Presidenzialismo. Cioè?

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di Roberto Bin

Enzo Cheli ha scritto, da par suo, un articolo del tutto condivisibile per spiegare perché non gli piacciono affatto le proposte “presidenzialiste” avanzate da Fratelli d’Italia e riprese dai programmi elettorali del centro-destra. La mia perplessità è ancora più radicale, perché non capisco di cosa si parli. E questo un po’ mi allarma.Facciamo un po’ di chiarezza e partiamo dall’esame dei programmi elettorali. L’Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra del “presidenzialismo” non dice pressoché nulla. Si limita ad enunciare come punto programmatico, nella parte dedicata alle riforme istituzionali, “Elezione diretta del Presidente della Repubblica”. Non c’è scritto altro e quello che è scritto non dice nulla sul “presidenzialismo”. Questo termine indica una “forma di governo”, cioè un sistema di distribuzione del potere politico tra gli organi costituzionali: come venga eletto il Presidente della Repubblica non determina nulla nella “forma di governo”. Il Presidente della Repubblica austriaca è eletto direttamente dal popolo (art. 60 B-VfG), ma ciò non fa affatto dell’Austria una Repubblica presidenziale. Quale effetto avrebbe dunque cambiare le modalità di elezione del nostro presidente? Nessuno, se non quello vagheggiato da un’incauta “esternazione” di Berlusconi, cioè di provocare le dimissioni di Mattarella (sempre ché non fosse proprio lui – come è possibile e probabile – il prescelto dal voto popolare!). Questa inutile riforma dovrebbe contenere una norma transitoria che regola appunto la sua stessa applicazione.

Il Programma di Fratelli d’Italia è molto più preciso, Al punto 24 (“Presidenzialismo, stabilità di governo e Stato efficiente”) si auspica una “Riforma presidenziale dello Stato, al fine di assicurare la stabilità governativa e un rapporto diretto tra cittadini e chi guida il governo”. Altro però non si dice, se non spiegare che bisogna risolvere il problema della ben nota instabilità degli esecutivi italiani, “che ci indebolisce nei rapporti internazionali e che penalizza gli italiani, perché governi che durano così poco non hanno una visione di lungo periodo, ma cercano solo il facile consenso nell’immediato”. Tutto giusto, ma quale stabilità assicurerebbe l’elezione diretta del Presidente della Repubblica?

Questo non viene spiegato, ma possiamo cercare una risposta, come del resto fa Enzo Cheli, nella proposta di riforma costituzionale che FdI ha proposto nella passata legislatura. Mi sembra che Cheli ne faccia un esame sufficiente a rivelare le fragilità e anche le stranezze (il “governo del Presidente” potrebbe essere sfiduciato dalle Camere ma solo con “voto di sfiducia costruttiva”  – cioè indicando il nome del capo del Governo che dovrebbe essere nominato al posto di quello scelto in precedenza dal Presidente della Repubblica -; classico “correttivo” della forma di governo parlamentare, previsto (ma pochissimo praticato) in Germania). La proposta di FdI è stata bocciata dalla Camera, ma potrà essere riproposta con tutti i miglioramenti del caso. Ma il punto critico sta nella premessa, cioè nell’idea che il “presidenzialismo” (che poi significa affidare al Presidente della Repubblica il potere esecutivo, cioè il governo) sia l’unica vera soluzione della instabilità politica italiana.

 Cheli ricorda come nel dibattito alla Costituente l’instabilità e frammentazione politica già allora evidente in Italia sia stata proprio il motivo per cui si sono respinte proposte “presidenzialiste”. E se noi aprissimo gli occhi e guardassimo a ciò che avviene all’estero non potremmo che concludere che instabilità politica e presidenzialismo vivono benissimo assieme.

Gli unici due paesi di riferimento (cioè che hanno una storia costituzionale abbastanza lunga e stabile da consentire una valida comparazione) che hanno un sistema presidenziale sono gli Stati Uniti d’America e la Francia. Due sistemi molto diversi. Quello americano, che data ben più di due secoli di storia, è giunto ad un punto di crisi molto allarmante: le vicende della successione di Trump, la rivolta popolare che minaccia le istituzioni, la forte polarizzazione politica non sono certo condizioni favorevoli a quel governo stabile ed efficiente che vorrebbero Meloni & Co, Il parlamento paralizzato dal conflitto tra i partiti che dominano una o l’altra camera e i riflessi gravissimi che tutto ciò ha sul “normale” funzionamento delle istituzioni (si pensi alle nomine dei giudici della Corte Suprema, che sono state impedite ad Obama e consentite, a fine mandato, a Trump, con le ben note conseguenze) dovrebbero suggerire ai nostri teorici del presidenzialismo una certa dose di prudenza. Se poi guardiamo alla Francia, che è giunta ad una forma di presidenzialismo abbastanza accentuato attraverso una serie di riforme costituzionali che miravano proprio alla ricerca di stabilità ed efficienza, la situazione attuale di Macron e le sue difficoltà a trovare una maggioranza stabile in parlamento, la prudenza diventa obbligatoria.

L’esperienza degli altri dovrebbe insegnarci qualcosa. E’ giusto auspicare una maggiore stabilità politica, ma lo strumento non è la riforma in senso presidenziale perché la sua causa non sta nella “forma di governo”. E di questo dovrebbero rendersi conto anche Azione e Italia Viva, il cui Programma elettorale cade nello stesso equivoco, con qualche nota umoristica in più: viene riesumata la proposta del “Sindaco d’Italia“, avanzata da Mario Segni su per giù 36 anni fa. Non ci dicono che cosa significhi oggi, se non che deve accompagnarsi ad una riforma elettorale. Appunto, ci stiamo avvicinando al problema vero, che non è la forma di governo, ma il sistema politico e – aggiungerei – in primo luogo i suoi protagonisti, i partiti politici. Ma ci si può aspettare che il programma elettorale di un partito dia il giusto risalto programmatico-elettorale alla riforma del partito?

 

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