Perché non si può cancellare il debito pubblico, spiegato a mia figlia

Print Friendly, PDF & Email

di Piero Cecchinato

Piccola: “Papà, perché non cancellare buona parte del debito pubblico comprato dalla Bce in tutti questi anni? In fondo, non faremmo un torto a privati, imprese e famiglie, ma ad una banca centrale. Che è colei che il denaro lo crea. E se lo crea, potrà anche distruggerlo”.

Papà: “Piccola, sarebbe un’idea fantastica, se solo la moneta emessa da una banca centrale costituisse un elemento dell’attivo del proprio bilancio. Se funzionasse così, saremmo di fronte a qualcosa di magico.  Ma non funziona così. E c’è una ragione precisa”.

Piccola: “Questa è solo una trovata delle tue per confondere le acque. Tipo quando dici che una sola TV a pagamento sia più che sufficiente perché il nostro telecomando non ne terrebbe di più. Secondo me non è vero. E secondo me si può cancellare il debito pubblico. E’ solo una questione di volontà. E poi che noia questa cosa del bilancio. Sembra proprio un formalismo fatto apposta per confondere. Dì piuttosto che non vuoi”.

Papà: “Vedi, ogni agente – diciamo così – economico, necessita di un patrimonio per fare le cose. E in un patrimonio ci stanno i debiti e i crediti. La moneta che emette una banca centrale fa parte dei suoi debiti”.

Piccola: “Che assurdità. Una banca produce moneta e questa rappresenterebbe un suo debito? Un’entità economica che produce debiti che razza di entità economica è?”.

Papà: “Si tratta dell’entità economica più importante di tutte, perché deve garantire che tutte le altre possano funzionare. Per questo ogni moneta che stampa è debito, per garantire il funzionamento di tutte le altre. Ricordi quella vecchia banconota che ti regalò tuo nonno, quella dove sta scritto “Pagabili a vista al portatore”? Ecco, anche le monete di oggi sono pagabili a vista. Solo che non si convertono più in oro, come succedeva tanti anni fa, bensì in fiducia. Fiducia nel fatto che quella moneta mantenga un certo valore nel tempo”.

Piccola: “Mi sono persa”.

Papà: “L’abbandono del sistema Gold standard, che durò fino al 1971, quando lo Smithsonian Agreement mise fine agli accordi di Bretton Woods, non significa che la natura della moneta sia cambiata. La moneta è debito perché chi la emette è tenuto a mantenerne saldo il valore nel tempo attraverso una serie di delicati accorgimenti. Solo così la moneta può mantenere le sue due funzioni principali: costituire una riserva di valore e fungere da mezzo di scambio”.

Piccola: “Questo lo dici tu”.

Papà: “Veramente lo dicono persone ben più qualificate di me. Prendi Keynes, quando spiegava che “Non si conserva la moneta per se stessa, ma per il suo potere d’acquisto, cioè per ciò che la moneta può acquistare” (in Trattato della moneta, volume primo, 1979, pagg. 51-52). O quando diceva che “Un piano organico e costruttivo deve prevedere un metodo per regolare l’offerta di moneta e di credito con l’obiettivo di mantenere stabile, per quanto possibile, il livello dei prezzi interni”, ossia il potere d’acquisto della moneta (in Esortazioni e profezie, 2011). Ciò è possibile solo in quanto la moneta rappresenti un debito di fiducia”.

Piccola: “Ti prego, risparmiami i classici. Va bene: formalmente un debito per chi la emette. Ma questo che c’entra col fatto che il debito pubblico comprato dalla Bce non si possa cancellare? In fondo, stiamo parlando della banca centrale, la banca di tutti noi”.

Papà: “La banca di tutti noi che però rimane un agente economico che deve avere un certo patrimonio per fare le cose”.

Piccola: “E allora la banca centrale se la riprenda in mano lo Stato, al diavolo l’indipendenza”.

Papà: “Qui entriamo in un altro ordine di problemi che è meglio non affrontare oggi. Comunque, anche uno Stato ha un patrimonio da salvaguardare”.

Piccola: “Lo Stato? Lo Stato fa quello che vuole”.

