“Prima i veneti!” La Corte costituzionale sconfessa i criteri discriminatori per l’edilizia pubblica

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di Giacomo Menegus*

 Con la sentenza n. 67 del 2024, depositata il 22 aprile scorso, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, lettera a), della legge della Regione Veneto n. 39 del 2017 (Norme in materia di edilizia residenziale pubblica), limitatamente alle parole «nel Veneto da almeno cinque anni, anche non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni, fermo restando che il richiedente deve essere, comunque, residente». In sostanza, la disposizione precludeva l’accesso alle graduatorie per l’assegnazione di alloggi pubblici a quanti non fossero stati residenti in Veneto per almeno cinque dei dieci anni precedenti alla domanda.

Alcuni dei potenziali richiedenti – stranieri che risultavano così esclusi dalla possibilità di presentare domanda per l’assegnazione di alloggi nel Comune di Venezia – hanno avviato un’azione anti-discriminazione ex artt. 44 d.lgs. n. 286 del 1998 e 28 d.lgs. n. 150/2011 dinanzi al Tribunale ordinario di Padova, ritenendo che la legge determinasse una discriminazione ai loro danni. Oltre alla remissione della questione di legittimità della norma, i ricorrenti chiedevano la cessazione del comportamento discriminatorio e la rimozione degli effetti (ovvero, tra le altre cose, la riformulazione dei bandi e la riapertura dei termini per la presentazione delle domande).

Va detto che la previsione dichiarata incostituzionale dalla Corte era soltanto l’ultima di una serie di disposizioni regionali che negli anni hanno tentato di restringere l’accesso alle case popolari ai soli soggetti che potessero dimostrare una residenza prolungata sul territorio della regione di riferimento. Alla luce della giurisprudenza costituzionale pregressa, che ha inesorabilmente censurato tutte le restrizioni regionali di questo tipo portate all’attenzione della Corte costituzionale (quanto alle prestazioni sociali concernenti l’abitazione, si v. soprattutto le sentenze n. 145 del 2023, n. 77 del 2023, n. 44 del 2020, n. 166 del 2018 e n. 168 del 2014), l’esito del giudizio sul caso veneto era piuttosto scontato. La sentenza si segnala comunque quale ulteriore conferma di un indirizzo oramai consolidato e presenta profili di interesse sul piano del seguito che dovrà essere dato al giudizio costituzionale.

Il ragionamento del giudice delle leggi è lineare.

Si parte dall’osservazione per cui il diritto all’abitare – bisogno primario della persona – costituisce un diritto sociale inviolabile, funzionale a che «la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana» (Cons. dir., punto 6). Tra gli strumenti che l’ordinamento predispone al fine di garantire tale diritto, spicca l’edilizia residenziale pubblica (ERP), la quale permette a persone che versano in condizioni disagiate di concludere contratti di locazione a canoni agevolati aventi ad oggetto immobili residenziali di proprietà pubblica. Posto che la finalità dell’ERP è appunto quella di soddisfare il bisogno abitativo delle fasce più deboli della comunità, secondo la Corte vi dev’essere coerenza tra i requisiti previsti per l’accesso alle graduatorie e la finalità stessa (Cons. dir., punto 7).

Questa razionale coerenza dei criteri d’accesso non è però assicurata dalla richiesta di una prolungata residenza sul territorio della regione di riferimento, che nulla dice circa il bisogno abitativo del richiedente. Sostiene la Corte, infatti, citando i propri precedenti, che «non si ravvisa alcuna ragionevole correlazione fra l’esigenza di accedere al bene casa, ove si versi in condizioni economiche di fragilità, e la pregressa e protratta residenza – comunque la si declini (…) – nel territorio regionale»; e che «la durata della permanenza nel territorio regionale non incide in alcun modo sullo stato di bisogno e, pertanto, lo sbarramento che comporta tale requisito nell’accesso al bene casa è “incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale, […] destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli”» (Cons. dir., punti 7.1. e 7.1.1).

