Come non essere d’accordo con Miguel Gotor che, sul giornale la Repubblica del 31 dicembre 2022, scrive “Perché l’MSI non fu democrazia”, a chiosa di una affermazione, per mio conto incauta, della Presidente del Consiglio.
riforma costituzionale
“Legislatura costituente”: uso e abuso di una formula vuota
8 settembre 2019, Giuseppe Conte alla Camera dei deputati: “Il mio impegno sarà massimo affinché questa sia una legislatura costituente”; 4 luglio 2018, Fraccaro (M5S) su Twitter: “Sarà una legislatura costituente con l’obiettivo di favorire la partecipazione come mai prima d’ora”; 7 settembre 2017, Giorgetti: “Sì a una legislatura Costituente, no a un governo di larghe intese insieme a chi vuol seguire i diktat dell’Europa”; Matteo Renzi alla Direzione Pd, 13 marzo 2014: “Siamo di fronte a un bivio: procedere con la chiusura della legislatura, attraverso il voto anticipato, o trasformarla in una legislatura costituente”; “Quella che si apre a marzo deve essere una legislatura costituente”, Enrico Letta, Europa, 12 febbraio 2013; Mario Monti: “La prossima dovrà essere una legislatura costituente e per questo occorre una larga maggioranza più ampia di quella che servirà per governare”, La Stampa, 02 gennaio 2013; “La prossima legislatura sarà costituente”, Pierluigi Bersani a Il Sole 24h, 30 ottobre 2012; “Auspico che si cominci a realizzare una legislatura costituente” Renato Schifani (allora Presidente del Senato), 30 luglio 2009; “Ci sono le condizioni per una legislatura costituente”, Gianfranco Fini (allora Presidente della Camera), 29 luglio 2008.
Non siamo migliori dei nostri rappresentanti: occorre saperlo
Tra le tante considerazioni che si possono fare a commento della campagna elettorale in direzione della XIX legislatura, ormai prossima alla chiusura stante l’imminenza del voto politico, vorrei farne due cui connetto una certa rilevanza istituzionale.
Quel pasticciaccio brutto della riforma degli artt. 11 e 117 Cost.
di Marco Dani e Andrea Guazzarotti
“Le norme dei Trattati e degli altri atti dell’Unione europea sono applicabili a condizione di parità e solo in quanto compatibili con i princìpi di sovranità, democrazia e sussidiarietà, nonché con gli altri princìpi della Costituzione italiana”. Questa sarebbe la disposizione che alcuni deputati e senatori di Fratelli d’Italia (FdI) vorrebbero aggiungere all’art. 11 della Costituzione e che da qualche giorno ha mandato in allarme editorialisti e anche qualche collega, preoccupati dal fatto che una simile proposta prefiguri una deriva antieuropeista in stile polacco.
Un’assemblea per la revisione della seconda parte della Costituzione: una sveglia per una legislatura sulla via del tramonto?
La XVIII legislatura ha rischiato di essere la più breve della storia (per le difficoltà nella formazione del primo governo Conte), ma, alla fine, è stata una delle più attive per quanto riguarda le riforme costituzionali. Dopo la riduzione del numero dei parlamentari (l. cost. 1/2020), l’equiparazione dell’elettorato attivo tra Camera e Senato (l. cost. 1/2021) e l’introduzione della tutela esplicita dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi (l. cost. 1/2022), si continua a dibattere su altre riforme da poter approvare in questo ultimo anno di legislatura.
Ambiente, biodiversità e ecosistema entrano a far parte dei principi fondamentali della Costituzione: quali sono le implicazioni per l’ordinamento italiano?
L’8 febbraio 2022 è stato approvato in via definitiva il progetto di legge costituzionale (A.C 3156-B) che modifica, entrando immediatamente in vigore, gli articoli 9 e 41 della Costituzione.
All’art. 9 della Costituzione, dopo il comma sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, si aggiunge un nuovo terzo comma che, da un lato, riconosce tra i principi fondamentali della Repubblica “la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”; dall’altro, introduce una riserva di legge statale che disciplini forme e modi di tutela degli animali, nei limiti, però, delle competenze riconosciute alle Regioni a statuto speciale (per esempio in materia di caccia e pesca e di protezione della flora e fauna).
All’art. 41 della costituzione, in materia di esercizio dell’iniziativa economica, si prevede, invece, il vincolo che essa non possa svolgersi “in modo da recare danno alla salute e all’ambiente” (comma 2) e che, altresì, possa essere indirizzata e coordinata “a fini ambientali”, oltre che ai già previsti fini sociali (comma 3).
Le innovazioni apportate da questa revisione costituzionale, peraltro in netto ritardo rispetto alle Costituzioni della maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea (come per esempio la Spagna, il Portogallo, la Germania, la Francia, la Svezia) e senza particolare ambizione rispetto alle esperienze di nuovo costituzionalismo maturate in altri paesi (si pensi all’Ecuador e alla Bolivia, in cui la natura diventa soggetto giuridico e come tale titolare essa stessa di diritti), tentano di rispondere a due questioni tra loro connesse di stringente attualità.
La prima riguarda il ripensamento del rapporto tra uomo e ambiente sotto il profilo deontologico, e cioè il riconoscimento del principio di tutela ambientale come vincolante per i poteri pubblici. La seconda si indirizza alla dimensione assiologica di questo rapporto, e cioè alla posizione occupata da interessi (economici/ambientali), spesso in conflitto, all’interno della scala dei valori dell’ordinamento e al conseguente processo di bilanciamento degli stessi demandato di volta in volta allo Stato o alla Corte costituzionale.
