Ma quanto ci costano Calderoli
e gli altri Paladini Senza Vergogna?

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di Roberto Bin

Siamo alle solite. Calderoli insulta l’allora ministra Kyenge davanti ad una platea di 1.500 partecipanti alla festa della Lega Nord, dandole dell’orango e conquistando così la prima pagina della stampa. La Procura inizia un procedimento per diffamazione aggravata dal fatto di averla compiuta in un comizio e dalle finalità di discriminazione razziale. La difesa dell’eroico Paladino della cristianità si trincera subito dietro all’insindacabilità del parlamentare e chiama in soccorso il Senato.

Le assemblee parlamentari sono protette in tutto il mondo civile dall’insindacabilità dei voti dati e delle opinioni espresse dai propri membri, perché in Parlamento vi dev’essere l’assoluta libertà di espressione, se no ne sarebbe compromessa la funzione fondamentale. Questo però è una garanzia di autonomia delle Camere, non un privilegio dei loro componenti. Lo sancisce il primo comma dell’art. 68 Cost. e lo ripete l’art. 3 della legge 140/2003, il mitico “lodo Schifani” che avrebbe dovuto proteggere Berlusconi ma, in questa parte, è stato censurato dalla Corte costituzionale.

Dice la legge 140 che, quando l’interessato eccepisce le sue prerogative di parlamentare, il giudice deve chiedere alla Camera di appartenenza se l’espressione incriminata abbia un “nesso funzionale” con le attività del parlamentare stesso, cioè sia stata pronunciata nei lavori della Camera o, se detta altrove, sia riproduttiva di quanto dichiarato durante i lavori parlamentari.

Come avviene nella stragrande maggioranza dei casi, la Camera corre in soccorso dell’eroico senatore, sostenendo che la sua affermazione sia “sostanzialmente riproduttiva” di quanto contenuto in interrogazioni presentate da Calderoli e camerati in tema di sbarco di stranieri sulle coste italiane, che però avevano tutt’altro tenore e diverso contenuto. Di conseguenza il giudice solleva conflitto di attribuzione contro il Senato che così gli impedisce di svolgere il suo processo, conflitto che verrà discusso nell’udienza del 4 aprile 2017 (si può leggere qui il ricorso).

Siamo alle solite, si diceva. La Corte costituzionale viene presa di mezzo di continuo da vicende analoghe, in cui valorosi Paladini della libertà di espressione e dell’autonomia parlamentare chiedono di poter opporre i loro (supposti) privilegi a chi si ritiene oltraggiato da frasi spesso assai volgari pronunciate in qualche occasione pubblica; e immediatamente chiedono e trovano protezione nella loro Camera di appartenenza, disposta a dichiarare platealmente il falso, cioè che sussiste il nesso funzionale tra quanto costoro blaterano appena hanno un microfono davanti e ciò che viene compiuto nel luogo più nobile del dibattito pubblico, il Parlamento.

Quanto ci costano questi veri eroi della politica? Per il solo Vittorio Sgarbi la Corte costituzionale ha dovuto affrontare (sinora) 115 decisioni (per ogni conflitto la Corte deve esprimersi prima sull’ammissibilità e poi nel merito): ogni volta la Camera di appartenenza ha dovuto affrontare il problema e ha deciso di far valere l’improcedibilità; ogni volta si è costituita in giudizio pagando (con i nostri soldi, ovviamente) un avvocato (sicuramente non il più economico); e per la gran maggioranza dei casi si è sentita dare torto. Perché chi starnazza in qualche spettacolino televisivo o in piazza non ha nulla che lo distingua da chiunque di noi: deve pagare le conseguenze di ciò che fa e dice!

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