Papà: “Veramente no. Lo Stato non è Dio. Anzi, lo Stato è l’ultima cosa a cui devi pensare quando pensi a Dio. Mi raccomando, questa cosa ricordatela”.    

Piccola: ”Insomma, ogni moneta è debito, e allora?”

Papà: “Allora i debiti li devi pareggiare. Una banca centrale emette moneta accrescendo di debiti il proprio patrimonio e per pareggiare questi debiti è costretta a detenere delle attività di valore corrispondente. Tanti debiti, altrettanti crediti, beni e valori. E fra i beni che la Bce ha acquisito per pareggiare le passività derivanti dall’emissione monetaria, vi sono proprio i titoli di stato. Prendi l’ultimo bilancio della Banca d’Italia, ad esempio, la nostra banca centrale che aderisce al sistema europeo che fa capo alla Bce. La moneta costituisce una passività iscritta al passivo dello stato patrimoniale alla voce ”Banconote in circolazione”, che al 31.12.2019 valeva euro 201.628.969.740, che viene pareggiata da un corrispondente accantonamento di attivi (crediti da rifinanziamento a istituzioni creditizie per operazioni di politica monetaria, i titoli di stato appunto, detenuti per finalità di politica monetaria, i crediti intra eurosistema equivalenti al trasferimento delle riserve alla banca centrale europea o l’oro, anche se l’oro è considerato infruttifero)”.

Piccola: “Quindi, rinunciare ai titoli di stato, cancellandoli, significherebbe creare un buco di bilancio da colmare, giusto?”       

Papà: “Esatto. E non potresti certo colmarlo emettendo altra moneta, perché così accresceresti ancor più i debiti. Inoltre, sottrarresti alla banca centrale la fonte di reddito derivante dagli interessi su quei titoli, ma non andiamo troppo oltre. Fermiamoci alla moneta come debito”.

Piccola: “Quindi?”

Papà: “In sostanza, se cancelli i titoli di stato, o la banca centrale fallisce come chiunque sia sommerso dai troppi debiti, oppure le banche aderenti al sistema europeo (e quindi in ultima istanza gli Stati) saranno costrette a ritrasferire in qualche modo risorse (e quindi saremmo daccapo, perché alla fine i soldi dovrebbero rimetterceli i cittadini con le tasse)”.

Piccola: “Mi ricorda la lezione di scienze di ieri, la legge della conservazione della massa: nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma”.

Papà: “Qualcosa del genere! La distruzione del debito pubblico si trasforma in tasse!”

Piccola: “Prendiamo un telecomando più grande?”

Please follow and like us:
Pin Share
Condividi!

2 commenti su “Perché non si può cancellare il debito pubblico, spiegato a mia figlia”

  1. Rimane allora da spiegare perché la monetizzazione del debito, vale a dire proprio ciò che l’autore dice che non si può fare, è pratica corrente negli USA, nel Regno Unito e altrove e lo è stato anche in Italia, e perché spesso i debiti vengono cancellati, così come avviene regolarmente nel settore privato.

