E’ tramontata l’ipotesi del “Mattarella-bis”?

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di Luana Leo

Nel giro di pochi mesi, il Presidente Mattarella ha ribadito un concetto ormai ben chiaro alla compagine politica: “Il mandato presidenziale dura sette anni”. Declina, dunque, l’ipotesi di una ricandidatura da parte dello stesso. Del resto, già in occasione del discorso di fine anno, il Capo dello Stato aveva lasciato intendere le sue intenzioni, evocando la figura di Antonio Segni, indiscutibile personalità di spicco, passato alla storia per il Messaggio reso alle Camere il 16 settembre 1963. Con esso egli intendeva porre in luce taluni difetti riscontrati nella Costituzione, in modo tale da esortare il Legislatore a porvi rimedio tempestivamente. In particolare, Segni invitava a riflettere sulla possibilità di inserire, nel dettato costituzionale, il principio di non immediata rieleggibilità presidenziale, sottolineando così la non necessaria permanenza dell’istituto del semestre bianco, che, come noto, impedisce al Presidente della Repubblica di assolvere la prerogativa dello scioglimento anticipato delle Camere negli ultimi sei mesi del proprio mandato, fatta eccezione in caso di fine Legislatura (art. 88.2, Cost., come modificato dalla legge cost. n. 1/1991). Compiere tale passo avrebbe significato, altresì, “eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione”. Di conseguenza, la non rieleggibilità presidenziale avrebbe innescato l’abrogazione della previsione contenuta nell’art. 88.2, Cost., poiché, ad avviso del quarto Presidente della storia repubblicana “altera il difficile e delicato equilibrio tra i poteri dello Stato, e può far scattare la sospensione del potere di scioglimento delle Camere in un momento politico tale da determinare gravi effetti”.

Il messaggio rivolto da Segni alle Camere nel 1963 non sorprese taluni deputati e senatori. Già in Assemblea Costituente, infatti, si era dibattuto circa l’opportunità o meno di inserire nella Costituzione una clausola di non rieleggibilità del Presidente della Repubblica. La querelle divise la Costituente: si segnalano, gli accesi interventi di Tosato, Starnuti, Togliatti e Moro. Tale breve “tuffo” nel passato risulta prezioso per comprendere sia la riconferma di Giorgio Napolitano alla guida del Quirinale nel 2013, sia la volontà dell’attuale Capo dello Stato di non concedere un “bis”. Entrambi, infatti, appaiono uniti da un filo invisibile, nonché il contesto storico, segnato nel primo caso da una forte instabilità politica, e nel secondo dalla pandemia da Covid-19. Quel che accadde nella prima vicenda è risaputo: scartata la nomina dell’ex Presidente del Senato Franco Marini e quella dell’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi, la rielezione del Presidente in uscita apparve l’unica ipotesi sostenibile, sebbene questi avesse manifestato non poche perplessità, anche per l’età. Nel caso in esame, la riconferma del Presidente riuscì a evitare il peggio: un Paese politicamente ingovernabile, contraddistinto da quotidiani contrasti tra i partiti, non avrebbe potuto affrontare in modo egregio il “nodo” presidenziale. La rieleggibilità del Presidente, dunque, rappresentò un’ancora di salvezza per la Nazione. È possibile, dunque, sostenere che la riconferma del Presidente della Repubblica uscente costituisca uno strumento idoneo ad assicurare il funzionamento del sistema in certe situazioni critiche. Un mezzo sì efficace, ma eccezionale. Lo stesso Capo dello Stato, durante il suo secondo giuramento, tenne a chiarire che la rielezione si pone come “una scelta pienamente legittima, ma eccezionale”.

Come il suo predecessore, il Presidente Mattarella ha dovuto risolvere molteplici “spine”, di diversa natura. Nel mese di gennaio 2021, egli si è trovato a gestire uno scenario politico delicato, aggravato dalla pandemia. Il fallimento del mandato esplorativo al Presidente del Senato ha costretto il Presidente della Repubblica ad attribuire l’incarico ad un soggetto “neutro”, Mario Draghi, celebre per aver guidato la BCE durante la crisi del debito sovrano europeo (“Whatever it takes”). Una decisione tanto apprezzata, dalla quale sembrava trasparire un “ritorno allo Statuto”; taluni, infatti, hanno intravisto “la rivincita della Costituzione scritta su quella deformata nella prassi” (M. Ainis); altri, invece, hanno definito il nuovo Esecutivo come “il primo governo della Costituzione” (L. Violante). Una scelta talmente incisiva da generare leggeri malumori: vi è chi riteneva che essa avrebbe dovuto porsi “in sintonia con la composizione politica del Parlamento”, ricordando che la formazione del Governo è “regolata da norme scritte” (M. Volpi); aspetto che porta il Presidente della Repubblica ad essere “il regista, ma non l’autore dell’indirizzo politico” (G. Zagrebelsky). A prescindere da ciò, appare evidente come egli abbia assunto il ruolo di attore-protagonista, giocando ruoli ben diversi: ora assecondando i partiti, ora promuovendo il suo piano, per via dell’inerzia dell’organo legislativo.

Pertanto, risulta legittimo chiedersi se un’eventuale ricandidatura del Presidente in carica sia da reputare come “cosa buona e giusta”. Per un’Italia che sogna di ritornare presto alla “normalità”, la rielezione del Presidente Mattarella potrebbe tradursi in una vittoria sulla pandemia. Il Capo dello Stato ha rivestito un ruolo-chiave nell’emergenza sanitaria: egli dapprima ha ringraziato i cittadini per gli importanti sacrifici compiuti (oggetto di ammirazione all’estero); in seguito, ha invitato il popolo a riflettere su come la pandemia abbia mutato il nostro “essere”; infine, ha ricordato a tutti che la prova potrà ritenersi superata continuando a dimostrare unità, coesione, e spirito democratico.

Una parte nobile della dottrina ammetteva che negare la rieleggibilità del Capo dello Stato provocherebbe un indebolimento della responsabilità non politica, ma puramente istituzionale (P. Barile). Preso atto della volontà del Presidente Mattarella di uscire di “scena”, non resta che iniziare a riportare sui prossimi manuali di storia e diritto l’impresa compiuta dalla Presidenza attuale. Con riguardo al successore, occorrerà aspettare i prossimi mesi per avere un quadro più completo. La maggioranza politica intravede in Mario Draghi la persona più adatta per assumere l’incarico. A parere di chi scrive, è possibile che tutto possa cambiare in pochissimo tempo, rimescolando così le “carte”, portando al Colle qualcuno di inaspettato (una donna?). Omnia cum tempore.

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