Perché il decreto di nomina dei ministri proposti dal Presidente del Consiglio incaricato non ha natura “sostanzialmente governativa”

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di Anna Alberti*

Secondo un detto popolare “il diavolo si cela nei dettagli”. E a volte possono celarsi insidie inedite per la prassi politico-istituzionale proprio in quelle pieghe del testo della Costituzione che la dottrina non ha preso sul serio, pensando che non valesse la pena approfondirne troppo le implicazioni. È il caso dell’art. 92 della Costituzione, che in questi giorni attira l’attenzione del dibattito sia specialistico che politico-giornalistico.

Sappiamo che il Capo dello Stato “nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. Sfogliando i manuali più diffusi di diritto costituzionale, si apprende che per la dottrina largamente maggioritaria il decreto di nomina del Presidente del Consiglio è un atto “complesso”, che raccoglie le due distinte e paritarie determinazioni di volontà del Capo dello Stato e del primo ministro. Nulla però si dice su che tipo di atto presidenziale sia il decreto presidenziale di nomina dei ministri, come se non fosse un problema di grande rilievo per la scienza costituzionale. E invece, improvvisamente scopriamo che non è così…

Proviamo a prendere per buona la tesi secondo cui “su proposta” (del Presidente del Consiglio dei ministri) significhi qualcosa di più e che il (potenziale) premier abbia titolo per “imporre” legittimamente il nome dei ministri anziché solo quello di “proporli” (sebbene i due verbi non abbiano evidentemente lo stesso significato, come giustamente osserva Roberto Bin). In tal caso il decreto di nomina dovrebbe annoverarsi tra quelli che nella letteratura scientifica sono chiamati “atti presidenziali sostanzialmente governativi” e non già tra quelli “complessi” (come invece propone Omar Chessa). È una ricostruzione convincente?

A parte il dato letterale, la cui considerazione è doverosa per l’interprete visto che l’oggetto dell’interpretazione costituzionale deve essere, soprattutto e prima di altre cose, il testo della Costituzione, c’è poi il problema di capire quale sarebbe il rimedio per il caso in cui il Presidente della Repubblica non volesse dare seguito alla proposta “vincolante” del (potenziale) primo ministro. Non certo il conflitto di attribuzioni di fronte alla Corte costituzionale, dato che non si capisce chi sarebbe legittimato a sollevarlo. Infatti, un “atto presidenziale sostanzialmente governativo” presuppone che ci sia un Governo: ma in questo caso il Governo in carica è ancora quello dimissionario, mentre il Presidente del Consiglio “incaricato” è un “privato cittadino”, che solo dopo la nomina e il giuramento diventa un organo costituzionale nel pieno delle funzioni e titolato, quindi, a difendere le sue attribuzioni costituzionali in sede di conflitto. L’art. 93 è chiaro sul punto: “il Presidente del Consiglio e i Ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica”. Prima del giuramento nessuna funzione governativa può essere esercitata. Ma è evidente altresì che, in caso di disaccordo tra Capo dello Stato e Presidente del Consiglio incaricato sul nome di un ministro, neppure la fase della nomina del premier incaricato si perfeziona, perché è impensabile che un Governo si formi lasciando una casella vuota (specialmente se è importante come quella del ministero dell’economia). Insomma, mentre il Capo dello Stato è, durante la fase della nomina del Governo, un organo costituzionale pleno iure, invece chi presenta la lista dei ministri, seppure denominato dall’art. 92 come “Presidente del Consiglio”, lo è soltanto in pectore, sicché non può esercitare, ai sensi dell’art. 95 Cost., la funzione di direzione della politica generale del Governo (assumendosene la responsabilità).

Diverso, invece, è il caso del c.d. “rimpasto governativo”: poiché interviene quando un Governo è nel pieno delle sue funzioni, il rapporto tra Capo dello Stato e Presidente del Consiglio (questa volta, sì, un “vero” Presidente del Consiglio) è sicuramente paritario, se non anche sbilanciato a favore del Governo, posto che quest’ultimo gode pure della fiducia delle Camere, certificata dall’approvazione della relativa mozione. Ebbene, in quest’ipotesi è più difficile per il Capo dello Stato rifiutarsi di nominare la persona indicata dal Presidente del Consiglio e si può ragionevolmente sostenere che il decreto presidenziale di nomina abbia natura “sostanzialmente governativa”, tale quindi da consentire il rimedio del conflitto d’attribuzioni per la difesa della attribuzioni governative costituzionalmente fondate.

* Assegnista di ricerca in diritto costituzionale, Dipartimento di Giurisprudenza, Univ. di Sassari

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1 commento su “Perché il decreto di nomina dei ministri proposti dal Presidente del Consiglio incaricato non ha natura “sostanzialmente governativa””

  1. L’argomento usato (il privato cittadino) è suggestivo. Dunque dovremo poter ammettere che “un minuto dopo” la nomina ex art. 92, o ancora piú efficacemente “un minuto dopo” la fiducia parlamentare, possa modificare la sua squadra, ripresentando il Ministro non gradito al PdR, con l’obbligo per quest’ultimo di subire la scelta.

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