Uno scandalo al sole: il Bonus Partite IVA e la propaganda in vista del referendum costituzionale

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di Elena Falletti

In questi giorni caldi d’agosto c’è uno scandalo al sole che indigna (e appassiona) gli italiani, sia quelli che possono permettersi delle vacanze ristoratrici dopo gli stress dovuti al lockdown e alla pandemia, sia quelli che (ahiloro) non riescono a godersi una pausa tra l’inverno e la primavera passati così faticosamente e il nebuloso autunno che ci aspetterà tra qualche settimana. Si tratta del Bonus di 600 euro diretto alle partite IVA previsto dal Decreto Cura Italia. Esso era stato erogato senza particolari requisiti: era sufficiente la titolarità di una partita IVA, indipendentemente dal reddito, dall’effettivo calo di fatturato e/o dal patrimonio.

E quindi?

A quanto pare (ed era ampiamente prevedibile, data la discutibile assenza di requisiti da parte della norma erogativa) si è verificato l’assalto alla diligenza: moltissimi titolari di partite IVA, indipendentemente dal loro reddito, dall’effettivo calo di fatturato subito, dal loro patrimonio, ne hanno fatto richiesta. Legittimamente: non erano previsti particolari requisiti. Del resto, il bonus in questione era una misura d’urgenza, non si è avuto tempo per pensare a una misura strutturale, ma si è realizzato in una erogazione a pioggia di denaro che ha evangelicamente bagnato tutti, sia chi ne aveva bisogno, sia chi no.

Così, durante questo fine settimana, una notizia pubblicata da un primario quotidiano nazionale ha fatto emergere che tra coloro i quali hanno richiesto (e quindi ottenuto) il suddetto bonus c’erano anche cinque parlamentari (cioè lo 0,54% dei membri del Parlamento), già destinatari dei principeschi emolumenti legati al loro status. Successivamente, si è scoperto che tra questi vi sono esponenti di principali forze politiche che hanno fatto della fustigazione moralistica dei malcostumi degli amministratori pubblici la loro linea politica. Poi, ancora, è emerso che tra i richiedenti (e quindi recipienti) di tale sussidio vi sono molti altri soggetti che certo non fanno fatica a tirare fino a fine mese.

Come in un crescendo rossiniano è montata la rabbia popolare contro siffatti comportamenti. Tuttavia, perché stupirsi?

Se da un lato diventa quasi banale affermare che il Parlamento è lo specchio del nostro Paese, e quindi non è immune da condotte discutibili così diffuse nella società italiana, dall’altro lato, emergono riflessioni più complesse che concernono il rapporto tra la nostra società e i concetti di legalità, giustizia, equità, etica, morale e moralismo.

Partendo dalla circostanza che legalità, giustizia, equità, etica, morale e moralismo non coincidono mai, ed è bene che sia così, perché è necessario che ciascun summenzionato concetto se ne stia al suo specifico posto, tanto da un punto di vista filosofico quanto da quello giuridico. In estrema sintesi, la legalità riguarda il rispetto delle leggi, la giustizia la loro applicazione, l’equità la loro interpretazione, l’etica la loro formulazione, la morale lo spirito appropriato con il quale il singolo consociato obbedisce a tali leggi. In questa mia personale categorizzazione soltanto un concetto rimane orfano di un ruolo ed è il moralismo. Cosa è il moralismo? Esso riguarda il tasso di (in)tolleranza con cui giudichiamo i comportamenti altrui senza pensare a come poniamo in essere i nostri comportamenti in circostanze analoghe.

Si può affermare che il moralismo è così fastidiosamente diffuso da ammantare ogni avvenimento pubblico (e spesso pure privato) accaduto in questi ultimi anni: tutti pronti a giudicare chiunque, spesso duramente, e a essere indulgenti con se stessi.

Adesso tiro le fila del mio discorso. Perché quest’ultimo scandalo estivo è particolarmente fastidioso? Non certo per i 600 euro in più che diverse pasciute partite IVA hanno sottratto alle casse pubbliche. Dal punto di vista contabile (e morale) non sono differenti dalle enormi quantità di denaro sottratte alla annuale denuncia dei redditi da parte di molte di esse, e quindi di tasse, e cioè di denaro pubblico destinato alla erogazione dei servizi pubblici. Quindi dal (mio) punto di vista (concettuale) non c’è differenza. Infatti, se si completasse una vera operazione di trasparenza tributaria si scatenerebbe una rivolta. Chi ha una buona memoria, ricorderà che questo rischio quasi si concretizzò nel 2008, quando un ministro delle finanze a fine mandato autorizzò la pubblicazione delle denunce dei redditi di tutti i contribuenti italiani. Chi si ricorda come andò a finire? Che le denunce dei redditi non sono più pubblicamente consultabili.

Ciò che irrita in questa storia di finti moralismi (e veri abusi) è che alla base di questo scandalo sussiste il fatto che fosse legittimo richiedere il contributo, ma inopportuno incassarlo da parte di chi non presentava situazioni di bisogno. Insomma, in assenza di specifiche disposizioni normative, sarebbe stato necessario un comportamento di autodisciplina morale, soprattutto da parte di esponenti che ricoprono incarichi politici ovvero pubblici, specie da coloro che siedono in Parlamento dato che la ratio del provvedimento stesso era chiara fin da subito: offrire un contributo a chi era rimasto senza possibilità di lavorare per via del blocco generalizzato delle attività economiche.

