Donne e politica, in Calabria si continua … a cavalcare le lumache!

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di Ugo Adamo

Lo scorso 26 gennaio il corpo elettorale calabrese si è recato alle urne per esprimere il proprio voto per il Presidente della Giunta regionale e per i trenta consiglieri dell’organo legislativo regionale. Lo ha fatto, però, senza che il proprio legislatore (uscente) abbia dato séguito ad una precisa disposizione legislativa statale, quella relativa alla previsione delle misure di pari opportunità fra uomini e donne nella normativa elettorale.

Nei prossimi giorni si insedierà il nuovo Consiglio regionale calabrese dando l’inizio alla XI Legislatura con una presenza di donne fra i consiglieri eletti che continua ad essere deludente, perché ancora una volta desolatamente sporadica. A ricordare le ultime Legislature, l’esclusione di fatto delle donne dall’accesso ai consessi istituzionali calabresi pare essere consustanziale alle istituzioni medesime. I numeri – che avrebbero dovuto essere letti dal Legislatore in modo quanto meno preoccupante per la “salute” delle istituzioni regionali – sono: due donne sia nella VIII che nella IX Leg., una sola in quella appena conclusasi, e di nuovo due in quella che ora si apre.

Se l’elezione di Jole Santelli (neo eletta Presidente della Giunta regionale e prima donna alla guida dell’organo esecutivo regionale) può essere salutata con interesse al fine della promozione del principio di pari opportunità, quella dei consiglieri non è riuscita ad avvicinarsi neanche lontanamente ad una democrazia che possa definirsi compiuta, nella quale, cioè, sia gli uomini che le donne riescono a competere a parità di chance nelle tornate elettorali.

Questo più che un auspicio è un obbligo (Corte cost., sent. n. 49 del 2003) gravante sui legislatori regionali che devono prevedere tutte le misure di antidiscriminazione tali da superare quelle barriere invisibili (ma pur ben presenti) che limitano di fatto il pieno principio di eguaglianza.

La Corte costituzionale è intervenuta nel corso delle ultime decadi con decisioni di estremo rilievo, il cui approdo giurisprudenziale può essere così riassunto: 1) non si possono introdurre misure volte ad attribuire direttamente un risultato a favore del genere storicamente sottorappresentato e che incidono sulla competizione elettorale (le c.d. “quote rosa”); 2) si possono introdurre misure che si limitano a vincolare i partiti nella presentazione delle liste e che condizionano la fase precedente alla competizione elettorale (le c.d. “riserve di lista” o “quote di lista”; “doppia preferenza di genere”).

Anche per dar seguito a questa giurisprudenza, da ultimo è intervenuto il legislatore statale che nel 2016 ha licenziato una legge, abbastanza stringente (forse anche troppo), che vincola il legislatore regionale a seguito della scelta del concreto sistema elettorale adottato.

Per la Calabria, che ha un sistema di elezione con le preferenze, è previsto che le misure da adottare siano due ed entrambe cumulativamente richieste: a) quota/riserva di lista del 40 per cento (in ciascuna lista i candidati di uno stesso sesso non devono eccedere il 60 per cento del totale); b) preferenza di genere (deve essere assicurata l’espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso; in caso contrario, le preferenze successive alla prima sono annullate).

Il Consiglio calabrese, nonostante nel corso degli ultimi anni abbia discusso sulle modifiche da apportare alla propria legge elettorale (che è del 2005), ha volutamente disatteso il vincolo che la legge di principio statale (la l. n. 20/2016) pone votando contro i diversi progetti di legge presentati.

Sideralmente lontana dalle indicazioni che avrebbero dovuto essere normate, la legge elettorale continua a prevedere che in ogni lista devono essere presenti entrambi i sessi; tale norma per i presentatori delle liste è stata così interpretata: almeno una donna in ogni lista.

Su 38 liste ben 23 presentavano una sola donna candidata, mentre 9 liste ne avevano ben due (sic!). Nelle restanti solo due ne avevano almeno il 40%.

È come se avere una donna presente fra le quattro candidature alla Presidenza (il passo in avanti) potesse aver colmato il vuoto sempre presente nelle liste provinciali (i tanti passi non compiuti).

La conseguenza di tali limiti, che costituiscono misure veramente blande, se non proprio minime, è che il Consiglio calabrese è fra quelli quasi interamente monogenere, con la conseguenza che la qualità del rappresentante e della rappresentanza politica ne escono dimidiate per il mancato apporto di una delle due metà che compongono il genere umano.

Ma non siamo solo dinanzi ad un vulnus politico, quanto piuttosto ad una violazione (seppure indiretta) della Costituzione; siamo, cioè, dinanzi una omissione legislativa e, quindi, ad una incostituzionalità sopravvenuta per mancato adeguamento alla legislazione di principio statale essendo quella del sistema di elezione una materia concorrente fra Stato e Regione ex art. 122 Cost., nella quale alla Regione spetta la potestà legislativa salvo che per i principi fondamentali la cui determinazione è riservata, per l’appunto, alla legislazione statale.

Ricordando che spetta alla legge regionale la promozione della parità di accesso tra donne ed uomini alle cariche elettive (art. 117, c. 7, Cost.) e che nessuna Regione ha impugnato nei termini previsti (60 gg dalla pubblicazione) la legge statale che dispone proprio in ordine al principio di pari opportunità (la n. 20/2016), ad oggi la Calabria è la prima Regione con cui si è votato con una legge chiaramente elusiva del dato legislativo appena richiamato.

Non si può affermare – e quindi non lo si fa – che la presenza delle misure antidiscriminatorie declinate financo nel loro massimo equilibrio (composizione delle liste al 50% fra uomini e donne e doppia preferenza di genere) assicuri in modo certo un riequilibrio della rappresentanza, ma si può fattualmente rilevare che – almeno in Calabria, ma non solo – la presenza di misure talmente blande da potersi considerare inconferenti per il risultato a cui per ratio dovrebbero tendere ripropone la più atavica delle diseguaglianze, quella fra uomini e donne.

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