Perché la Corte federale tedesca ha sbagliato

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di Glauco Nori

La Corte costituzionale federale tedesca, con la sentenza del 5 maggio scorso, ha provocato una specie di frattura nel sistema comunitario. Nell’analizzarla si corre il rischio di qualche disarticolazione, provocata dalla disarticolazione della motivazione.

La Corte ha sollecitato la BCE a dimostrare “in a comprehensible and substantiated manner” che gli obiettivi della sua politica monetaria, perseguiti con la PSPP, non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica economica e fiscale che produce. In mancanza, la Bundesbank non dovrebbe dare esecuzione ai provvedimenti della BCE.

La Corte è intervenuta su due piani: su quello comunitario, richiedendo alla BCE di integrare i suoi provvedimenti, e su quello nazionale, indicando alla Bundesbank la condotta da seguire.

Che un giudice, anche se costituzionale, dia ordini, perchè di ordini sostanzialmente si tratta, ad istituzioni supernazionali e ad enti pubblici nazionali, non rientra negli schemi tradizionali. Dovrebbe, come ogni giudice, interpretare le norme rilevanti e valutare alla loro stregua gli atti ed i comportamenti sottoposti a giudizio. Si potrebbe obiettare che si tratta di dati formali che non cambierebbero i termini sostanziali delle questioni. Senonchè in questo caso la forma si coordina con le conclusioni alle quali la Corte è arrivata.

 La Corte non ha ritenuto necessario spiegare in base a quale norma o principio una istituzione comunitaria, a sostegno di un suo atto, debba fare una valutazione comparativa tra due settori su uno dei quali l’Unione non ha competenza. Sul punto la Corte ha dimostrato di non avere dubbi: la BCE  dovrebbe dimostrare che gli obiettivi di politica monetaria, perseguiti dalla PSPP, non sarebbero sproporzionati rispetto agli effetti di poltica economica e fiscale. Viene richiesto alla BCE un giudizio di relazione, quale è quello sulla proporzionalità che, su uno dei due versanti, investe una materia che non è di sua competenza. Anche se non lo dice, non basterà che la BCE integri la motivazione per chiudere la controverrsia, perchè la Corte si riserva di valutarne la correttezza.

La Corte aveva già sottoposto alla Corte di Giustizia cinque questioni pregiudiziali  sullo stesso argomento. Con la sentenza 11 dicembre 2018 (C-493/17) , gli interventi della BCE, attinenti alle prime quattro, erano stati giudicati legittimi, mentre era stata dichiarata irricevibile la quinta per essere il quesito solo ipotetico senza rapporto con il giudizio. La Corte tedesca ha ritenuto di poter ritornare sull’argomento, seguendo  questa volta  criteri diversi.

La premessa è formulata in forma assiomatica: il Governo Federale ed il Bundestag possono avere violato i diritti dei ricorrenti per non avere verificato che i provvedimenti della BCE in esecuzione della PSPP fossero stati presi senza accertare che non fosse stato violato il principio di proporzionalità. La sentenza della Corte di Giustizia, che li aveva giudicati legittimi, non sarebbe comprensibile.

Una prima osservazione, forse banale: la non comprensibilità può dipendere sia dal modo in cui è formulato ciò che si deve comprendere sia dalla capacità, o la volontà, di comprensione del destinatario. La Corte tedesca dà per scontata la prima ipotesi, senza indicare le ragioni della imcomprensibilità. La sentenza della Corte di Giustizia, pertanto, sarebbe stata resa ultra vires.

L’ultra vires è una formula in genere utilizzata quando manca il potere, inteso come vis; è meno appropriata quando ad essere coinvolto è il potere giurisdizionale, quando non  si esercita un potere attivo, una vis, ma quando si deve accertare il rispetto delle norme. La Corte in proposito è stata sbrigativa: come i provvedimenti della BCE anche la sentenza della Corte di Giustizia, che li aveva dichiarati legittimi, andava considerata ultra vires.

La Corte tedesca ha voluto probabilmente superare così qualche ostacolo di principio: rilevando le omissioni del Governo Federale e del Bundestag ha messo fuori discussione la sua giurisdizione. Anche in questo ha forse visto la via più rapida per  passare sopra alla sentenza della Corte di Giustizia senza doverne criticare la motivazione,  evitando  il rischio di un ultra vires a proprio carico.

