Effetto domino del corona virus. 6 proposte di contrasto ad impatto immediato

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di Giuseppe Di Gaspare

1- Misure prontamente efficaci a tutela del lavoro fragile – Bisogna preoccuparsi dell’effetto domino sull’economia nazionale del coronavirus e di contrastarlo in modo sistemico e subito efficace, al fine di mitigarne l’impatto depressivo sui settori maggiormente esposti, terziario e servizi privati, soprattutto, medie piccole imprese, microimprese individuali, lavoratori autonomi maggiormente esposti al rischio di interruzione dell’ attività, con ricadute cumulativamente pesanti sull’occupazione. Settori in cui si profila da subito un consistente calo dell’occupazione con conseguente aggravamento inevitabile e correlato della spesa per sussidi, reddito di cittadinanza, ad accesso piuttosto farraginoso, voucher una tantum e CIG in deroga quando praticabile. Interventi successivi alla cessazione del lavoro e di sostegno al reddito non sempre esperibili rapidamente nel caso di imprese piccole e medie che una volta attivati rischiano di cronicizzarsi e che come tali non sono in grado di riattivare imprenditorialità e occupazione.

2 – Un decreto-legge agile incentrato su tagli fiscali – Per fare presto, lo strumento prioritario immediatamente efficace dovrebbe essere soprattutto la riduzione, abbattimento od esonero dalla imposizione fiscale (e non semplici rinvii dei pagamenti delle imposte a qualche mese).

Esonero dalle tasse e contributi previdenziali sul lavoro privato dipendente, condizionando però l’esonero all’impegno dell’impresa beneficiaria alla salvaguardia dei posti di lavoro e ovviamente alla corresponsione da parte del datore di lavoro degli stipendi sgravati dalle ritenute fiscali e previdenziali alla fonte.

Esonero anche dall’imposta sul reddito d’impresa che dovrebbe riguardare anche gli utili eventualmente realizzati nel 2020 in modo da incentivare l’imprenditore e tenere duro e mantenere in esercizio l’attività. Allo stesso fine l’importo delle locazioni degli immobili adibiti attività commerciali regolarmente registrati – con eccezione di alimentari e farmacie – dovrebbero essere ridotti al 50%. esonerando i proprietari degli immobili locati dal pagamento dell’IMU nella stessa percentuale. Analogo discorso andrebbe fatto anche per tutti i lavoratori a partita IVA con esonero dall’imposta sul reddito almeno fino ad un certo importo per tutti i lavoratori autonomi. Le medie e piccole imprese che mantengono i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa dovrebbero essere incentivate a non ricorrere alla risoluzione di tali contratti, con l’esonero per l’anno in corso dall’imposta sul reddito ed esonerandole dal versamento dell’IVA e dal contributo previdenziale a loro carico per lavoro autonomo occasionale dalle stesse impegnato. Contributi che dovrebbe invece essere messi a carico del sistema previdenziale.

Sono misure di defiscalizzazione apparentemente dispendiose ma non è così in realtà. Nella sostanza si tratta di rinunciare a tasse e contribuzioni destinate a non essere riscosse per la cessazione, chiusura, liquidazione, fallimento delle imprese destinatarie delle stesse qualora la crisi economica generata dal coronavirus non venisse così mitigata. Una rinuncia ad un gettito improbabile, dunque, a fronte di un vantaggio consistente quantomeno nel contenere l’aumento della disoccupazione e conseguente correlato incremento della spesa assistenziale pubblica. Meglio cercare, per quanto possibile, di prevenire la recessione nella fase genetica piuttosto che intervenire ex post quando gli effetti recessivi si saranno stabilizzati e i sussidi alla disoccupazione saranno destinati a protrarsi al di là del periodo di emergenza sanitaria.

Tali misure di detassazione ovviamente lenirebbero il ricorso alle varie inevitabili forme di CIG anche in deroga contribuendo a contenere l’impennata della spesa pubblica e l’ulteriore divaricazione del rapporto PIL /debito con conseguente peggioramento dei parametri macroeconomici e finanziari – su quali siamo tenuti sotto osservazione ( spread), per quanto possano essere resi congiunturalmente flessibili dall’UE in permanenza dell’epidemia.

