di Roberto Bin*
La prima regola a cui dovrebbe attenersi chi avvia una riforma costituzionale è (a) chiarirne gli obiettivi e (b) individuare i congegni che ne impediscono il raggiungimento, e vanno perciò riformati.
di Roberto Bin*
La prima regola a cui dovrebbe attenersi chi avvia una riforma costituzionale è (a) chiarirne gli obiettivi e (b) individuare i congegni che ne impediscono il raggiungimento, e vanno perciò riformati.
di Alessandro Morelli e Fiammetta Salmoni
Qualche tempo fa, mossi dall’esasperazione che ha suscitato in noi il perdurante immobilismo nel campo delle riforme istituzionali, abbiamo deciso di provare a scrivere, insieme a colleghe e colleghi animati dal nostro stesso senso di frustrazione, una proposta di legge in materia elettorale.
La disponibilità dei testi di riforma dei regolamenti parlamentari predisposti dalle Giunta per il regolamento di Camera (v. l’allegato alla seduta del 17 febbraio) e Senato (v. il testo base adottato nella seduta del 18 gennaio 2022) consente finalmente di poter svolgere alcune prime considerazioni su un tema la cui importanza è inutile qui evidenziare.
In tutti questi mesi il prof. Curreri ha mantenute aggiornate le tabelle degli spostamenti di deputati e senatori da un gruppo all’altro iniziati all’indomani delle elezioni del 2018. Come si può vedere, il Parlamento che – con l’integrazione dei rappresentanti delle regioni – si avvia a eleggere il nuovo Capo dello Stato è assai diverso da quello eletto dai cittadini italiani nel 2018. Verrebbe da chiedersi quale legittimazione politica esso abbia: è opportuno che un Parlamento trasformista elegga un Presidente che rimarrà in carica sino al 2029, quando esso stesso dovrà essere rieletto, al più tardi, all’inizio del 2023? Non sarebbe meglio che il nuovo Presidente fosse eletto dal nuovo Parlamento?
Il dibattito sviluppatosi in questi giorni sul possibile scioglimento di Forza Nuova ripropone il tema di quale sia il confine oltre cui la democrazia deve difendersi dai suoi nemici. Anche in questo caso la risposta la troviamo nella nostra Costituzione.
È noto come il funzionamento di un ordinamento costituzionale che si basa sulla forma di governo parlamentare è condizionato in profondità dalle forze politiche che agiscono all’interno del sistema democratico.
La Commissione contenziosa del Senato, con decisione dello scorso 13-26 aprile, ha dichiarato improcedibile il ricorso presentato da sei senatori (Lezzi, Lannutti, Abata, Angrisani, Corrado e Di Micco) contro il Presidente del Senato per averli assegnati al gruppo misto dopo la loro espulsione dal gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle.
Adelante con juicio. Si può riassumere così il parere votato (si suppone a maggioranza) dalla Giunta per il regolamento del Senato sulla possibilità di formare componenti politiche nel gruppo misto anche a Palazzo Madama.
Che cosa è restato dopo il completamento della struttura dell’Esecutivo, a seguito della nomina dei viceministri e dei sottosegretari, del c.d. Governo del Presidente Matterella, autorevolmente guidato da Draghi?
Per la serie “ogni giorno ha la sua pena”, si pone il problema se i senatori dissidenti del M5S che hanno votato la sfiducia al governo Draghi possono costituire un gruppo autonomo al Senato sfruttando il simbolo dell’Italia dei Valori (do you remember?).
Draghi e il suo costituendo Governo potrebbero essere in realtà uno strumento neppure troppo sofisticato per consentire al sistema politico italiano fortemente delegittimato (e probabilmente variato nella sua configurazione numerica – ma non solo come è noto – rispetto al voto politico del 2018) di attrezzarsi per sopravvivere prendendo tempo almeno sino all’elezione del prossimo Capo dello Stato.
In vista delle prossime elezioni amministrative sta diventando di grande attualità il problema di come si scelgano i candidati alla carica di sindaco e di presidente di Regione. Le leggi elettorali affidano al voto diretto dei cittadini la scelta di chi guiderà l’amministrazione comunale o regionale: gli elettori troveranno il nome del candidato sulla scheda elettorale, accanto ai simboli del partito o della coalizione che lo ha scelto. Ma come è stato scelto?
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