Ne consegue che la disposizione in questione discrimina in modo irragionevole ai sensi dell’art. 3, comma 1 Cost. chi, italiano o straniero, risieda nella Regione Veneto da meno di cinque anni e si veda così automaticamente escluso dall’accesso alle graduatorie ERP. Né la conclusione sarebbe potuta essere diversa «sol perché la norma censurata diluisce nel tempo il criterio della residenza protratta nel territorio regionale, consentendo di maturare il requisito quinquennale nell’arco degli ultimi dieci anni» (Cons. dir., punto 7.2).

Non solo. La legge veneta viola pure il comma 2 dello stesso art. 3 Cost., nella misura in cui la preclusione all’accesso all’ERP a danno dei più bisognosi finisce col tradire il principio di eguaglianza sostanziale, che consegna alla Repubblica il compito – anche attraverso la realizzazione, la manutenzione e il finanziamento di un complesso di edilizia residenziale pubblica – di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (Cons. dir., punto 9).

I commenti politici alla pronuncia non si sono fatti attendere.

Il Presidente Zaia ha affermato: «devo prenderne atto, ma non sono d’accordo» (La Nuova Venezia del 23-04-2024), spiegando poi che il requisito della residenza prolungata pregressa avrebbe voluto «premiare chi – cittadino o straniero non fa differenza – nella nostra terra ha un progetto di vita» e sarebbe stata «pensata proprio per chi vuole stabilirsi in Veneto con la propria famiglia, avviare un percorso di vita, iniziare un’attività lavorativa, mandare i propri figli nelle nostre scuole» (v. anche il Gazzettino del 23-04-2024). Senza volerlo, le parole del Presidente della Giunta illustrano plasticamente l’irragionevolezza della norma che avrebbero voluto difendere, mettendo in luce la contraddizione tra la finalità dichiarata – il radicamento sul territorio – e il mezzo impiegato per conseguirla – il criterio d’accesso della residenza prolungata. Come potrebbe un potenziale utente dell’ERP, che venisse da fuori regione ed avesse il desiderio di “avviare un percorso di vita” ex novo in Veneto, essere già stato residente per cinque anni nella regione? E cosa ci può dire questa circostanza sulla reale volontà del richiedente di costruirsi un futuro nella regione?

Per dirla con parole della Corte «non è dalla pregressa permanenza in una regione che è dato inferire una (…) prospettiva di radicamento (…), poiché, viceversa, conta principalmente che sia stato avviato un percorso di inclusione nel contesto ordinamentale statale» (Cons. dir., punto 7.1.3.1.). D’altronde, in questi casi si ha l’impressione di trovarsi dinanzi a quegli annunci di lavoro che recitano: “Cercasi apprendista con esperienza pregressa”. Il requisito per l’accesso al posto – l’esperienza sul campo – è qualcosa che generalmente si realizza solo dopo lo svolgimento dell’apprendistato. In modo non molto dissimile, la legge veneta chiedeva ai potenziali fruitori dell’ERP che venissero da fuori regione una residenza protratta che avrebbero potuto verosimilmente soddisfare solo dopo aver conseguito l’alloggio pubblico. Inutile aggiungere che, in entrambi i casi, richieste di questo tipo fanno velo a intenzioni ben poco nobili, siano esse salari bassi e scarse tutele o intenti discriminatori (ben riassunti nella formula giornalistica “Priorità ai veneti”).

Va evidenziato peraltro che la Corte non sottovaluta affatto la necessità di modulare gli strumenti di tutela dell’istanza abitativa, come l’ERP, «in funzione della assenza o presenza di una prospettiva di radicamento nel territorio», essendo ben conscia «che i flussi migratori comportano un costante movimento di persone, talora solo in transito talora con una qualche prospettiva di stabilità nel territorio nazionale, e che si assiste a un continuo incremento di coloro che competono nel far valere il medesimo bisogno rispetto a risorse comunque limitate» (Cons. dir., punti 7.1.3.1. e 7.1.3). Il punto è che le prospettive di radicamento sul territorio vanno valutate razionalmente sulla scorta di altri fattori, quali potrebbero essere – come suggerito dalla difesa delle parti ricorrenti nel giudizio principale – la tipologia e durata di un eventuale rapporto contrattuale, l’esistenza di bambini in età scolare nel nucleo familiare, e l’età stessa del richiedente. La sfida che si offre al legislatore regionale sta proprio nell’identificare e valutare quali potrebbero essere gli indizi della volontà di creare un “progetto di vita” in Veneto. Insistere sulla residenza pregressa è evidentemente inutile.