Secondo la Corte quanto, sia pure a livello costituzionale, può capitare nell’ordinamento tedesco consentirebbe di neutralizzare i provvedimenti delle istituzioni comunitarie. In  termini ultimativi: ha rilevato di non essere vincolata dalla decisioni della Corte di Giustizia e che può, anzi, deve verificare se le decisioni dell’Eurosistema nella esecuzione del PSPP si mantiene nell’ambito delle competenze attribuite dall’ordinamento dell’Unione. Non si è domandata se lo stesso principio valesse per gli ordinamenti di tutti gli altri Stati membri ai quali non c’è nessun accenno. La Germania sarebbe soggetta ad una sorta di trattamento ad hoc. Questo può spiegare anche la perentorietà della motivazione: dichiarando incomprensibile la sentenza della Corte di Giustizia, ha dato un giudizio sommario della motivazione della sentenza senza curarsi di indicare le basi giuridiche.

La questione – non dovrebbero esserci dubbi – era di diritto dell’Unione. Non per essere pedanti, ma solo per sottolineare la singolarità del caso, si ricorda che l’art.267 TFUE attribuisce alla Corte di Giustizia la competenza a giudicare della validitrà degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi e dagli organismi dell’Unione; e che, quando la questione è sollevata davanti ad un organo giurisdizionale nazionale di ultima istanza, tale organo giurisdizionale “è tenuto” a rivolgersi alla Corte.

Che non avesse potere di decisione lo aveva implicitamente riconosciuto la stessa Corte tedesca quando aveva rimesso le questioni alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art.267 TFUE. Per coerenza, a maggior ragione, non si sarebbe dovuta attribuire il potere di sottoporre a giudizio la sentenza della Corte.

Quando la questione gli è ritornata, non ha investito di nuovo la Corte di Giustizia ai sensi dell’art.267, della quale conosceva già l’orientamento, ma ha proceduto in forma autonoma, chiendo direttamente alla BCE di integrare la motivazione dei suoi provvedimenti. Il procedimento logico, nei termini essenziali, può essere riassunto così: la politica monetaria è di competenza comunitaria; quella economica e finanziaria è rimasta alle istituzioni nazionali; la Corte di Giustizia ha omesso di verificare, rimediando alla omissione della BCE, se le iniziative della stessa BCE fossero sproporzionate rispetto agli effetti economici che avrebbe prodotto; avrebbe così violato il principio di proporzionalità, secondo il quale (ar.5.4 TUE)  “il contenuto  e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati”; alla omissione deve rimediare il giudice nazionale.

Per l’art.5.4 la proporzionalità va valutata in funzione degli obiettivi dei trattati, non degli effetti economici che si producono nei confronti degli Stati. Il giudizio non poteva essere, pertanto, se non della Corte Europea che proprio per questo era già stata investita.

Forse per rimediare alla debolezza dei suoi argomenti, la Corte tedesca è ricorsa ad altre forzature interpretative, una delle quali a proposito del principio di proporzionaltà  che atterrebbe alla divisione delle competenze tra l’Unione Europea e gli Stati membri.

L’art. 5.1. TUE dispone in termini del tutto chiari che “la delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione”; quello di proporzionalità regola, invece, “l’esercizio delle competenze”. Questo secondo principio opera dopo che le competenze dell’Unione sono state individuate in base al principio di attribuzione, per assicurare che siano esercitate correttamente.

La Corte tedesca è passata sopra alla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Per stabilire se una norma di diritto comunitario sia conforme al principio di proporzionalità  (v. sentenza  12 novembre 1996 Regno Unito c. Consiglio, C-84/94) si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto è necessario per raggiungere detto scopo (conforme la sentenza 9 novembre 1995, causa C-426/93, Germania/Consiglio, Racc. pag. I-3723, punto 42). Tra l’altro nel giudizio di proporzionalità la Corte ha riconosciuto al Consiglio, nelle sfere di sua competenza, un ampio potere discrezionale  per essere una scelta di politica sociale, fondata su valutazioni complesse. Di conseguenza, il controllo giurisdizionale è stato limitato alla verifica della  esistenza di un errore manifesto, dello sviamento di potere o se l’istituzione abbia manifestamente oltrepassato i limiti della sua discrezionalità.

