Tra le tante considerazioni che si possono fare a commento della campagna elettorale in direzione della XIX legislatura, ormai prossima alla chiusura stante l’imminenza del voto politico, vorrei farne due cui connetto una certa rilevanza istituzionale.
La prima: è inutile denunciare le incongruenze logiche – diciamo così – di un assai discutibile meccanismo elettorale promosso e sostenuto sul finire della XVII legislatura dalla maggioranza di centrosinistra (a trazione renziana) che sosteneva il Governo Gentiloni e condiviso dalla Lega di Salvini e da Forza Italia, ieri come oggi facente capo a Berlusconi.
Naturalmente la riduzione del numero dei parlamentari – da molti ritenuta, inclusa la maggioranza degli elettori referendari, assai opportuna, non fosse altro per dare un “segnale” di insofferenza rispetto alla classe politica esistente – ha reso quelle “incongruenze” ancora più evidenti, per non dire insopportabili. Ci si accorge così che la stretta connessione tra il voto per il candidato prescelto nel collegio uninominale e per una o più liste, in caso di coalizione, è unico e non si può disgiungere e che se proprio il singolo elettore – cui spetta il suffragio attivo, che resta un diritto individuale – non ritiene di poter accettare quella connessione, l’unica cosa che egli può fare è di non partecipare al voto o di annullarlo. Si vedrà, qualora si riuscisse ad attivare la Corte costituzionale, se su questi aspetti (e in verità anche su altre incongruenze, già ben individuate all’indomani dell’approvazione della legge n. 165/2017, come le pluricandidature e le liste artatamente corte) si abbatterà la scure dell’incostituzionalità. Per intanto, varrebbe la pena ricordare che, come è noto a tutti, le coalizioni che pure la legge favorisce sono “retrattabili” e, dunque, le forze politiche che ne fanno parte sono del tutto libere, dopo il voto, di uscirne e di dar vita ad alleanze con altri partiti e movimenti appartenenti ad altre coalizioni o che si fossero presentate in solitaria al giudizio del corpo elettorale. In verità, il leader del PD ha sentito il bisogno di precisare, persino in anticipo sul risultato elettorale, che con qualcuno dei suoi alleati sul fronte sinistro non sarebbero praticabili intese di governo (!).
Del resto tutti ricordano, dopo il voto del marzo 2018, il “contratto di governo” proposto dal M5S guidato da Di Maio e la Lega di Salvini, che venne addirittura spacciato come uno strumento espressivo di un vero e proprio cambiamento istituzionale nelle relazioni tra forze politiche, in vista della costruzione di una maggioranza post-elettorale, dalla quale scaturì, in effetti, il primo Governo Conte, poi superato da altre compagini governative e da differenti maggioranze parlamentari. Proprio per questo precedente specifico, non si capisce allora perché tutti i protagonisti della competizione elettorale in atto – e non si scorgono volti nuovi – si sforzino di promuovere il voto a loro favore, accompagnando questa sollecitazione con “impegni” a non contrarre nessuna alleanza con forze politiche che sono contrapposte. Si tratta di un eccesso di zelo, che oltretutto potrebbe ritorcersi contro chi promette ciò. In realtà, tutto dipende dalla volontà effettiva del corpo elettorale e dalle contingenze che si determineranno dopo il voto politico, anche a fronte delle iniziative che saranno assunte dal Capo dello Stato, così come accade nei sistemi parlamentari, nei quali il Governo sostenuto da una maggioranza nasce direttamente in Parlamento e dura sino a che trova sufficienti consensi (ricordo che basta, a tal fine, la maggioranza semplice calcolata sui presenti e non è richiesta nessuna maggioranza qualificata di deputati e senatori, giusto per richiamare un dato costituzionale che qualche volta si è finto di dimenticare).
Rammento inoltre che dopo il voto politico e nel corso della legislatura sono sempre possibili mutamenti di leadership nelle forze politiche , così come pure vari “sommovimenti” interni alle Camere, registrati frequentemente nel passato e facili da preconizzare anche adesso: si pensi alla “parabola politica” di Renzi e Di Maio, ma non solo ovviamente di costoro, nella legislatura in scadenza, passati dal ruolo di “capi-partito” a fieri oppositori delle forze politiche di provenienza.
La seconda considerazione: si sente dire sulla base di sondaggi, abbastanza concordi sul punto, che potrebbero realizzarsi le condizioni politico-parlamentari per consentire ad uno schieramento (il noto “tridente” di centrodestra, con qualche puntello facente capo ad altre personalità espressione di quel mondo) di avere – sfruttando gli effetti distorsivi del meccanismo vigente – un così largo consenso, non solo in grado di far nascere facilmente l’Esecutivo che verrà, ma anche di ottenere importanti mutamenti costituzionali. In particolare, si parla espressamente di “presidenzialismo”, anche se non mi pare di capire esattamente a quale modello di forma di governo si vorrebbe approdare. Mi permetto di rilevare, a questo riguardo, che la denuncia di questa evenienza da parte dei sostenitori – e ce ne sono tanti negli altri schieramenti – del c.d. “sindaco d’Italia” è davvero poco rispettoso del buonsenso degli elettori e soprattutto denuncia una insopportabile ipocrisia (non soltanto gli elettori hanno sonoramente bocciato nel 2016 la riforma Renzi, che si muoveva chiaramente in questa direzione, ma lo stesso Governo Letta aveva impiantato una commissione di esperti, da dotare di poteri speciali, per cambiare l’assetto organizzativo della Costituzione vigente).
Tutto ciò premesso, e posto che mi pare inevitabile constatare una corrispondenza di intenti tra eletti (i parlamentari) ed elettori (il corpo elettorale “praticante”), credo che sia illusorio pensare che il degrado costituzionale nel quale siamo da tempo sprofondati possa essere facilitato o frenato dall’esito del prossimo voto politico.
Da questo punto di vista occorre essere poco lamentosi: è giusto avere questa piena consapevolezza ed è giusto sperare di difendere l’assetto democratico del nostro Paese augurandosi che davvero crolli il sistema politico attuale e un altro ne veda la luce. Non è, ovviamente, impresa che potrà realizzarsi a breve, ma nel frattempo occorre conservare la lucidità nel comprendere quel che accade sotto i nostri occhi e non tacere.
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Egregio Sig. Antonio D’Andrea, l’art.94C. incomincia con un perentorio ordine di servizio per esecutivi nuovi o replicanti a conferma di quanto deciso durante i lavori della Costituente, particolarmente significativo in proposito l’allora provvisorio art.87 che venne fuso col seguente sublimando nella definitiva edizione col numero 94C.
Le NON conformità al Dettato Originale degli Straordinari Autori Costituenti sono, a modestissimo mio parere, numerose ed alcune anche in area apicale, come già comunicato in altre circostanze al Direttore di questo luogo Professor Roberto Bin che anche saluto cordialmente.
Santarcangelo di Romagna 22 settembre 20 22 enzo Bargellini.