Riformare poco perché nulla si riformi? Alcune considerazioni sulle audizioni del ministro Fraccaro

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di Giuseppe Lauri*

Tra il 12 e il 24 luglio scorsi si è tenuta, presso le Commissioni Affari costituzionali riunite di Camera e Senato, la rituale audizione programmatica del ministro per i Rapporti col Parlamento e la democrazia diretta Riccardo Fraccaro.

Si è trattato di un momento particolarmente interessante, in quanto ha permesso di ricostruire gli impegni e i desiderata del Governo Conte sulle riforme istituzionali. Queste ultime, in particolare, sono state definite dal ministro come richieste dai cittadini – e dunque cristallizzate nel cd. contratto di governo – in un’ottica di «passaggio verso la Terza Repubblica».

Il ministro Fraccaro ha sostanzialmente diviso in due i generi di interventi promessi dal Governo. Da un lato, quelli condotti agendo sulla legislazione ordinaria o sui regolamenti parlamentari; dall’altro, quelli perseguiti tramite revisione della Carta costituzionale, col procedimento di cui all’art. 138 Cost.

A proposito di questi ultimi, il ministro ha enunciato l’intento dell’esecutivo e della maggioranza di «superare l’orizzonte delle “grandi riforme”», a vantaggio di proposte di riforma «ciascuna [delle quali] contenga una modifica chiara e omogenea, costruita in modo che i cittadini possano effettivamente rispondere all’eventuale quesito referendario con un sì o con un no».

Ma quali sono le proposte di riforma precisamente annunciate dal Governo? Obiettivo primario, secondo il ministro, è l’implementazione di istituti di democrazia diretta, nell’ambito della quale si colloca, anzitutto, l’introduzione del cd. referendum propositivo. Esso viene visto come eventuale all’esito di un iter (oggettivamente complesso) che coinvolga tanto i promotori, quanto il Parlamento, tenuto ad ascoltare i primi. Ove l’Assemblea elabori una proposta legislativa, i promotori avranno la possibilità di ritirare il testo originariamente proposto, oppure di chiedere che la consultazione – rigorosamente senza quorum di validità – abbia ad oggetto la scelta tra la proposta di legge originaria e quella elaborata dalle Camere.

Nella stessa scia vengono collocati l’obbligo di “pronuncia delle Camere” sui disegni di legge ad iniziativa popolare (da attuarsi modificando i regolamenti parlamentari) e l’abolizione del quorum nei referendum abrogativi. Alla modifica della legge n. 352 del 1970 sarebbero invece demandati gli interventi relativi alla semplificazione del procedimento referendario, a cominciare dagli adempimenti di raccolta delle firme dei sottoscrittori della richiesta di referendum.

Per quanto concerne la democrazia rappresentativa, il ministro ha ribadito l’obiettivo delle forze di maggioranza di procedere ad una «drastica diminuzione» del numero dei parlamentari, portando i deputati a 400 e i senatori (elettivi? Nulla è stato espresso, infatti, a proposito dei senatori a vita) a 200. Ancora, sarebbe di natura regolamentare, secondo il modello della recente riforma organica adottata dal Senato lo scorso dicembre, il contrasto ai cd. cambi di casacca, in un’ottica di «rafforzamento del mandato elettorale».

Una revisione costituzionale si renderebbe poi necessaria per modificare l’attuale sistema di autocrinia delle Camere, prevedendo che il giudizio sui titoli di ammissione al Parlamento sia demandato anche alla Corte Costituzionale  (in secondo grado, o addirittura direttamente ove le giunte competenti non si pronuncino in tempo), e abolire il CNEL.

Vengono poi annunciati (ma non meglio esplicitati) alcuni interventi sul Titolo V. Il governo, in particolare, prevede di modificare il riferimento ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario di cui all’art. 117, c. 1 Cost., in un’ottica di riaffermazione dell’ordinamento nazionale rispetto a quello dell’Unione Europea; rivedere il riparto delle competenze tra Stato e Regioni trasferendo funzioni dal primo alle seconde;  attuare le previsioni in materia di autonomia rafforzata previste dall’art. 116, c. 3 Cost.;  implementare definitivamente lo statuto di Roma Capitale.

Infine, vengono annunciati interventi sulla qualità della legislazione, da perseguire mediante strumenti quale il cd. taglialeggi e in generale attraverso modalità di consultazione pubblica per verificare la concreta attuazione di testi normativi e l’emergere di necessità di modifiche normative.