Un aspetto interessante della vicenda – al netto della conferma del criterio valutativo della Corte – sarà il seguito che verrà dato sul piano amministrativo alla pronuncia. La maggior parte dei principali comuni veneti (Verona, Vicenza, Padova, Rovigo, tra gli altri) ha infatti provveduto – nelle more della decisione sulla costituzionalità della legge – ad ammettere con riserva in autotutela tutti i richiedenti che, ai sensi della legge allora sub iudice, sarebbero stati esclusi dalle graduatorie. Si tratta di una scelta prudenziale volta a preservare l’interesse pubblico alla sollecita assegnazione degli alloggi ERP, evitando la necessità di ripartire da zero, con bandi radicalmente riformulati, che già allora andava prospettandosi in caso di declaratoria di incostituzionalità della Corte.

Il Comune di Venezia, senza un ragionevole motivo apparente e pur conscio delle differenti determinazioni delle altre amministrazioni, ha deciso di procedere comunque alle assegnazioni, senza ammissioni con riserva, in piena adesione alla disposizione ora dichiarata incostituzionale. È difficile stimare appieno, in questo momento, le potenziali conseguenze di questa scelta. L’assessore competente ha dichiarato di attendere «indicazioni chiare» dalla Regione, aggiungendo che «è un problema che riguarda noi e tutti i comuni del Veneto» (La Nuova Venezia del 23-04-2024).

In realtà, il quadro per il comune veneziano è assai più complesso. Perché molto probabilmente non basterà riammettere i 93 richiedenti esclusi per l’assenza del requisito: come si viene a sapere dalla lettura dell’ordinanza di rinvio, i potenziali richiedenti (forse molti di più) non avrebbero potuto inviare le domande secondo la modalità prevista dal bando, perché avrebbero dovuto falsamente dichiarare di essere in possesso dei requisiti censurati e quindi la riammissione degli esclusi che hanno presentato effettivamente la domanda potrebbe non rimuovere compiutamente gli effetti della discriminazione. Va inoltre considerato che il bando veneziano assegnava punteggi aggiuntivi sulla scorta della residenza pregressa prolungata nel comune, il che complica ulteriormente la portata dell’eventuale intervento correttivo.

Anche nella migliore delle ipotesi, appare assai improbabile che i bandi non debbano essere riscritti e le assegnazioni rifatte.

L’aspetto più grave e drammatico di questa vicenda, oltre ovviamente alla temporanea esclusione dei molti potenziali beneficiari, è che il procedimento, nel frattempo, è proseguito con l’approvazione delle graduatorie definitive: molti dei beneficiari, ormai prossimi all’agognata assegnazione dell’alloggio, vedono ora tutto rimesso in discussione. Si tratta di persone che versano in una situazione difficile e per le quali l’alloggio pubblico ha un’importanza evidentemente cruciale per le proprie prospettive di vita. Sarebbe bastata una gestione più prudente ed equilibrata del procedimento per evitare la situazione di grave incertezza attuale.

Cosa potrebbe accadere se si dovesse davvero procedere al radicale annullamento dei bandi? Potrebbero esserci gli estremi per una richiesta di risarcimento da parte dei beneficiari che vedono ritardata l’assegnazione o peggio si vedessero esclusi dalla graduatoria? E, in tal caso, ci sarebbero i margini per un danno erariale, alla luce della condotta difficilmente comprensibile dell’amministrazione?

Le risposte a queste domande verranno date probabilmente, oltre che dalla decisione del giudizio a quo dinanzi al Tribunale di Padova, anche dalle soluzioni che l’amministrazione comunale saprà escogitare per affrontare questa situazione complessa in cui si è incautamente infilata.

* Università di Macerata. L’autore è anche membro del collettivo Ocio – Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza – Venezia.

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