Se un membro del Garante dei dati si esprime sulla legittimità del greenpass…

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di Roberto Bin

Il #greenpass in salsa francese è costituzionalmente irricevibile. Gravissimi gli effetti sui diritti e sulle libertà dei cittadini“. Questo non è un tweet qualsiasi, di quelli che ogni mattina sgorgano incontenibili dalla voglia di esternare della gente e alimentano il gracchiare dello stagno dei social. Questo tweet viene da fonte autorevole, dalla Vice-Presidente dell’Autorità garante della privacy, prof. Ginevra Cerrina Ferroni.

Almeno così ci assicura la stampa, anche se io stento un po’ a crederlo. Conosco la professoressa, che è un’amica e una collega che stimo: mai avrei pensato che compisse un passo di tanta gravità.

Cerrina Ferroni è una componente dell’Autorità che – come ci informa il sito del garante della privacy – “è un organo collegiale, composto da quattro membri eletti dal Parlamento”. Che sia un organo collegiale significa che nessuno dei suoi componenti può esprimere opinioni individuali per conto dell’Autorità. I suoi membri sono scelti dai partiti: due sono eletti dal Senato, due dalla Camera, e le elezioni sono contestuali. Equivale a dire che ognuno di essi è “espressione” di un determinato schieramento politico e non è necessariamente scelto per le particolari qualità professionali che può vantare. Deve trattarsi di “persone che assicurino indipendenza e che risultino di comprovata esperienza nel settore della protezione dei dati personali, con particolare riferimento alle discipline giuridiche o dell’informatica”, ci dice l’art. 153 del “codice”. Non sono chiesti titoli eccezionali, anzi: nulla a confronto, per esempio, di quanto richiede l’art. 10 della legge istitutiva dell’Autorità del mercato e della concorrenza (legge 287/1990); ma quello che è chiaramente fissato è la regola della collegialità. “Il Garante è composto dal Collegio” esordisce l’art. 153: collegio composto da 4 membri, e quindi “condannato” a decidere quasi sempre all’unanimità.

Se questo è l’assetto dell’Autorità, come può considerarsi compatibile con i suoi principi il fatto che uno dei suoi 4 componenti renda pubblica la sua opinione in merito alla compatibilità costituzionale di una misura attualmente ancora allo studio del Governo e al centro del dibattito politico? Non anticipa così l’opinione che (forse) sarà tenuta ad esprimere in seno al collegio dopo averne discusso con gli altri componenti? Che significa che una certa misura è “costituzionalmente irricevibile”? Che titolo ha un membro del Garante dei dati per esprimersi sulla legittimità costituzionale di un provvedimento che attualmente non è neppure definito?

E’ ovvio che tutti hanno il diritto di esprimere la propria opinione. Ma ci sono limiti severi che derivano dalla carica che si ricopre. Che si potrebbe dire di un giudice costituzionale che esprimesse la sua opinione in merito alla costituzionalità di una legge, scavalcando il collegio cui appartiene? o del giudice ordinario che esternasse la sua opinione in merito a un processo che deve ancora giudicare? Il ruolo istituzionale impone un limite alla libertà di espressione di chi lo ricopre. 

Naturalmente il sasso gettato nello stagno dei social ha scatenato il gracchiare scomposto di tutti gli Anuri che lo popolano. Ce n’era bisogno? E ha provocato anche il tweet di risposta, scherzosa per fortuna, di un altro membro dell’Autorità. Sempre meglio.

 

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