Questa assenza di autodisciplina morale è presto diventata facile occasione di condanna moralistica da parte dell’opinione pubblica, seguendo il filo della propaganda politica ai fini di screditare la rappresentanza delle istituzioni a poche settimane dall’espletamento del referendum costituzionale sulla riduzione dei parlamentari.

Infatti, a parere di chi scrive, questo scandalo rappresenta una mossa propagandistica per veicolare un messaggio a pronta presa, ma profondamente errato. Esso consente la confusione, in senso spregiativo, dell’istituzione parlamentare con i suoi rappresentanti, poiché attraverso quest’ultimo scandalo raffigura il ruolo parlamentare come una doppia fonte di spreco di denaro pubblico, nonostante i parlamentari coinvolti sembrino essere una percentuale minima dei componenti dell’Emiciclo.

Infine, circostanza più preoccupante, collega concettualmente la riduzione del numero dei parlamentari stessi all’abbassamento dei costi della politica, a detrimento della rappresentanza democratica, quando si tratta di due piani concettuali indipendenti. Tuttavia ancora nessuno ha chiarito all’opinione pubblica, così sollecitata da non prestare neppure una minima attenzione su questo punto, quali saranno i costi che dovrà pagare la rappresentanza democratica a favore di quella che si prospetta divenire una oligarchia, con la riduzione dei suoi membri, ma senza alcuna certezza della diminuzione dei suoi costi.

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1 commento su “Uno scandalo al sole: il Bonus Partite IVA e la propaganda in vista del referendum costituzionale”

  1. Riformulerei i concetti chiave. Formulazione ed applicazione della legge. In media è pessima la prima (forse anche nel caso da cui prende spunto l’articolo) e incerta la seconda. Un altro concetto chiave è la trasparenza in tutto quello che è politico e in particolare in tutto quello che riguarda il finanziamento (anche spicciolo) dei responsabili pubblici. Un altra concetto chiave, il più problematico, è la verità. Essa si contrappone all’errore, alla menzogna e all’inganno. Con questo siamo al referendum per la riduzione del numero dei parlamentari, iniziato come mossa populista in un discorso anti-parlamentare più ampio e di lungo corso. Progetti similari sono però stati promossi da quasi tutte le maggioranze da almeno vent’anni.

    Il vero problema è che il paese si trova ora con due camere quasi perfettamente omogenee, rese tali attraverso diverse revisioni costituzionali e leggi elettorali non contestate, non criticate, auspicate tali sia dal Presidente della repubblica (dichiarazione 2017) sia dai giudici supremi (1/2014 e 35/2017), di oltre 945 parlamentari non più distinguibili. Rimangono differenziate solo le condizioni elettive attive e passive e i regolamenti interni autonomi. Comparativamente 945 parlamentari indistinti sono troppi e politicamente sono afattore di debolezza del Parlamento. Il referendum fuorviante e il dibattito strumentalizzato da entrambi i campi nascondono o ignorano il vero problema, anzi i due veri problemi: le leggi elettorali (instabili, abusive e illiberali da almeno quattro legislature) e la natura del Senato, non più conservatore come pensato dai costituenti, (per fortuna) mai diventato delle Regioni o delle autonomie territoriali, ormai mero doppione procedurale della Camera dei deputati, un unicum nel contesto comparativo, che un paese lento, complicato, bizantino, litigioso ed inefficiente forse non si dovrebbe permettere.

    In uno studio non pubblicato (bozza su Academia.edu, e articolo senza l’idea del Senato-consulto su Lavoce.info del 15 luglio; in questo paese le mie “opinioni” sono sostanzialmente censurate dalle riviste di “scienza” costituzionale) propongo la trasformazione del Senato attuale in organo solo consultivo, poco numeroso, eletto indirettamente (proporzionalmente dai deputati), con mandati lunghi non rinnovabili e elezioni annuali pro quota fra individui che rispondono a requisiti politici e professionali esigenti, ma generici (lasciati quindi all’apprezzamento dei deputati), deliberando a porte chiuse, con poteri di iniziativa e di parere pubblico in tutti i campi, ma con potere solo consultivo, al massimo sospensivo. L’autorevolezza sarebbe potenzialmente enorme. La qualità, la coerenza, là conformità, forse pure la convergenza europea e la stabilità delle leggi ne approfitterebbero. L’altro vizio più grave perché più fondamentale per la democrazia da correggere è la legge elettorale: bisogna rinunciare a tutti i trucchi e trucchetti di circostanza, anche a quelli che sembrano leciti perché utilizzati in altri paesi più virtuosi, e dare al paese un legge semplice e comprensibile, che possa durare nel tempo, cioè di piccole circoscrizioni, uninominali a due turni, o plurinominali con un voto unico che vale sia per il candidato sia per la sua lista.

    Rispetto a questi due temi il numero dei parlamentari è una questione del tutto subordinata che francamente non merita alcun innalzamento di barricate.

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