Questi due temi urgenti di riforma sono, mutatis mutandis, anche riflessi nell’attuale riforma istituzionale del Ministero della transizione ecologica che assume, oltre alle funzioni di tutela ambientale, anche le competenze in materia di politica energetica, in attuazione degli obiettivi dell’Unione Europea di “rivoluzione verde” e lotta contro il cambiamento climatico, che mirano alla progressiva e completa decarbonizzazione del sistema entro il 2050.
Se, dunque, il disegno di legge costituzionale approvato colma opportunamente una lacuna della nostra Costituzione e la aggiorna alle istanze contemporanee, tuttavia rischia di non produrre gli effetti desiderati sul piano attuativo. La riforma costituzionale del 2001 che ha interessato il riparto delle competenze tra Stato e Regioni, prevedendo un catalogo di materie di legislazione esclusiva statale, tra le quali, in particolare “la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” (art. 117, comma 2, lettera s), Cost.), a vent’anni di distanza ha mostrato tutti i suoi limiti e ha presentato un costo altissimo per l’ordinamento in termini di contenzioso costituzionale tra Stato, Regioni e Province autonome. L’esercizio concreto delle competenze così come riscritte dal legislatore costituzionale nel 2001 e successivamente interpretate dalla Corte costituzionale ha messo in luce il fallimento di un sistema che attribuisce funzioni rigide in capo a uno o all’altro livello di governo, soprattutto quando queste funzioni si intrecciano e confliggono tra di loro.
La tutela dell’ambiente è diventata negli anni una politica sempre più dinamica, trasversale alle altre politiche pubbliche e necessariamente multilivello, non solo nei rapporti intergovernativi interni all’ordinamento nazionale, ma anche rispetto all’ordinamento comunitario e internazionale.
Un intervento di riforma costituzionale quantomai urgente dovrebbe pertanto indirizzarsi al superamento dell’attuale sistema di ripartizione delle competenze (art 117 Cost.) tra centro e periferia e al raggiungimento di obiettivi e politiche realmente condivise tra livelli di governo, per esempio attraverso il rafforzamento delle sedi di raccordo intergovernative e l’inclusione effettiva delle Regioni e Province autonome nei processi legislativi e amministrativi statali, (oltre che inclusive della società civile), più che alla ridefinizione (necessaria, ma non sufficiente!) dei principi costituzionali. Tali principi costituzionali trovano, infatti, applicazione e si realizzano soltanto attraverso l’esercizio concreto dei poteri pubblici e nella particolare relazione fra centro e periferia che l’ordinamento realizza. Altrimenti, sono destinati ad rimanere ‘lettera morta’ anziché essere ‘cambiamento epocale’.
Istituire un’assemblea costituente? Una proposta illegittima e pericolosa
“Una commissione ad hoc eletta dal popolo con 75 membri non parlamentari può dar vita a un sistema più efficiente e snello”. È questa la proposta avanzata dall’ex presidente del Senato Marcello Pera, illustrata in un’intervista a La Repubblica di qualche giorno fa.
Emergenza climatica e riforme costituzionali
di Michele Carducci
L’emergenza climatica identifica un fatto epocale e inedito nella storia della convivenza umana. Per averne contezza immediata, basterebbe ascoltare l’efficace sintesi offerta da Johan Rockström, uno degli scienziati più autorevoli sul tema, a capo della più importante rete mondiale di ricerca sui limiti di sostenibilità dell’azione umana sul pianeta (10 years to transform the future of humanity—or destabilize the Planet):
Il Parlamento in seduta comune come terza camera politica: prospettive e difficoltà
Per quanto evidente, a tutti è sfuggito un effetto della recente riduzione del numero dei parlamentari e cioè che il Parlamento in seduta comune, in futuro composto da 600 parlamentari elettivi anziché 945, potrà molto più facilmente riunirsi nell’Aula della Camera.
Il taglio del numero dei parlamentari e i rischi per il divieto di mandato imperativo
L’esito positivo della consultazione referendaria del 20 e 21 settembre scorsi ha dato il via libera alla modifica degli artt. 56, 57 e 59 della Costituzione. L’approvazione referendaria a larga maggioranza non ha però risolto i problemi di funzionalità e di rappresentatività delle Camere segnalati da tanti studiosi.
Le riforme costituzionali del Senato conseguenti all’esito referendario: buscar el levante por el poniente?
La netta approvazione referendaria della riforma costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari pone il tema dell’approvazione di quelle che nella campagna referendaria sono state definite “integrazioni” (dai sostenitori del SI) o “correzioni” (da quelli del NO) costituzionali.
E ora? Il dopo-referendum
Chiusa la pagina del referendum si apre il dibattito sul “seguito” della riforma costituzionale. Nulla di sorprendente dato che tra i motivi che hanno sorretto il SI vi era la convinzione che il “taglio dei parlamentari” è solo il primo passo di un più vasto programma di riforme. Quali? Ma anche chi ha sostenuto il NO ha paventato conseguenze negativa sugli assetti istituzionali e perciò l’esigenza di porre mano a correttivi. Quali? Il tema si annuncia perciò interessante e apriamo perciò una pagina del giornale dedicata a proposte e riflessioni “sul dopo”
S. Curreri, Le riforme costituzionali del Senato conseguenti all’esito referendario: buscar el levante por el poniente?
A. D’Andrea, Dopo il “taglio” dei parlamentari
S. Pinto, Quel che resta del referendum: il dibattito sul voto degli elettori “fuori sede”
A.M. Citrigno, Il taglio del numero dei parlamentari e i rischi per il divieto di mandato imperativo
S. Curreri, Il Parlamento in seduta comune come terza camera politica: prospettive e difficoltà