Nei tempi difficili che viviamo, segnati dalla pandemia e, si parva licet, dalla surreale crisi del governo italiano, c’è una questione che rischia di passare sempre più inosservata e sulla quale è invece necessario mantenere viva l’attenzione: la crisi di legittimazione che ha investito, negli ultimi anni, la magistratura tutta in seguito a comportamenti posti in essere, però, da una piccola parte dell’ordine giudiziario, adusa alle più deteriori pratiche ‘corporative’ e alla gestione clientelare e correntizia di incarichi direttivi. Ma non è su tali aspetti particolari che vogliamo tornare, bensì sul problema, più generale, di quella crisi di legittimazione. A tal fine, può essere forse utile muovere da un piccolo episodio, recentemente assurto a dignità di cronaca, segnalando una delibera con cui il Consiglio superiore della magistratura ha disposto (in data 28 gennaio 2021) l’archiviazione di un caso sul cui sfondo campeggia la vexata e annosa quaestio del coinvolgimento del magistrato nella vita politica.
Il caso era stato sollevato con una nota (risalente al 14 dicembre 2020) del Procuratore generale presso la Corte d’appello di Napoli, diretta al Consiglio superiore ed ai titolari dell’azione disciplinare, in cui venivano segnalate circostanze di eventuale rilievo consiliare e disciplinare relative a un sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello di Napoli (dott. Catello Maresca). In quella nota, si riportavano notizie di stampa circa una possibile candidatura di quest’ultimo alla carica di Sindaco di Napoli. Poco dopo, l’Associazione nazionale magistrati aveva invitato pubblicamente, e per il tramite del suo Vicepresidente, il dott. Maresca a chiarire le sue intenzioni, in quanto l’incertezza provocata da quelle notizie, mai confermate né smentite dal magistrato, non avrebbe giovato né alla magistratura né al diretto interessato stesso. A tale ragionevole invito, il magistrato ha reagito rassegnando le proprie dimissioni dall’Anm, continuando a non esprimersi pubblicamente sul rumour di una sua eventuale volontà di candidarsi. La nota era stata poi trasmessa alla prima Commissione del Csm, affinché quest’ultima valutasse l’eventuale sussistenza dei presupposti di un’azione ex art. 2 della legge sulle guarentigie (r. d. lgs. n. 511/1946). La prima Commissione del Csm si era pronunciata per l’archiviazione (con maggioranza di 4 a 2) e, nel plenum, il Csm si è espresso a sua volta per l’archiviazione, ‘spaccandosi’ però con una decisione di 12 voti favorevoli e 9 contrari (più un astenuto). Inascoltata è rimasta la sensata proposta di taluni consiglieri di un ritorno della pratica in Prima commissione ai fini di una più accurata istruttoria e per ascoltare il magistrato stesso.
Nella discussione, il Csm ha invocato – a sostegno dell’archiviazione – l’articolo 51 della Costituzione (diritto di elettorato passivo) e ha ragionato sulla ratio del r. decreto lgs. già citato, il cui art. 2 (“inamovibilità della sede”) detta norme sul trasferimento d’ufficio verso altra sede o altre funzioni, previo parere del Consiglio superiore della magistratura, quando ricorrano casi di incompatibilità o quando, per qualsiasi causa indipendente da colpa, i magistrati “non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”. Inoltre, e soprattutto, si è indicata l’assenza di una normativa che vieti ai magistrati di candidarsi a elezioni amministrative nel territorio nel quale svolgono o hanno svolto le funzioni loro assegnate.
Rispetto alle notizie apparse sulla stampa e secondo anche quanto ‘riferito da terzi’ (le citazioni, di qui in poi, si traggono dal sito, in cui è reperibile la proposta d’archiviazione della prima Commissione, cui la maggioranza del Csm ha aderito), il Consiglio ha ritenuto che “i contatti, di natura privata e riservata” di cui la stampa aveva dato notizia, “di per sé non possono acquisire rilievo in questa sede in quanto prodromici alla presentazione di una legittima candidatura politica… Ritenere illeciti, o comunque forieri di pregiudizio all’indipendenza ed all’imparzialità del magistrato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 del regio decreto n. 511\1946, i contatti privati che lo stesso magistrato intrattenga con forze politiche in vista di una sua eventuale candidatura, vorrebbe dire menomare fortemente, se non pregiudicare del tutto, il diritto dello stesso ad esercitare il diritto di elettorato passivo di cui all’art. 51 della Costituzione: se tali contatti prodromici, di natura privata, determinassero per ciò solo un’incompatibilità ambientale del magistrato, verrebbe a sorgere un disincentivo fattuale talmente forte da far diventare meramente teorico il predetto diritto, o comunque da pregiudicarlo sommamente”.
