Premierato e Costituzione materiale, tra sublimazione e soppressione

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di Alessandro Morelli e Luigi Ventura

Sostiene il Presidente del Senato Ignazio La Russa che ci sarebbe ormai una “Costituzione materiale” che attribuirebbe al Presidente della Repubblica “poteri più grandi di quelli che originariamente la Carta prevedeva e un’elezione diretta del presidente del Consiglio potrebbe ridimensionare l’utilizzo costante di questi ulteriori poteri: ridimensionarli non eliminarli”. L’introduzione del “Premierato” sarebbe allora “un atto di salute per la nostra Costituzione, non un atto di debolezza, perché lascerebbe ai presidenti della Repubblica quei compiti che i padri costituenti vollero in larga parte e che i presidenti hanno dovuto meritoriamente allargare nel tempo per supplire alle carenze della politica, tra le quali quella della necessità della politica di difendersi dalla durata troppo breve dei governi”. La Costituzione materiale, dunque, prescriverebbe ormai una specie di presidenzialismo “di fatto”, imposto dalle “carenze della politica”, che però andrebbe “corretto” grazie al potenziamento del ruolo del Presidente del Consiglio, il che sarebbe in linea, secondo La Russa, con l’intenzione dei Costituenti.

Cominciamo col dire che quello di “costituzione materiale” è un concetto scivoloso, abusato da molti e, dunque, pericoloso. Nato come un’“alta” categoria dottrinale, si può dire che sia finito con il diventare un concetto da “grandi magazzini”.

In Italia, Costantino Mortati lo impiegò per indagare il tema della fonte primigenia e suprema dell’ordinamento giuridico, traducendo l’arcana formula nel “nucleo essenziale di fini e di forze che regge ogni singolo ordinamento positivo”.

In diversi suoi scritti, Augusto Barbera ha sottolineato come la nozione di “costituzione materiale” non sia stata inutile, avendo contribuito “a costruire, con gli strumenti della più rigorosa scienza giuridica, quell’ordine costituzionale di cui la costituzione formale è un precipitato”. E, tuttavia, come già aveva notato Gustavo Zagrebelsky, Barbera non manca di rilevare come la categoria della “costituzione materiale” sia stata utilizzata anche in funzione “giustificazionista”, per promuovere letture svalutative e perfino interpretazioni abroganti della stessa Costituzione formale, vale a dire la Carta repubblicana approvata il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

Chi pure, come Temistocle Martines, ha seguito la teoria mortatiana, peraltro, non ha mancato di rilevare che è “la costituzione formale a garantire la costituzione materiale, assumendone il contenuto, e non viceversa”, sicché nel caso in cui “si produca una frattura fra una norma formalmente costituzionale e la sottostante costituzione materiale, la prevalenza spetterà alla prima, come alla sola formalmente giuridica, che (sia pure svuotata di ogni contenuto) continuerà ad essere valida in quanto appartenente all’ordinamento sino a quando dall’ordinamento stesso non verrà eliminata”.

Che fare, dunque, di questo concetto che continua a tornare nel dibattito pubblico per giustificare le opinioni più eccentriche, ma che crea così tanti problemi?

Nel caso in esame, per esempio, la Costituzione “materiale” viene collocata nel contesto di una performance argomentativa dagli esiti paradossali: La Russa arriva a sostenere che l’introduzione del “Premierato”, che determinerebbe, con tutta probabilità, un sensibile ridimensionamento dei poteri e del ruolo del Capo dello Stato, sarebbe coerente con l’originaria voluntas dei Padri costituenti. E ciò perché appunto la riforma servirebbe a riaffermare lo spirito della Costituzione formale contro la Costituzione materiale, in base alla quale il Presidente della Repubblica disporrebbe di poteri esorbitanti dal ruolo originariamente assegnatogli. Occorre notare, tuttavia, che i Costituenti, com’è noto, erano traumatizzati dalla tragica esperienza del regime fascista ed è vero che rifuggirono ogni ipotesi di presidenzialismo, ma finirono anche con il conferire una connotazione debole alla figura del Presidente del Consiglio dei ministri proprio perché condizionati dalla “sindrome del tiranno”. E se proprio si volesse tornare allo spirito dei Costituenti, si dovrebbe provare semmai, con ben altri interventi riformatori, a rinvigorire le moribonde Assemblee parlamentari, non certo a rafforzare un Esecutivo la cui stabilità, come ha ricordato Roberto Bin su queste pagine, sottolineando un paradosso del progetto di riforma in discussione, può contare su una maggioranza molto ampia e solida…

