Competenza in materia di ambiente, perché tutte le Regioni la vogliono?

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di Federica Cittadino*

Il “governo del cambiamento” ha ereditato, fra gli affari correnti, l’esame di una serie di proposte regionali sul passaggio di competenze legislative in materia di ambiente ed ecosistema dallo Stato ad alcune Regioni e Province autonome (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige).

Si tratta di un’annosa questione che ha le sue origini nella riforma costituzionale del 2001, la quale ha inserito in Costituzione la competenza legislativa in materia di ambiente, affidandola peraltro alle cure esclusive della legislazione statale. Questo, si reputava, era il metodo migliore per assicurare l’unitarietà della tutela ambientale e l’immediata trasposizione della normativa europea in materia di ambiente. Purtroppo, né l’uno né l’altro obiettivo sembrano essere stati raggiunti con coerenza. Oltretutto, negli anni a seguire la riforma, la Corte costituzionale ha spazzato via, almeno formalmente, il margine di intervento delle Regioni in materia ambientale, che fino al 2008, seppur in certe forme e con certi limiti, si dava per scontato.

Ecco perché oggi le Regioni tornano a reclamare quello che reputano sia un loro legittimo ambito di intervento, la normazione dell’ambiente, settore che si sovrappone a numerose competenze legislative regionali, quali l’urbanistica, la caccia, l’utilizzazione delle acque pubbliche per citarne alcune, col risultato che se le Regioni non possono legiferare in tale materia, anche le competenze nelle materie adiacenti all’ambiente rischiano di essere svuotate. Ma è proprio così? Guardando per esempio alla prassi delle Province autonome molto attive in materia di ambiente, si evince che, pur in assenza di una competenza formale all’interno dello Statuto, le stesse hanno ampiamente legiferato su questioni quali la tutela delle acque dall’inquinamento, la conservazione della biodiversità tramite l’istituzione di parchi, la protezione del suolo e i limiti alle emissioni nell’aria.

Certo, su questi interventi pende sempre la scure della Corte costituzionale che, come già successo, potrebbe ritenere i confini della legislazione nazionale assolutamente invalicabili e, di conseguenza, dichiarare l’incostituzionalità di normative regionali adottate nell’esercizio di competenze regionali/provinciali esclusive o concorrenti. Ecco probabilmente perché le Regioni vorrebbero scritto a chiare lettere nei propri Statuti che la legislazione regionale può e deve occuparsi di ambiente. In mancanza di riforme statutarie e in virtù dei limiti costituzionali relativi alle Regioni ordinarie, l’Emilia Romagna, la Lombardia e il Veneto hanno chiesto ai sensi dell’art. 116 c. 3 della Costituzione di attuare il cd. regionalismo differenziato tra le altre cose in materia di ambiente. Le Province autonome invece hanno avviato in parallelo due processi di modifica dello Statuto, dal basso, tramite processi partecipativi (Consulta e Convenzione) e, dall’alto, con un disegno di legge costituzionale, che includono a chiare lettere la potestà legislativa in materia di ambiente ed ecosistema tra le competenze primarie provinciali. Si tratta quindi di procedure diverse, di fonti normative diverse, ma che sottendono a un’unica questione politica: lo Stato è disposto a cedere delle competenze legislative in materia di ambiente alle Regioni che lo richiedano?

Cosa rischia lo Stato in termini di unitarietà della tutela ambientale e pronta attuazione degli standard europei? Se da una parte, in alcuni settori quali la tutela delle acque, alcune Regioni si sono mostrate più sollecite nell’attuare la normativa europea, resta la questione di assicurarsi che i beni e i problemi ambientali vengano trattati in prospettiva ecosistemica e unitaria a livello nazionale. In effetti, assicurare un elevato livello di tutela è non solo un’esigenza statale ma un principio di diritto europeo. D’altra parte, la tutela concreta dei beni ambientali passa spesso attraverso normative specifiche che disciplinano settori di intervento materiali più circoscritti, quali acque, rifiuti, suolo, energia che necessariamente si intrecciano con interessi, problematiche e competenze regionali, provinciali e locali. Da questo punto di vista, la tutela dell’ambiente si presenta necessariamente nella sua dimensione multilivello ed è quindi opportuno che le Regioni ne disciplinino alcuni aspetti, anche per garantirne una migliore attuazione. I punti cardinali irrinunciabili di un’apertura nei confronti delle Regioni restano però la disciplina europea, i cui obiettivi e strumenti principali devono essere rispettati, il mantenimento di una parallela competenza statale in materia di ambiente, per cui la competenza regionale risulterebbe necessariamente concorrente, e la necessità di rafforzare le sedi di coordinamento con lo Stato.

Sul secondo punto, mi preme sottolineare che ogni riforma degli Statuti che si rispetta dovrebbe andare oltre l’elencazione della materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. A una mera elencazione si è però limitato il già citato ddlc per la riforma dello Statuto del Trentino-Alto Adige. La mera acquisizione formale della competenza potrebbe infatti non bastare per spegnere il contenzioso e certamente non sarebbe utile ad assicurare il necessario coordinamento fra i diversi livelli di intervento. Diverso il caso dei progetti per attuare il regionalismo differenziato che, in maniera meno ambiziosa, ma certamente più in linea con l’idea di una governance multilivello, puntano all’acquisizione di poteri legislativi per disciplinare le funzioni amministrative regionali e locali in materia di ambiente.

Il coordinamento tra i vari livelli sembra, in conclusione, la chiave di volta del sistema, sia per prevenire il conflitto istituzionale ed evitare le pronunce negative della Corte costituzionale, sia per assicurare al contempo un’adeguata tutela dell’ambiente. In questo modello, non c’è spazio per una competenza esclusiva in materia di ambiente, che sia dello Stato o delle Regioni. Al contrario, la contrattazione delle politiche ambientali a monte del processo legislativo si sostituisce a una logica di attribuzione formale delle competenze. La Conferenza Stato-Regioni in questo senso potrebbe riacquistare centralità per le Regioni ordinarie. In parallelo, le Regioni autonome potrebbero intervenire nelle sedi di contrattazione dedicate, nell’ambito ad esempio delle norme di attuazione dello Statuto che specifichino le competenze speciali in materia di ambiente e i rapporti con le parallele funzioni statali. Il coordinamento con le altre Regioni sulle questioni di portata extraregionale sarebbe però certamente necessario e il legislatore costituzionale dovrebbe quindi concentrarsi su questi aspetti per garantire una più efficace tutela ambientale.

* Ricercatrice Eurac

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