Diritto allo studio: il governo dà e poi toglie con l’Iva

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di Giovanni Di Cosimo

Si sa che il legislatore italiano non è esattamente un modello di coerenza e precisione. L’ennesima conferma viene da una vicenda che riguarda il finanziamento del diritto allo studio universitario.

Il 29 giugno 2016 la Camera dei deputati ha approvato a larghissima maggioranza una mozione sul tema. Fra le altre cose, la mozione rileva che il finanziamento per il diritto allo studio universitario riesce a coprire appena il 73 per cento delle richieste.  Di qui l’impegno per il Governo a realizzare una effettiva implementazione del diritto allo studio. In altre parole, la mozione indica l’obiettivo di sostenere concretamente gli studenti “capaci e meritevoli”, ma privi di mezzi, di cui parla la Costituzione, e, a cascata, l’obiettivo di rafforzare il sistema dell’istruzione universitaria che è vitale per lo sviluppo del Paese.

L’impegno a concedere maggiori risorse finanziarie si è concretizzato nel dicembre successivo grazie alla legge finanziaria 2017, che ha incrementato di 50 milioni il fondo statale per le borse di studio. Non è affatto sicuro che si tratti di una somma sufficiente a raggiungere lo scopo, ma per lo meno lo stanziamento va nella direzione indicata dalla mozione parlamentare del giugno precedente.

Tuttavia, una disposizione fiscale contenuta nella recente manovra correttiva annulla l’effetto positivo della legge finanziaria. Il decreto legge 50 dell’aprile scorso, convertito il 21 giugno, contiene una norma di interpretazione autentica relativa all’imposta sul valore aggiunto per i servizi di vitto e di alloggio in favore degli studenti universitari. La norma stabilisce che i servizi erogati dagli enti per il diritto allo studio sono esenti da IVA. Sul piano interpretativa la questione è controversa. Si potrebbe benissimo arrivare alla conclusione opposta in base alla circostanza che l’atto del 1972 che regola l’IVA fa riferimento a soggetti “funzionalmente collegati” alle istituzioni universitarie, mentre la grandissima parte degli enti per il diritto allo studio non sono “funzionalmente collegati” alle università perché sono enti regionali.

Sta di fatto che la norma della manovra correttiva determina un aggravio economico a carico dei bilanci degli enti per il diritto allo studio, che d’ora in poi non potranno più detrarre l’IVA sui servizi erogati agli studenti. L’associazione nazionale di questi enti (Andisu) calcola che a regime la norma comporterà un onere di circa 50 milioni di euro. Secondo il presidente dell’associazione, la norma voluta dal Governo “andrà a colpire indirettamente gli studenti universitari visto che molti degli enti per il diritto allo studio chiuderanno in rosso i propri bilanci per il 2017, con il conseguente possibile taglio ai servizi o aumento del costo degli stessi”.

Conclusione: nell’arco di circa un anno, Parlamento e Governo hanno tolto al sistema del diritto allo studio quel che gli avevano concesso con la legge finanziaria.

 

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