prevista) conseguenza delle molteplici alterazioni dell’ecologia terrestre, capaci di aprire nuovi spazi ai patogeni, impongono di considerare la ricostruzione non solo come un problema economico, ma anche come un problema ecologico. Siamo di fronte, in altri termini, a un problema la cui gestione richiede non solo misure economiche ma anche interventi di prevenzione sistemica delle pandemie che implicano una ridefinizione del rapporto tra l’uomo e la natura.

Sin qui, la discussione politica ha battuto essenzialmente il versante economico della crisi, dagli strumenti immediatamente utili alla gestione dell’emergenza economica generata da quella sanitaria agli strumenti utilizzabili per la successiva ricostruzione delle economie. Non ha neppure sfiorato, invece, la questione ecologica, che è oggetto di un autonomo processo politico, precedente allo scoppio della pandemia. Le due questioni, però, non possono essere separate: semplicemente, non vi può essere alcuna ricostruzione economica duratura al di fuori di una politica di prevenzione sistemica delle pandemie, la quale, a sua volta, non può essere incentrata sul semplice rafforzamento degli strumenti di controllo sanitario sui prodotti alimentari ma esige il recupero dell’equilibrio naturale dell’ecologia terrestre. Lo sviluppo della discussione politica, il cui esito non è al momento prevedibile, dirà se e in quale modo i due temi saranno collegati tra loro in un discorso pubblico. Ma è certo che la questione della ricostruzione economica e quella della prevenzione sistemica delle pandemie sono già inevitabilmente intrecciati in un nodo gordiano che la politica sarà chiamata a tagliare.

In attesa che la riflessione politica faccia il suo corso, è utile osservare come questa situazione – la necessità, cioè, di sostenere una ricostruzione allo stesso tempo economica ed ecologica – ponga anche alcune questioni di cui il diritto amministrativo dovrebbe farsi carico. È realistico immaginare che un processo di ricostruzione di questo tipo possa essere sostenuto dall’attuale strumentario amministrativistico, strutturato intorno a due edifici principali, quello della ‘costituzione economica’ e quello della tutela ambientale, collegati tra loro per mezzo del principio dello sviluppo sostenibile e della rilevanza della tutela ambientale come regolazione sociale? È sufficiente puntare sull’armamentario consolidatosi all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso e incentrato sulla disciplina della concorrenza, della regolazione economica indipendente e della regolazione sociale, con la sua logica di approfondimento e miglioramento del mercato? O c’è bisogno di una nuova costruzione giuridica, che integri in modo diverso le esigenze del mercato con quelle della ecologia terrestre? Quali insegnamenti, ad esempio, possiamo trarre dalle riflessioni già avviate, come quella sottesa al Green Deal europeo, la strategia relativa ai cambiamenti climatici che mira a costruire un’economia ‘climaticamente neutra’, ovvero a zero emissioni, e sta producendo una disciplina della ‘transizione ecologica’ che estende la sostenibilità a molte politiche europee e la accentua al punto da richiedere la promozione di una ‘bioeconomia’? E sarebbe possibile andare oltre lo stesso principio di sostenibilità, per ridefinire i termini complessivi del rapporto tra mercato ed ecologia?

Anche in questo caso, ci troviamo di fronte a questioni che non sono nuove ma si radicalizzano a seguito della pandemia. Esse contribuiscono, peraltro, a ridefinire il progetto regolatorio del diritto amministrativo. Richiedono, infatti, una discussione aperta su alcuni fondamenti profondi del diritto amministrativo, chiamato a riconoscere che l’azione amministrativa non si realizza solo all’interno di una comunità politica o dello spazio socio-economico del mercato, come presupposto dallo statuto tradizionale del diritto amministrativo, ma anche nel contesto dell’ambiente naturale; e chiamato, di conseguenza, a riconoscere che il destinatario dell’azione amministrativa non rileva solo come cittadino della comunità politica di riferimento o utente, consumatore, operatore economico di un segmento del mercato, ma anche come essere umano chiamato a vivere in uno spazio naturale. Lo spazio che si apre alla ridefinizione del diritto amministrativo è anche quello di una discussione sulla condizione umana sul pianeta, che ci piaccia o meno.

6. Giorni interessanti. La pandemia non ha solo avviato un processo di trasformazione di molti singoli aspetti del sistema giuridico. Ha anche fatto emergere e reso più urgenti alcune questioni complesse, frutto di sviluppi politici spesso irrisolti, di cui il diritto amministrativo può e deve farsi utilmente carico. Questi nodi richiedono al diritto amministrativo uno sforzo particolare: non si tratta semplicemente di individuare soluzioni tecnico-giuridiche adeguate, ma piuttosto di inquadrare la messa a punto di tali soluzioni in un più ampio processo di ripensamento del progetto regolatorio che il diritto amministrativo vuole realizzare. Dalle risposte che l’ordinamento e le sue istituzioni sapranno dare dipenderà lo stato di salute del diritto amministrativo, la sua capacità di contribuire alla risoluzione dei problemi che gli ordinamenti politici sono chiamati ad affrontare. È un compito che coinvolge direttamente anche la scienza giuridica, chiamata a contribuire con il suo sguardo doppio, allo stesso tempo da vicino e da lontano, e con la sua capacità di progettazione del diritto amministrativo.

Please follow and like us:
Pin Share
Condividi!

Lascia un commento

Utilizziamo cookie (tecnici, statistici e di profilazione) per consentire e migliorare l’esperienza di navigazione. Proseguendo con la navigazione acconsenti al loro uso in conformità alla nostra cookie policy.  Sei libero di disabilitare i cookie statistici e di profilazione (non quelli tecnici). Abilitandone l’uso, ci aiuti a offrirti una migliore esperienza di navigazione. Cookie policy

Alcuni contenuti non sono disponibili per via delle due preferenze sui cookie!

Questo accade perché la funzionalità/contenuto “%SERVICE_NAME%” impiega cookie che hai scelto di disabilitare. Per porter visualizzare questo contenuto è necessario che tu modifichi le tue preferenze sui cookie: clicca qui per modificare le tue preferenze sui cookie.