Al netto delle considerazioni sulla democrazia diretta, sia permessa una serie di rilievi critici. Anzitutto, alcune proposte di riforma esplicitate dal ministro sembrano ricalcare (non è dato sapere in maniera quanto consapevole) i  temi della riforma costituzionale culminata nel referendum confermativo del 4 dicembre 2016. Anche in quell’occasione fu chiesto ai cittadini di esprimersi sulla diminuzione del numero di parlamentari, su una revisione del quorum nei referendum abrogativi, sull’abolizione del CNEL, su disposizioni più favorevoli all’iniziativa legislativa popolare, su una revisione del riparto di competenze tra Stato e Regioni. Eppure, i partiti dell’attuale maggioranza di governo, com’è noto, si scagliarono – con diversi argomenti, spesso estranei al merito della riforma – contro la proposta, promuovendo con toni anche veementi il no. Pare quanto meno lecito chiedersi cosa sia cambiato nel frattempo, al punto tale da permettere che punti un tempo aspramente criticati non meno di due anni divengano ora centrali nell’ottica di un programma complessivo di revisione costituzionale.

In secondo luogo, se nel 2016 uno degli argomenti principali del fronte del no fu il peso avuto dal governo Renzi nel determinare e sostenere la proposta di revisione costituzionale, non si capisce come forze allora parte di quel fronte possano ora legittimare un intervento dell’esecutivo attuale ancora più penetrante in materia. È infatti evidente fin dalle prime battute dell’audizione come l’esecutivo si presenti quale principale attore delle futuribili riforme («L’auspicio del Governo è quello di aprire un confronto politico sulle proposte di intervento in tali ambiti, che verranno sottoposte all’esame delle Camere nell’ottica di un dialogo costruttivo»), nonostante in più punti il ministro dichiari la volontà dell’attuale maggioranza di restituire centralità al Parlamento.

Infine, si dovrà vedere quanto reggeranno concretamente questi propositi nel corso della legislatura, considerando anche solo il fatto che uno dei cavalli di battaglia del Movimento Cinquestelle, e cioè il superamento del divieto di mandato imperativo per i membri delle Camere, sia stato esplicitamente sconfessato dal ministro («Non abbiamo nessuna intenzione di presentare una proposta costituzionale per introdurre un vincolo di mandato […]. L’orientamento politico di questa maggioranza non è quello di limitare la libertà del parlamentare, facendo in modo che sia soggetto al capo politico o al capo bastone, anzi ben venga sempre una maggiore libertà dall’imposizione dall’alto»).

“Cambiare tutto perché nulla cambi”. A quanto pare, vale anche per le riforme istituzionali.

 

*dottorando in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Università di Pisa

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1 commento su “Riformare poco perché nulla si riformi? Alcune considerazioni sulle audizioni del ministro Fraccaro”

  1. E la debolezza della teoria costituzionale che permette e favorisce le degenerazioni in corso da più di 20 anni in questo paese. C’è una costante presente 1. sin dal discorso pubblico, progetto di revisione abortito e normativa elettorale censurata tardivamente del lungo periodo berlusconiano, 2. attraverso il discorso più attento ma sostanzialmente equivalente, la nuova revisione nuovamente bocciata e la nuova normativa elettorale nuovamente censurata ma prontamente confermata nel suo peggior vizio, le liste bloccate, del breve periodo renziano, 3. fino al discorso ora dominante con i populisti al governo che preconizzano apertamente il superamento del parlamento e il sorteggio dei parlamentari. Non è una questione di alternativa fra democrazia diretta e democrazia rappresentativa. La democrazia (vera) è per definizione rappresentativa, ma necessita per coerenza con l’art. 1 di strumenti popolari di correzione di eventuali abusi. Mortati l’aveva capito e l’ha proposto con coraggio ma senza successo. Una dozzina di anni prima della Costituente Carré de Malberg era arrivato alla stessa conclusione, ma per il resto del secolo si insegnava ovunque in Francia il pensiero del maestro privo di questa correzione. Non è il referendum legislativo o costituzionale d’iniziativa popolare che è il problema, ma il principio indifferenziato della maggioranza semplice dei votanti (e quindi la rinuncia al quorum) anche per rovesciare una situazione pregressa consolidata, che è pericoloso. Una maggioranza qualificata, per esempio quella degli aventi diritto, sarebbe un sano freno, una garanzia contro verdetti impulsivi, casuali, autolesivi.

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