Se i mezzi siano idonei a raggiungere lo scopo perseguito e se non eccedano quanto necessario per raggiungerlo, sempre secondo la Corte di Giustizia, è, dunque, un giudizio ampiamente discrezionale, da condurre, come è evidente, secondo l’ordinamento comunitario. Non c’è  spazio per i diritti nazionali e nel principio di attribuzione se ne trova la conferma.

Vale la pena di ripeterlo. I poteri della BCE sono quelli attribuiti dai Trattati. Se sia andata al di là è questione da risolvere secondo l’ordinamento dell’Unione, quindi dalla Corte di Giustizia perchè nel sistema dei Trattati  i giudici nazionali non hanno il potere di giudicare in via definitiva della legittimità comunitaria. Che gli Stati membri siano rimasti  “the Masters of the Treaties” non può valere nei settori comunitarizzati quale è quello della politica monetaria.

La questione dei rapporti tra giurisdizione nazionale e giurisdizione comunitaria è di vecchia data e superata ormai da tempo. Già da un punto di vista empirico si resta perplessi: un Giudice tedesco ha ritenuto di avere il potere di denunciare la incomprensibilità della motivazione adottata da un Giudice dell’Unione nel decidere su una materia che all’Unione è stata  attribuita. La Corte tedesca non si è nemmeno domandata se quel potere sia solo suo, su base costituzionale, o se vada riconosciuto anche alle Corti costituzionali degli altri Stati membri. Era in discussione la sfera di efficacia di un trattato internazionale e, in mancana di clausole di esensione, gli effetti non potevano essere che gli stessi per tutte le parti contraenti.

Chiedendo di integrare la motivazione attravero la valutazione comparativa degli obiettivi monetari con gli effetti di ordine economico, è stata sollecitata una violazione del diritto comunitario. La politica economica è di competenza nazionale; nel valutare gli effetti economici della sua politica monetaria, la BCE dovrebbe procedere ad un giudizio, ampiamente discrezionale, in una materia di competenza dello Stato al quale appartiene il soggetto che lo ha richiesto. 

Per quanto forti la Corte federale possa considerare i suoi poteri, non può pretendere di imporre ad una istituzone dell’Unione di verificare la proporzionalità dell’atto comunitario rispetto alle esigenze di una delle politiche conservate dalla stessa Germania. La Corte federale, se ritenesse che l’atto denunciato viola il principio cosituzionale tedesco di proporzionalità, potrebbe eventualmene proporsi la questione di costituzionalità  della legge tedesca di attuazione dei trattati  per avere consentito di violare un principio fondamentale delle Costituzione tedesca, ma non disporne l’applicazione diretta.

La Repubblica Federale potrebbe assumere l’iniziativa per l’adeguamento della nornativa comunitaria. Il problema sarebbe di politica comunitaria, non giuridico, e la soluzione non potrebbe essere lasciata ad giudice nazionale, qualunque ne sia il livello.

Si è fatta l’ipotesi di un ricorso per infrazione ai sensi dell’art.258 TFUE. C’è da domandarsi quale sarebbe la reazione del Corte tedesca se l’infrazione fosse accertata dalla Corte di Giustizia. Nella impossibiltà di riformare la sentenza, potrebbe essere tentata di disporne la disapplicazione, omettendo  anche questa volta, perchè non  c’è, di indicare la base giuridica.

Le quesioni sollevate, a parte la loro fondatezza, sarebbero eventualmente di competenza delle autorità politiche e non di un giudice nazionale, anche se costituzionale. In un momento nel quale è diventata ancora più necessaria la collaborazione comunitaria, in particolare nella politica economica, la vicenda non è un buon segno.