    Rispondi
  2. Forse sarebbe più corretto dire che (in particolare nell’euro-sistema) la cancellazione del debito non si può fare in modo neutro, senza conseguenze. Non capisco la spiegazione forse troppo semplificata, ma nella sostanza sono d’accordo. Quello che poi non si spiega quale debito dovrebbe essere cancellato o monetizzato. C’è chi ne ha di più di qualcun altro. Già nel passato si invocava su questo forum l’economista Francesco Minenna noto nei media per aver argomentato contro il rispetto del capital key che nella politica monetaria della BCE serve a far rispettare l’equità fra stati debitori. L’idea dell’annullamento rimette sul tavolo lo stesso equivoco: annullare più debito di quegli stati che ne hanno di più o proporzionalmente al capital key? Il problema più profondo è tuttavia ancora un altro: come fare a gestire e a rimborsare il debito rimanente? L’unica soluzione immaginabile è una crescita economica sostenuta che automaticamente riduce il peso del debito e ne migliora quindi la sostenibilità. Ora, per far crescere l’economia europea e italiana servono riforme strutturali molto ambiziose a favore dell’investimento pubblico (più eccezionale, si tratta di interventi per correggere) ma soprattutto privato (quello che alla lunga conta). Si tratta di riforme della fiscalità, delle procedure amministrative in particolare nell’ambito dell’economia e delle imprese, e della giustizia (la riforma più difficile, perché istituzionale, procedurale e culturale). Gli altri paesi si sono attrezzati da decenni, chi più chi meno, per essere efficienti, competitivi, convergenti. Da Maastricht la strada era tracciata, il quadro è diventato più preciso con l’euro, con le riforme dopo la crisi del 2008/2011 e adesso di nuovo con il NGEu). L’Italia non solo non ha fatto le riforme chieste o suggerite dal euro-gruppo, dalla Commissione, dall’OCSE e dal FMI, ma non dispone nemmeno di un progetto in qualche misura condiviso. Tre quarti dei parlamentari appartengono a gruppi euroscettici (adesso o nel passato) o addirittura anti-europei. Solo ora con i fondi in arrivo dal NGEu le voci critiche si sono abbassate. Le posizioni antieuropee o meglio anti-euro sono atteggiamenti politici non tanto di dialogo con l’UE quanto di rissa politica interna. Queste posizioni sono o semplicemente sbagliate, basate su un’incomprensione della natura dell’UE e della moneta comune e delle conseguenze per i partecipanti, o quantomeno incoerenti: non si può chiedere la partecipazione all’euro e poi contestare le conseguenze che questa libera scelta implica. Ho fatto grande fatica a presentare un’interpretazione diversa, sia su questo forum (comenti e pezzo pubblicato il 21 aprile) sia su Lavoce.info (dove commento gli articoli su tema eurobond e recovery fund sin dal 23 marzo, data di un primo articolo di Giavazzi e Tabellini sugli eurobond seguito da molti altri). Sono uno dei pochi che nella discussione degli strumenti europei per combattere la crisi e far convergere le politiche economiche e finanziarie degli stati membri non hanno mai dovuto cambiare opinione. Mai qualcuno si è esposto per darmi ragione. L’aspetto più desolante è l’ignoranza, la superficialità e l’incapacità di riconoscere errori sia nell’opinione pubblica (media), sia nel dibattito politico (politici, partiti, programmi, dichiarazioni) sia in quello accademico (commenti degli “esperti”, giuristi, economisti e politologi). Si rileggano gli articoli (con i miei commenti) del prof. Marco Dani, professore sedicente europeista che a Trento insegna diritto comparato ed europeo, quindi è pagato dallo stato per trasmettere conoscenze razionali e coerenti proprio in queste materie: proprio su questo forum il prof. Dani ha sostenuto tesi che ho contestato, ha risposto in modo supponente, senza argomentare, alle mie critiche, ha cambiato poi opinione senza ammetterlo espressamente e, dalla sua posizione fondamentalmente sbagliata e incoerente, ha pubblicato il 25 luglio un ultimo articolo dove il Recovery fund concepito in Francia, avallato dalla Germania, formulato dalla Commissione e approvato dal Consiglio del 21 luglio e definitivamente adottato il 17 dicembre viene presentato come uno stratagemma che equivale al commissariamento dell’Italia. Non è anche colpa sua che siamo arrivati a quel punto?

    Rispondi

Lascia un commento

Utilizziamo cookie (tecnici, statistici e di profilazione) per consentire e migliorare l’esperienza di navigazione. Proseguendo con la navigazione acconsenti al loro uso in conformità alla nostra cookie policy.  Sei libero di disabilitare i cookie statistici e di profilazione (non quelli tecnici). Abilitandone l’uso, ci aiuti a offrirti una migliore esperienza di navigazione. Cookie policy

Alcuni contenuti non sono disponibili per via delle due preferenze sui cookie!

Questo accade perché la funzionalità/contenuto “%SERVICE_NAME%” impiega cookie che hai scelto di disabilitare. Per porter visualizzare questo contenuto è necessario che tu modifichi le tue preferenze sui cookie: clicca qui per modificare le tue preferenze sui cookie.