Cappato, il Governo, la Corte costituzionale e le false notizie

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di Roberto Bin

La decisione del Governo di intervenire nel giudizio di legittimità costituzionale sollevato dalla Corte di assise di Milano sul reato di “Istigazione o aiuto al suicidio” (art. 580 CP) è stata accompagnata dai soliti commenti fuori luogo. Il Foglio, per es., parla di “costituzione di parte civile” del Governo, e così anche il Corriere. Ma è sbagliato, e non per qualche “sottigliezza”.

La parte civile è il soggetto danneggiato dal reato che intende far valere innanzi al giudice penale la propria domanda di risarcimento o di restituzione: il Governo, se avesse ritenuto che lo Stato era stato danneggiato dal comportamento di Cappato, avrebbe dovuto costituirsi parte civile davanti alla Corte di Milano. E non lo ha fatto. Ha invece deciso di fare intervento davanti alla Corte costituzionale, ma per ragioni del tutto diverse dalla costituzione di parte civile.

È normale che il Governo – su delibera del Consiglio dei ministri – decida di intervenire nei giudizi di legittimità costituzionale di una legge impugnata da un giudice davanti alla Corte: e non c’è scritto da nessuna parte che lo debba fare per difendere la legittimità della legge. Di fatto, però, se il Governo interviene lo fa quasi sempre a difesa della legge, altrimenti si astiene dall’intervenire. È una prassi criticabile e criticata (nel 1956, nei primi giudizi della Corte, il Governo intervenne in difesa delle norme fascistissime del codice penale e del testo unico di pubblica sicurezza, sostenendo – senza vergogna – che la Costituzione repubblicana non dovesse prevalere sulle leggi preesistenti!).

Che il Governo intervenga nel giudizio sull’art. 580 CP non è però così scandaloso. Il Governo è in carica per l’ordinaria amministrazione, per cui non può assumere decisioni che abbiano significato politico: non costituirsi in giudizio lo avrebbe avuto. Già in parlamento la questione era stata sollevata da un’interrogazione della Lega, e probabilmente anche all’interno del Governo le opinioni sulla questione non erano compatte.

Decidere di intervenire non significa per altro difendere l’incriminazione di Cappato. La Corte di assise ha sospeso il giudizio (e non lo ha concluso: anche su questa ogni tanto la stampa fa confusione) sollevando un dubbio di costituzionalità dell’art. 580 nella parte in cui punisce con la stessa pena l’istigazione e l’aiuto al suicidio, che sono evidentemente comportamenti molto diversi.

La Corte costituzionale probabilmente risponderà – e forse questa sarà anche la proposta dell’avvocato dello Stato che rappresenta il Governo – che spetta al giudice penale distinguere le due ipotesi e valutare la gravità dell’ “aiuto” prestato al suicida. Un passaggio in macchina è qualificabile come “aiuto”? Certamente somministrare un veleno o aiutare a premere il grilletto lo sarebbe, il che dimostra che la norma penale può in astratto essere difesa da sospetti di incostituzionalità, qualche comportamento merita di essere punito e altri invece il giudice non deve farlo. E la Corte aggiungerà che cambiare la legge penale, così come è scritta, spetta al legislatore, che di scrivere le leggi ha appunto il compito. Spetta cioè ad una decisione politica, perché la questione è politica. Lo è sempre stata, sin dal gesto pubblico di autodenuncia di Marco Cappato, che ha un evidente – e per me condivisibilissimo – significato politico. Ma ditelo al prossimo Governo e alla prossima maggioranza, non alla Corte costituzionale!

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