A Christmas Carol: il mercato si scopre buono (e la Sinistra con un programma politico)

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di Roberto Bin

Non è vero che il mercato sia necessariamente senza cuore, naturalmente insensibile ai bisogni della gente – se non per ciò che riguarda i consumi e i consumatori. Anzi, il mercato non è nulla “necessariamente”, non esiste come dimensione naturale. È un’istituzione artificiale, come tutte le altre istituzioni umane, edificata e organizzata da un insieme assai affollato di regole poste dai poteri pubblici (come spiega un libro fondamentale e profetico scritto da K. Polanyi nel 1942: La grande trasformazione). Il problema è: chi detta queste regole?

La storia dell’integrazione europea è esemplare. Ci mostra con chiarezza come viene costruito un mercato – il “mercato interno” – attraverso la produzione incessante di regole. La libertà dei mercati dipende dal diritto: il laissez-faire è solo una distorsione farsesca di ciò che il mercato è e richiede per funzionare a dovere. Per cui è il sistema delle regole che fa del mercato il mercato, e questo sistema può tranquillamente comprendere anche i diritti. Ed è ciò che in parte è successo. Ben prima che l’Atto unico (1987) e i trattati successivi riconoscessero queste competenze alle istituzioni comunitarie, esse avevano varato una quantità di norme, spesso molto avanzate (sicuramente più avanzate della legislazione d’Italia, che infatti ha arrancato con difficoltà per adeguarsi) per assicurare ai cittadini la tutela di diritti ben lontani dal clou della politica di mercato: l’ambiente e la tutela della salute da ogni forma di inquinamento, la protezione della sicurezza dei consumatori, l’assistenza previdenziale e sanitaria dei lavoratori transfrontalieri, la non discriminazione ecc. Progressivamente tutta una serie di beni e di interessi che noi potremmo tranquillamente rubricare come “diritti fondamentali” sono diventati oggetto di accurata disciplina europea. Si noti: non in forza di uno specifico titolo di competenza, ma esclusivamente per regolare la concorrenza e il mercato. Il mercato e la concorrenza – si è pensato – non possono svolgersi a danno della sicurezza dei cittadini e neppure consentendo alle imprese di qualche Stato permissivo di scaricare sulla collettività i costi ambientali e sanitari derivanti dalla produzione; altrettanto intollerabile è sembrato ad un certo punto che la libera circolazione delle imprese si svolgesse a detrimento della sicurezza dei lavoratori e della loro protezione pensionistica. Ecco che per regolare il mercato e per impedire alle imprese di vincere la concorrenza tagliando i “costi” relativi ad alcuni beni collettivi, si è progressivamente riempito lo spazio europeo di regole sempre più incisive.

Perché si siano scelte queste voci di intervento e non si siano inclusi altri diritti da proteggere (per esempio, il livello salariale minimo, la sicurezza del posto di lavoro, la protezione sindacale, l’età della pensione e il relativo trattamento, le misure di tutela della maternità, il livello dei servizi sociali alla famiglia, il livello massimo di prelievo fiscale e così via) è il frutto di una scelta politica ammantata da rispetto per il mercato: non del mercato in sé, che è una costruzione artificiale, ma dell’ideologia dell’economia di mercato. In essa quello che al più interessa – e perciò interessa alle istituzioni europee – è garantire la “libera circolazione dei lavoratori” (a cui vanno assicurati trattamenti previdenziali, assistenziali ecc. equiparati a quelli goduti dai lavoratori del paese in cui si stabiliscono), non uno standard comune di questi trattamenti: e neppure che alle imprese sia impedito di godere dei vantaggi conseguenti alla delocalizzazione dei propri impianti produttivi in paesi dove il trattamento salariale, assistenziale, previdenziale ecc. sia meno favorevole ai lavoratori. È un’esigenza del mercato questa? No, è un interesse egoistico delle imprese, che così possono aumentare i loro ricavi.

