Chi ha paura della democrazia?

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di Roberto Bin

Ne avevamo dato conto poco tempo fa. In vista delle elezioni di autunno in Calabria (per la regione) e in molti comuni grossi e piccoli, un collettivo di giovani aveva lanciato un appello, chiedendo aiuto per redigere un progetto di legge che consenta finalmente di votare a distanza. Ne è un uscito un testo molto ridotto, ma autoapplicativo, che consentirebbe a chiunque lo voglia – e dia congruo preavviso – di votare nella prefettura in cui è momentaneamente domiciliato. Il progetto è stato adottato dal presidente della prima commissione della Camera (Michele Brescia, M5S) che lo ha trasformato in una proposta di legge, sottoscritta da altri deputati del M5S (A.C. 3007). Tutto sembrava aver preso un bell’abbrivio ma, come spesso capita in Italia, improvvisamente tutto si è fermato. Perché? Chi ostacola una proposta che affronta un problema serio e non troppo difficile, come far votare le persone senza costringerle ad affrontare un viaggio che può essere parecchio lungo (non a caso sono elettori calabresi ad aver sollevato il problema), in un periodo (il prossimo autunno) in cui non si può  avere alcuna certezza sullo stato della pandemia?

Vi è anzitutto l’ostacolo burocratico, ossia il Ministero degli interni. E’ un mondo a sé, il regno della burocrazia più arcigna: sono tutti prefetti, anche i “tecnici”, e da un po’ anche il ministro; parlano il loro linguaggio, legiferano tramite circolare e condizionano qualsiasi scelta politica che debba avere il loro placet “tecnico”. C’è un bello studio di Marilisa D’Amico che risale a qualche anno fa (Amministrazione creatrice ed esecutrice del diritto, 2018), in cui si mette in evidenza quanta continuità storica vi sia nei comportamenti del Viminale tra il fascismo e i giorni attuali (par. 4): continuità che si manifesta nell’uso e abuso della circolare come strumento per disciplinare rapporti che dovrebbero essere riservati alla legge, soprattutto in materia di immigrazione, ma non solo.

La granitica difesa burocratica dell’esistente porta con sé la tendenza a opporsi a qualsiasi modificazione delle prassi consolidate, specie se connesse a momenti istituzionali fondamentali come le elezioni. Che vi siano schede elettorali “che viaggiano” da una regione all’altra preoccupa e disturba il buon funzionario, non istruito ad essere sensibile alle istanze di democrazia, che vorrebbero la rimozione degli ostacoli che complicano il diritto di voto. Da qui un’istintiva reazione di rigetto contro l’ipotesi di ammettere il voto per corrispondenza e di opporre ogni sorta di argomento: argomenti davvero sorprendenti se impiegati dal Ministero degli interni, come la difesa delle regioni e della loro autonomia legislativa in materia elettorale contro l’ipotesi di norme “autoapplicative” che verrebbero introdotte dalla legge dello Stato. Il diritto regionale è materia assai complicata, e bisognerebbe studiarlo a fondo prima di spendere questo tipo di argomenti. Chi se non lo Stato potrebbe disporre delle poste e degli uffici delle prefetture? E a chi spetta di assicurare i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117.2, lett. m)? E come sarebbe stato possibile che il Governo intervenisse – con decreto-legge per di più (d.l. 86/2020) – sostituendo parti della legge elettorale della Puglia con norme di immediata applicazione tese a tutelare il principio di parità di genere?

Ma basta davvero l’ostruzionismo delle strutture burocratiche per bloccare una legge voluta da una larga e convinta maggioranza politica? Qui sta il punto: esiste davvero una compatta maggioranza politica? Il M5S ha seguito il Presidente Brescia è ha sottoscritto in massa il progetto da lui presentato. L’on. D’Ettore (FI) ha presentato una proposta che recepisce la proposta del collettivo, con una variazione non decisiva. Il PD da tempo sostiene il pdl Madia, che intende introdurre il voto a distanza per le elezioni politiche e comunitarie e per il referendum, una proposta che da tempo galleggia in parlamento. Il neo-segretario Letta ha molto sottolineato l’importanza dei giovani e del loro apporto alla politica, sino al punto di suggerire la concessione del voto ai sedicenni. Tutto questo dovrebbe far prevedere che il PD accolga con entusiasmo l’iniziativa spontanea che parte da un collettivo di giovani, per di più del profondo Sud, che chiedono semplicemente di rimuovere un ostacolo all’esercizio del loro voto. Ma sembra che altrettanto entusiasmo non sia condiviso dal gruppo parlamentare PD. Forse per una malintesa difesa del pdl Madia, che però non si occupa delle elezioni regionali e municipali: l’argomento sarebbe diverso, anche se l’intento coinciderebbe. O forse perché almeno una cosa il PD ha ereditato dal vecchio PCI: una insuperabile diffidenza per le iniziative “spontanee” che salgono dalla società e non vengono filtrate all’interno del partito e dalle sue articolazioni.

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