 

3 – Mitigare la crescita del deficit per effetto del coronavirus con riduzioni significative della spesa storica. Per contenere l’incremento del debito pubblico, si dovrebbe intervenire subito anche con misure di contenimento della spesa pubblica, comunque inevitabile, per l’emergenza coronavirus, tendendo conto ovviamente anche del fatto che il riconoscimento degli sgravi fiscali ridurrebbe (almeno contabilmente) il presunto gettito inscritto a bilancio per il 2020. Alla riduzione delle entrate (che comunque si verificherà se non come scelta politica come conseguenza dell’inerzia) bisognerà necessariamente fare fronte con una riduzione, anch’essa immediata, della spesa pubblica.

Una riduzione degli stipendi del settore pubblico allargato costituirebbe un intervento apprezzabile in termini quantitativi, ma relativamente contenuto proprio perché spalmato su una platea ampia di soggetti. Amministrazioni statali, regioni, comuni, imprese in mano pubblica, enti pubblici con autonomia funzionale, anche le università, enti pubblici economici, Autorità di regolazione come Antitrust, Banca d’Italia etc., escluso per ovvi motivi il comparto della sanità pubblica.

Tali riduzioni, ispirate al principio costituzionale della solidarietà economica e sociale, riguarderebbero maggiormente le retribuzioni medio alte della dirigenza pubblica sia stabile sia a contratto, e anche il management delle partecipate pubbliche. Una riduzione stipendiale proporzionale e progressiva secondo le classi stipendiali, come previsto dalla Costituzione per l’obbligo di contribuzione fiscale ( art 53). La trattenuta dovrebbe ridursi via via fino a cessare per gli scaglioni stipendi meno elevati tenendo presente, come unico parametro correttivo, il numero dei famigliari a carico.

La decurtazione retributiva dovrebbe rimanere in vigore come misura eccezionale per un periodo di tempo limitato e predeterminato – ragionevolmente il 2020 forse anche l’anno successivo- e rivedibile anticipatamente nel caso il miglioramento della situazione epidemiologica e la ripartenza dell’economia. Misure in linea con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell’UE nella causa C-64/16,con la quale ha riconosciuto la piena conformità con il diritto dell’Unione Europea della legge del Portogallo n. 75/2014, che ha stabilito meccanismi di riduzione temporanea delle retribuzioni nel settore del pubblico impiego per un triennio.

Non dovrebbero esserci eccezioni nella riduzione temporale delle retribuzioni neppure per quelle Istituzioni che hanno il potere di decidere autonomamente sul proprio fabbisogno – autodichia – addossandone il costo alla finanza statale. Le Istituzioni e gli Organi costituzionalmente rilevanti sarebbero chiamati a dare l’esempio. Una platea più amplia di soggetti destinatari della misura di riduzione stipendiale dunque di quello previsto decreto-legge 78/ 2011 sanzionato dalla Corte Costituzionale (223/2012) per “irragionevolezza” nella parte in cui dispone di “ingiustificata limitazione della platea dei soggetti passivi”. La platea dei soggetti passivi può in realtà essere immediatamente individuata sulla base della classificazione ISTAT del settore pubblico allargato. Tali riduzioni ispirate al principio costituzionale della solidarietà economica e sociale riguarderebbero maggiormente le retribuzioni medio alte della dirigenza pubblica, sia stabile sia a contratto, e anche il management delle partecipate pubbliche controllate dallo stato o da altri enti pubblici. Una riduzione stipendiale proporzionale e progressiva modulata secondo classi stipendiali, come previsto dalla Costituzione (art 53) per l’obbligo di contribuzione fiscale e ribadito dalla Corte costituzionale nella citata 223/ 2012, in modo da eliminare ogni irragionevole effetto discriminatorio.

 

Analoghe misure di riduzione degli importi in modo speculare e sempre per una durata analoga andrebbero applicate alle pensioni, indennità e vitalizi; in questo caso la misura dovrebbe essere estesa anche alle pensioni del settore privato e non esclusivamente quelle a carico dell’INPS, ma derivanti anche da fonti di finanziamento autonome per legge. Cumulando gli interventi sulle retribuzioni e sulle pensioni si dovrebbe cercare di arrivare ad una percentuale del 2/3 % dell’importo complessivo della spesa prevista per il 2020.