Nella visione ideologica, l’economia di mercato è un mondo magico, paradiso delle astrazioni, in cui il consumatore e il produttore si scambiano beni mediante il meccanismo dei prezzi, e il perfetto equilibrio dei salari è prodotto dallo scambio tra domanda e offerta di lavoro. Da questo mondo – dicono i sostenitori del libero mercato – è bene che la politica si tenga fuori, limitandosi a combattere le “esternalità negative” che possono rompere la magia degli scambi, laddove le esternalità sono anzitutto gli interventi delle autorità politiche. Bene quindi se gli organi pubblici intervengono – per esempio – per limitare l’inquinamento causato da processi produttivi o per favorire la completa libertà degli scambi, abbattendo le barriere doganali o le misure legislative nazionali “ad effetto equivalente”; bene se lottano contro i monopoli e obbligano alla privatizzazione dei beni pubblici; bene se definiscono condizioni essenziali di sicurezza – fisica, ma anche giuridica e informativa – dei consumatori. Ma ogni passo più in là compiuto dai poteri pubblici rischierebbe di influire negativamente sull’equilibrio e l’efficienza del sistema. Di quale sistema si parla? Chi l’ha scelto questo sistema? In che modo è possibile cambiarlo?

È di comune affermazione che più il mercato è libero (e l’ordinamento giuridico protegge tale libertà), meno ai poteri pubblici è consentito di agire, meno potere hanno le istituzioni democratiche. Ma il senso del discorso andrebbe invertito: il mercato è libero perché a chi vi opera sono garantiti diritti e libertà; questi diritti e queste libertà finiscono con scontrarsi con altri diritti e altre libertà e a prevalere su di loro grazie alla paralisi delle istituzioni democratiche. Se il sistema politico e quello giuridico garantiscono i primi, i secondi devono cedere il passo. La libertà di circolazione, per es., è il fondamento della politica di mercato europea, ma è anche lo strumento per svuotare il potere delle istituzioni democratiche nazionali, cui impedisce di praticare politiche efficaci di redistribuzione del reddito, reddito a cui è concessa la libertà di andarsene dove più gli conviene. Gli anni della crisi hanno mostrato a favore di chi ha operato il mercato. È ben difficile spiegarne le virtù alle masse dei disoccupati, agli imprenditori falliti e alle tante persone che hanno visto precipitare le loro condizioni di vita proprio mentre la forbice della diseguaglianza sociale andava aprendosi sempre più. Ed è davvero difficile anche sostenere che fosse un profilo di regolazione tecnica, e non un’opzione politica di enorme portata, decidere – per esempio – che i livelli elevati di protezione sociale assicurati dagli stati nazionali ai loro cittadini non siano fattori da proteggere dalla concorrenza al pari dell’ambiente e della sicurezza dei consumatori; oppure che la delocalizzazione delle imprese dovesse essere un aspetto tutelato dalla libera circolazione, anche se questo avrebbe prodotto la frantumazione del “mercato” del lavoro e un drastico ridimensionamento dei livelli di reddito.

Certo, troppe misure di tutela dei diritti potrebbero frenare la competitività delle merci prodotte in Europa: ma che un colosso economico come l’Unione europea debba subire la “legge dei mercati” non è molto credibile; tanto è vero che l’ha rifiutata quando si è trattato di difendere i propri produttori (e i propri consumatori) nelle varie “guerre commerciali” di cui è stata protagonista (il veto agli OGM, il blocco all’importazione delle carni piene di ormoni e antibiotici, la tutela delle denominazioni dei prodotti tipici, ecc.).

Siccome non è affatto vero che il mercato possa governarsi da solo e da solo possa improvvisamente ravvedersi, come Ebenezer Scrooge la notte della Vigilia, non sarà il mercato a recapitarci un grosso tacchino a Natale: e neppure lo faranno, di loro spontanea volontà, i pochi ai quali sia la crisi che la ripresa hanno – entrambe – fatto riempire le casse. Lo potrebbe fare la Sinistra, che tradizionalmente afferma di preoccuparsi della giustizia sociale. E lo dovrebbe fare cercando di modificare le regole del mercato – dell’unico mercato rilevante, che – con buona pace dei “sovranisti” – è quello europeo: facendo così scendere la slitta del “contenuto sociale” del mercato dal cielo delle chiacchiere a quello dei diritti.
Auguri di Buon Natale.

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2 commenti su “A Christmas Carol: il mercato si scopre buono (e la Sinistra con un programma politico)”

  1. Angela Merkel ha affermato che siamo sì in democrazia, ma la democrazia dev’essere ‘conforme al mercato’. Espressione un po’ oscura. L’articolo ha il pregio di fare luce dove chiarisce che “il senso del discorso andrebbe invertito”… la democrazia dev’essere conforme a chi a più potere, sarebbe stata certamente più chiara (forse non si poteva dire?). Buon natale a voi!

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