Se, da un lato, la Costituzione italiana garantisce il diritto di ogni cittadino (magistrati compresi) di concorrere alle cariche elettive, dall’altro manca – si è detto nel Plenum – una norma che precluda ai magistrati di candidarsi per competizioni di natura amministrativa all’interno del circondario o del distretto nel quale esercitino o abbiano esercitato le proprie funzioni. Una norma siffatta esiste soltanto con riferimento alle elezioni politiche. In tal caso, “il legislatore ha stabilito che i magistrati non sono eleggibili nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura (art. 8 del d.P.R. n. 361/1957 e successive modifiche, relativo alle elezioni per la Camera dei deputati, applicabile anche alle elezioni per il Senato della Repubblica in virtù del rinvio contenuto nell’art. 5 del d.lgs. n. 533/1993). Trattandosi di una norma di natura eccezionale, che parzialmente delimita un diritto primario di rilievo costituzionale, essa non può che essere di stretta interpretazione (cfr. art. 14 disp. prel. c.c.) e non può quindi estendersi a competizioni elettorali diverse da quelle in essa contemplate; ciò è tanto più vero se si considera che, con riferimento alle elezioni provinciali, comunali e municipali, la fattispecie è direttamente e diversamente regolata dall’art. 60 del d.lgs. n. 267/2000, dove si afferma che i magistrati ordinari ed amministrativi possono candidarsi anche nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni purché si dimettano, si trasferiscano o si collochino in aspettativa non retribuita entro il giorno fissato per la presentazione delle candidature”.
Nella discussione in seno al plenum (che può ascoltarsi integralmente su Radio radicale – min. 7.45), si è giustamente ricordata una delibera del Csm, risalente al 21 ottobre 2015, nella quale il Consiglio si è rivolto al Ministro della Giustizia affinché promuovesse “un intervento legislativo, prevedendo che la disciplina in tema di eleggibilità dei magistrati chiamati a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali sia arricchita da una regola analoga a quella oggi vigente per le elezioni al Parlamento, la quale impone… che i magistrati non si candidino nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni per un congruo periodo”.
Anche sulla base della mancata adozione di una legge siffatta, la maggioranza del Csm ha deciso in senso conforme agli argomenti esposti dalla prima Commissione, secondo cui il magistrato ha “de iure condito pieno diritto di candidarsi per competizioni elettorali amministrative in Campania e nella Provincia di Napoli, ivi comprese quelle relative al Sindaco della città di Napoli le quali si terranno nella primavera del corrente anno 2021, tra il 15 aprile ed il 15 giugno (cfr. art. 1 della legge n. 182\1991 e successive modifiche)”.
In definitiva, ciò significa che, almeno per ora, un magistrato può continuare indisturbato, e anzi col placet di questa maggioranza del Csm, a svolgere una campagna elettorale di fatto, nella stessa città in cui esercita le proprie funzioni, fatto salvo l’obbligo di collocarsi in aspettativa trenta giorni prima del voto. Con buona pace dell’antico adagio del mondo giudiziario inglese, secondo cui “justice has not only to be done, but to seem to be done”, e del Codice etico dei magistrati, il cui articolo 8 prevede che il magistrato mantenga “un’immagine di imparzialità e di indipendenza”. Quell’adagio vale per tutti i paesi democratici e quindi anche per l’Italia, dove le forti garanzie costituzionali di indipendenza del giudiziario dovrebbero essere controbilanciate da un impegno ancora più forte dei singoli magistrati per essere e apparire imparziali.
Mi pare che il Csm abbia completamente omesso l’altro profilo sollevato dalla segnalazione del Procuratore generale della Corte di appello di Napoli, e cioè il rilievo disciplinare (e non solo consiliare, e cioè il trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale) della vicenda.
Il punto sollevato non era solo il diritto del dott. Maresca di candidarsi nelle prossime elezioni amministrative ma anche, in vista di esse, di poter intrattenere non episodici e casuali contatti (non smentiti) con esponenti politici che ne minano irrimediabilmente la necessaria immagine di imparzialità e indipendenza.
È questa, del resto, la via stretta delineata dalla Corte costituzionale nella recente sentenza sul noto caso Emiliano (sentenza n. 170/2018) in cui ha affermato che i magistrati possono candidarsi ma senza iscriversi o partecipare in modo sistematico e continuativo all’attività di un partito perché tenuti al rispetto degli obblighi d’imparzialità ed indipendenza imposti dall’appartenenza all’ordine giudiziario.
Ed è su questo profilo, opportunamente sollevato in via complementare dal Procuratore di Napoli, che la decisione del CSM pare omissiva, se non carente anche sotto il profilo istruttorio, essendosi inopportunamente respinta anche la richiesta di un supplemento d’indagine che avrebbe comportato la convocazione dello stesso Maresca, come giustamente si nota nell’articolo.