In questo, come in altri casi, la Costituzione materiale funge da espediente argomentativo per sostenere il progetto di riforma di turno. Ma l’idea di fondo è che la Costituzione materiale sostenga ormai la figura di un Capo dello Stato da forma di governo presidenziale, e però privo di investitura popolare (in quanto eletto dal Parlamento in seduta comune, pur nella forma integrata dai delegati regionali), al quale, in tesi, sarebbe giusto sostituire un Presidente del Consiglio dotato di una più solida legittimazione democratica. Una Costituzione materiale rappresentata come carente sul piano della sua democraticità, la quale però, paradossalmente, avrebbe abbattuto ogni conventio ad excludendum nei confronti delle forze politiche eredi del partito fascista contro il quale la stessa Costituzione formale fu scritta.

Il ricorso al concetto di “costituzione materiale” nel dibattito pubblico ricorda il processo di sublimazione descritto da Freud e poi ripreso, dopo di lui, da tanti altri psicoanalisti (seppur con diverse declinazioni): un meccanismo di difesa utile a trasformare in espressioni creative (come, ad esempio, l’arte o la scienza) pulsioni reputate socialmente inaccettabili. Il riferimento non sembri azzardato, ma, in un certo senso, la Costituzione “materiale” parrebbe svolgere la medesima funzione: quella di sdoganare pulsioni che, se fossero manifestate esplicitamente, risulterebbero altrimenti indigeste. Pulsioni (come appunto la perenne attrazione per l’uomo solo al comando) radicalmente incompatibili con i principi della Carta repubblicana, come quelli di democrazia, libertà ed eguaglianza. La formula “costituzione materiale”, evocando la rassicurante idea di ordine e allontanando lo spettro del caos, in qualche modo vuole tranquillizzare sulle intenzioni di chi ne fa uso.

Che fare, dunque, di tale categoria? Sopprimerla, come qualcuno ha suggerito di fare con altri termini forse ancora più evocativi, come “sovranità”?

Adottare un altro meccanismo di difesa, pur maturo e consapevole, come quello della soppressione, sarebbe un errore. Significherebbe aprire il recinto entro cui finora sono rimaste confinate le pulsioni distruttive e autoritarie sublimate nella categoria della Costituzione materiale; pulsioni che, nella migliore delle ipotesi, non farebbero altro che trovare altri recinti simbolici.

L’unica soluzione sembra allora essere quella di entrare in quel recinto e di affrontare quelle pulsioni, provando a spiegare, con pazienza, che la soluzione ai tanti problemi che affliggono la nostra società non è affidarsi ancora una volta all’uomo forte (idea ovviamente assente anche nella Costituzione formale), ma puntare sulla logica del dialogo e della mediazione, propria della democrazia pluralista, sul sistema di pesi e contrappesi che regge la struttura dello Stato costituzionale e che sola può assicurare un’effettiva garanzia dei diritti inviolabili della persona umana.

Teniamoci, dunque, la Costituzione materiale, spiegando però che essa non è, per definizione, in conflitto con quella formale, serve anzi a riaffermarne i principi fondanti e, ove necessario, ad aggiornarla, ma sempre in linea con i suddetti principi, traduzione storica dell’etica repubblicana e patrimonio culturale dell’Italia antifascista.

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