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1 commento su “Perché la Corte federale tedesca ha sbagliato”

  1. Non condivido l’analisi di una sentenza quasi universalmente contestata. Conviene distinguere due livelli nell’argomentazione dei giudici tedeschi, uno che riguarda la politica monetaria della BCE (A) e un altro, spiegazione della conclusione del primo, che riguarda le competenze nell’UE e la democrazia (B). Quello che collega i due argomenti è il potere di decisione e la responsabilità in materia fiscale (C). Sul primo volano sarei ancora più drastico nella critica, sia nella sostanza (vincolare l’azione della BCE significa distruggerne l’efficacia!) sia nella forma (il principio di proporzionalità è elastico e permette, in ogni materia, qualsiasi giudizio!). L’autore ignora l’elemento della necessità, oltre quelli dell’idoneità e della misuratezza; la violazione della condizione della necessità è un dettaglio determinante nella mia critica della legge elettorale italiana e della giurisprudenza costituzionale in materia. Nel caso commentato, al contrario, l’argomento della necessità (assieme all’idoneità) potrebbe salvare, a mio parere, l’interpretazione espansiva delle proprie competenze dalla BCE. Ma nessuno ci ha pensato. Sul resto sono del tutto in disaccordo con l’interpretazione fornita: 1. il BVerfG intima ordini unicamente agli organi costituzionali tedeschi, non alla BCE e nemmeno alla CGUE. 2. I principi affermati valgono, cela va sans dire (è un corollario non espresso nella sentenza), per gli organi costituzionali, corte supreme comprese, di tutti gli stati membri, in quanto pactorum domini (controparti dei trattati che si riconoscono reciprocamente sovrane). 3. Ogni stato decide secondo le proprie regole, uniformi nella misura della condivisione del costituzionalismo liberale, specifiche in concreto. Fra gli organi costituzionali bisogna contare oltre il governo e il parlamento anche il giudice supremo e il popolo sovrano, alle condizioni e nei limiti della costituzione. 4. Nessun insieme nazionale di cittadini-elettori-contribuenti dovrebbe essere costretto di assumere oneri fiscali e patrimoniali, se non espressamente approvati, da loro o dai loro rappresentanti legittimi. In particolare, i cittadini tedeschi, tutelati dal GG (articoli citati nella sentenza), possono difendere il loro diritti davanti al BVerfG; solo il Bundestag regolarmente eletto può creare o acconsentire a nuovi oneri fiscali. 5. I trattati UE riservano i compiti di politica economica e fiscale espressamente agli stati membri. L’UE non è uno stato federale, ma un’organizzazione inter-statale in cui il potere della competenza di delegare nuove competenze appartiene agli stati membri, non alle istituzioni comuni. 6. Queste definizioni precise (fatte valere dal sottoscritto in alcuni interventi critici ad articoli pubblicati negli ultimi mesi su questo forum, anticipando di fatto la sentenza) sono in contrasto con le categorie più fumose, equivoche, spesso implicite, diffuse non solo in Italia, ma difese espressamente da alcuni autori in altri paesi. 7. L’assioma obbliga il BVerfG di valutare se la giurisprudenza della CGUE non violi palesemente le garanzie nazionali, favorisca o ratifichi di fatto e in diritto un’estensione rampante, non democratica, delle competenze europee. Per fare ciò, il BVerfG deve analizzare i programmi di attività della BCE e le sentenze della CGUE, dichiarare i primi, dopo verifica autonoma in base al diritto costituzionale tedesco, non coperti dalle competenze attribuite espressamente e le seconde inapplicabili in Germania. 8. Alla fine l’effetto concreto della sentenza sarà, a mio parere, a prescindere dalle precisazioni che la BCE probabilmente fornirà su istigazione tedesca, una maggiore responsabilizzazione dei governi e dei parlamenti di tutti gli stati membri, in particolare nella definizione dei nuovi programmi di politica economica e fiscale, fra cui il New Generation EU appena annunciato. Solo una maggiore convergenza delle politiche economiche e fiscali potrà evitare future invadenze di campo, necessarie ma improprie, da parte della BCE. Maggiore convergenza significa condizioni precise, controlli stringenti e sanzioni severe per la liberazione delle nuove risorse comuni. 9. Sarà un brutto risveglio per il governo, i politici, gli esperti, i commentatori e l’opinione pubblica in Italia. Dopo le spavalde pretese, le pie illusioni, le misere analisi, i cinici occultamenti, le difese arroganti e le necessarie correzioni presentate come approfondimenti, la comprensione tardiva della realtà giuridica e politica sarà foriera di nuove delusioni dell’opinione, accuse all’UE e contrasti fra gli attori politici.

    Una mia analisi della sentenza è disponibile su Academia.edu: La sentenza costituzionale tedesca: Una tempesta in un bicchiere d’acqua che annuncia l’incombente uragano.

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