In un Piemonte salito, oramai, al primo posto in Italia per numero di casi attivi (contagiati meno guariti e deceduti) rispetto alla popolazione, nonché al secondo per numero assoluto di contagiati, è dei giorni scorsi la notizia… che, su richiesta dell’Unità di crisi regionale, il 17 marzo 2020 il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino ha designato uno dei sostituti procuratori generali in forza alla Procura generale da lui guidata «quale magistrato destinato a mantenere i collegamenti con l’Unità di crisi regionale, a prendere parte alle riunioni che verranno indette, a fornire il proprio contributo scientifico-giuridico alla Commissione tecnico-scientifica». Al magistrato designato le autorità regionali potranno, in particolare, «rappresentare […] problematiche di natura giuridica, da valutare alla luce della situazione di emergenza in continua evoluzione ed aggravamento».
La motivazione portata a sostegno dell’atto di designazione richiama la disposizione normativa (l’art. 2 del decreto-legge n. 11/2020) e l’atto del Consiglio Superiore della Magistratura (delibera del 5.3.2020) adottati al fine di preservare gli uffici giudiziari e il personale che vi lavora dai rischi di contagio. Provvedimenti mossi dall’idea che i responsabili degli uffici giudiziari dovessero adottare tutte le misure necessarie ad assicurare il rispetto delle condizioni igienico-sanitarie dettate dalle autorità preposte al contrasto della pandemia, rivolgendosi all’autorità sanitaria competente per l’indicazione delle misure da adottare in concreto. Un’ipotesi, in tutta evidenza, che nulla ha a che vedere con lo stabile e diretto coinvolgimento di un esponente della Procura generale nei lavori dell’Unità di crisi e della Commissione tecnico-scientifica regionali.
Una cosa, infatti, è che i responsabili degli uffici giudiziari si avvalgano della consulenza delle autorità sanitarie per mettere in sicurezza gli uffici stessi; un’altra – anzi, il suo esatto contrario – che le autorità sanitarie, in senso ampio intese, si avvalgano della consulenza degli uffici giudiziari per agire a contenimento della pandemia.
E, in effetti, l’ipotesi configurata con la designazione effettuata dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino sembra inverare proprio questa seconda ipotesi: il coinvolgimento di un componente del potere giudiziario nell’attività di un organo esecutivo. Una circostanza che non può non suscitare perplessità, ben oltre il mero profilo formale, dal momento che la gestione dell’emergenza da parte dell’amministrazione regionale piemontese ha fatto emergere gravissime criticità, il cui rilievo penale non è possibile escludere a priori. Si pensi allo “smarrimento” delle email di segnalazione dei casi di positività effettuata dai medici di base ai Servizi di igiene e sanità pubblica, al trasferimento di persone contagiate dagli ospedali alle Residenze sanitarie assistenziali, alla mancata fornitura di adeguati dispositivi di protezione individuale al personale medico e infermieristico, alla scelta delle priorità nell’impiego dei tamponi e alla gestione delle conseguenti analisi. E proprio su quest’ultimo profilo la Procura di Torino ha ritenuto di dover aprire un’inchiesta giudiziaria, con il risultato che la magistratura si ritrova ora a indagare su scelte amministrative assunte da strutture che si sono avvalse della collaborazione di un suo componente. Un cortocircuito non da poco.
Quel che più colpisce è che, nel provvedimento di designazione, lo stesso Procuratore generale di Torino si mostra pienamente consapevole della delicatezza istituzionale della situazione, escludendo, in motivazione, di potersi rivolgere sia a «un magistrato degli uffici requirenti di primo grado, in quanto occorre assicurare ai Procuratori della Repubblica, titolari dell’azione penale, l’assenza di qualunque tipo di coinvolgimento in materia di pareri e condivisione di percorsi di scelta che, allo stato, competono solo all’autorità di governo», sia a un membro della «magistratura giudicante, che un domani potrebbe essere chiamata a pronunciarsi su questioni di natura civile o penale».
Ottime motivazioni, sulla base delle quali respingere la richiesta pervenuta dall’Unità di crisi e dalla Commissione tecnico-scientifica regionali, che però, curiosamente, sembrano non essere state ritenute valide per la figura del sostituto procuratore generale, come se non sia anch’egli, incontestabilmente, parte degli uffici inquirenti (sia pure di secondo grado). Davvero difficile comprendere la ragione di questa peculiare considerazione, che resta, d’altronde, immotivata nell’atto di designazione.
L’emergenza sanitaria in corso sta avendo serie ripercussioni sul sistema costituzionale che disciplina la vita delle persone. Nonostante le molte criticità sollevate dal profluvio di interventi normativi (specialmente nella prima fase, precedente all’approvazione del decreto-legge n. 19/2020), i cittadini hanno fatto fronte ai sacrifici richiesti – alcuni purtroppo anche a sofferenze e lutti – con senso di responsabilità. Se ciò è avvenuto è perché in tanti, di fronte alla paura, hanno ritenuto di affidarsi alle istituzioni. È, allora, di fondamentale importanza, specie in vista del difficilissimo cambio di fase in arrivo, che anche le istituzioni agiscano con altrettanto senso di responsabilità. Il che implica, anzitutto, che ciascuno faccia la propria parte, applicando rigidamente i dettami del costituzionalismo improntato alla separazione dei poteri e senza sovrapposizioni di ruoli che possano anche solo dar adito al sospetto di improprie commistioni.
* Professore associato di Diritto costituzionale – Università di Torino