Anche in questo caso tale riduzione congiunturale, se prontamente attuata, eviterebbe di divenire successivamente necessitata , nel caso di inerzia a fronte del peggioramento del rapporto PIL / debito pubblico, e riduzione delle entrate fiscali con conseguente inevitabile aggiustamento al ribasso dell’equilibrio dei conti pubblici al quale non si potrebbe certo far fronte rivendicando la salvaguardia di cosiddetti “diritti quesiti”.

4 – Mobilitare anche il risparmio nazionale in funzione di una riduzione degli oneri di servizio pubblico. Una stretta sulla spesa del settore pubblico eticamente fondata e condivisibile costituirebbe un segnale efficace per un appello al pubblico risparmio con emissioni di titoli di debito ad hoc . In questo quadro un’ulteriore misura potrebbe riguardare il reperimento di risorse finanziare aggiuntive tramite più emissioni di serie di titoli del debito pubblico BOT/CCT di durata variabile, almeno triennale, da collocare al dettaglio direttamente ai risparmiatori riducendo o azzerando i costi di intermediazione in modo da fare concorrenza alle emissioni riservate agli investitori istituzionali. Emissioni “Italia” dunque, ma non con tasso fisso al 0.6, bensì remunerate con un tasso di interesse ridotto al 50% rispetto a quello delle emissioni per la stessa tipologia di durata collocate tramite i canali finanziari e bancari e gestite quasi sempre nel collocamento dallo stesso ristretto pool di istituzioni finanziarie transnazionali.

L’appello al pubblico risparmio nazionale a tasso di interesse variabile o fisso, comunque calmierato, sarebbe comunque appetibile per i piccoli e medi risparmiatori rispetto al tasso zero se non negativo corrisposto dalle banche sui depositi. Tali emissioni potrebbero essere per tagli di importo e durate maggiori rispetto a quelle finora emesse retail anche con durata anche pluridecennale. L’emissione a tasso calmierato rivolta direttamente al dettaglio darebbe un consistente aiuto a ridurre gli oneri del debito pubblico e contrastare l’aumento del tasso di interesse anche sui collocamenti tramite operatori finanziari istituzionali, con impatto positivo anche sullo spread, poiché la riduzione degli oneri per la spesa pubblica modificherebbe positivamente la percezione del rischio paese e aumenterebbe conseguentemente il giudizio di solvibilità del nostro debito.

Il risparmio in giacenza nei c/c bancari ammonta a circa ¾ del debito pubblico. Se fosse incentivato all’investimento in titoli di stato avremmo una minore esposizione al rischio nei mercati finanziari. Come avviene per il debito giapponese che, per quanto estremante elevato rispetto al PIL (circa il 180%), è ritenuto non a rischio di insolvenza in quanto collocato al 90% al pubblico risparmio nazionale. Inoltre, l’ampliamento dei soggetti detentori del debito sarebbe in linea con le raccomandazioni dell’ESMA di diminuire l’esposizione delle banche italiane sui titoli del nostro debito pubblico.

La misura sicuramente fattibile, cadenzata nel corso dell’anno per le nuove emissioni anche in sostituzione di quelle in scadenza segnerebbe da subito un’ inversione di tendenza. Non sarebbe male al riguardo seguire il suggerimento di Minenna, di dotarsi, per una più efficiente e controllata gestione del nostro indebitamento, di un’agenzia nazionale per il collocamento dei titoli del debito pubblico sul tipo di quella in funzione in Germania.

Queste misure di abbattimento degli oneri ci dovrebbero consentire di stare alla larga dall’intervento del MES, e dalla ristrutturazione del debito.

Per chiudere il discorso sull’appello al pubblico risparmio nazionale per fini di interesse generale e per avere il giusto appeal etico la liquidità raccolta dovrebbe essere utilizzata per interventi di potenziamento e rafforzamento del sistema sanitario e miglioramento delle prestazioni erogate nella qualità e tempestività. Insomma, non dovrebbero confluire indistintamente nel calderone della spesa pubblica e dovrebbe essere accompagnata da un’effettiva spending review. Meglio queste misure proattive per la mobilitazione del risparmio nazionale che un’imposta sul patrimonio, anche una tantum, tendendo peraltro presente che l’imposta patrimoniale è già in atto strutturalmente in particolare sulla proprietà immobiliare sotto vari forme (IMU). Una ulteriore imposta patrimoniale avrebbe un effetto fortemente depressivo sul valore del risparmio investito. Oltre agli immobili che hanno perso il 30% mediamente dall’inizio della crisi finanziaria del 2009, ne sarebbero colpiti azioni, obbligazioni, altri valori mobiliari, già in caduta libera nelle quotazioni e nei listini, causa coronavirus.

5 – BCE : Whatever it takes anche per l’economia reale. Sul fronte del credito, la disponibilità di nuova liquidità dovrebbe essere incentivata con misure specifiche per le medie e piccole imprese con canali di finanziamento ad hoc da richiedere alla BCE utilizzando e irrobustendo con tale provvista le finanziarie e i fondi anche regionali già attivi nel settore del medio credito industriale. Su questa strada una possibilità da promuovere con una certa determinazione è l’accettazione in garanzia da parte della BCE di titoli di cartolarizzazione delle sofferenze bancarie per crediti all’economia reale (NPL) Si tratterebbe di estendere una misura già in atto per assai più improbabili titoli di agenzia (derivati finanziari) in possesso delle banche tedesche francesi e olandesi. La cessione d in garanzia alla Banca Centrale Europea dei derivati cartolarizzati a fronte di liquidità a lungo termine concessa alle banche nazionali dovrebbe essere canalizzata prioritariamente al microcredito agevolato alle PMI. Whatever it takes insomma anche per l’economia reale! Convincente anche la proposta di emissione di titoli fiscali statali con liquidità “a pronto” contro detrazioni di imposta “a termine” avanzata da Grassini, Anch’essa avrebbe un’incidenza pro-ciclica espansiva senza incidere sulla crescita del deficit.

6 – E poi… interventi di portata pluriennale – Le misure ad effetto immediato non devono inoltre fare da velo all’esigenza di interventi di portata pluriennale. Un breve promemoria. In primis il recupero di efficienza della spesa pubblica eliminando sprechi e risorse incagliate nei bilanci degli enti pubblici in particolare dello stato. Rinvio all’elenco dello sfoltimento della selva degli incentivi clientelari già da tempo individuata da Giavazzi ed anche quantificato in possibili tagli per circa 20 mld. Per il momento 10 mld di euro sarebbero già un buon risultato

Necessario l’avvio di una effettiva – non solo macro, ma anche micro – spending review per la quale sono state formulate da tempo proposte operative.

Per la ripresa dell’economia reale da “cantierare” con urgenza una revisione del sistema degli appalti pubblici che trasferisca il rischio dalla Stato alle imprese appaltanti e/o concessionarie – come avviene in quasi tutti i paesi nostri vicini, anche quelli meno inclini al diritto privato – con lenimento notevole della finanza pubblica per infrastrutture, forniture di beni e servizi. Evitare il continuo rifinanziamento urgente e emergenziale e sempre finanziariamente insufficiente delle Grandi Opere.

Più che sulle grandi opere si dovrebbe invece puntare piuttosto ad una fisiologica esigenza di manutenzione straordinaria diffusamente carente su tutto il territorio nazionale. Esistono già proposte di semplificazione e accelerazione al riguardo e qualche esempio di successo (Spagna). Non possiamo affidarci alla collaudata improvvisazione ed impreparazione della macchina emergenziale anche della protezione civile. Interventi emergenziali che si protraggono nel tempo come quello dell’Aquila accentrando burocraticamente decisioni e risorse e paralizzando al contempo ogni altra iniziativa autonoma dei cittadini. E una storia che tende a ripetersi nelle emergenze e non va perciò dimenticata. A partire del terremoto dell’Irpinia del 1982 -1988, il cui onere è stato calcolato di recente dalla Corte dei Conti a valori monetari attualizzati, per un importo pari a 250 mld di euro. Circa il 10% del nostro debito pubblico attuale. Se si ritiene di ricorre alla nomina di commissari ad hoc l’attribuzione di poteri speciali dovrebbe essere perciò strettamente circoscritta nell’ambito dell’emergenza epidemiologica e sanitaria e non farne l’occasione per interventi infrastrutturali eccezionali fuori bilancio e senza accountability che con il pretesto di far fronte a “eventi ora infausti ora meno, dai terremoti ai giubilei” sono state cumulativamente nei decenni passati la principale causa dell’aggravarsi del nostro debito pubblico, il cui conteggio è in attesa di un auspicale aggiornamento dei dati da parte della Corte di Conti.

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