Sopprimere la parola “razza” dall’art. 3 della Costituzione?

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di Angelo Caputo*

Si ripresenta, periodicamente, il dibattito sull’opportunità di sopprimere la parola “razza” dal primo comma dell’art. 3 Cost. Il caso che, qualche mese fa, ha ravvivato un dibattito nato non certo oggi e non solo in Italia è stato offerto dal Regolamento dell’Unione europea 2016/679 (in tema di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e di libera circolazione di tali dati), che all’art. 9, comma 1, vieta il trattamento, tra l’altro, di «dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica». Il direttore di Repubblica (Maurizio Molinari, Quando le parole sono malate, 30 luglio 2021) ha tratto spunto dallo scivolone della normativa europea per proporre di espellere la parola «malata» da tutti i testi normativi, compreso, appunto, l’art. 3 Cost. E’ seguìto, sulle pagine di quel quotidiano, un interessante dibattito che ha visto varie prese di posizione a favore della proposta di Molinari da parte, ad esempio, di scrittrici (Chiara Valerio, Le categorie che non esistono, 31 luglio 2021) e antropologi (Marino Niola, Perché la razza non esiste, 3 agosto 2021), ma anche nette opinioni dissenzienti dell’ex Primo Presidente della Corte di cassazione Giovanni Canzio (Ma attenzione a non cancellare la memoria, 14 agosto 2021) e dello storico Umberto Gentiloni, che ha messo in guardia dai pericoli della cancellazione dalla Costituzione della parola “razza”, «un monito di un tempo lontano che purtroppo non è consegnato esclusivamente ai sentieri della ricerca storica» (Ma la Carta non va modificata, 2 agosto 2021).

Eppure proprio da uno storico è venuta una delle prime proposte – se non la prima in assoluto – di espungere la parola “razza” dalla Costituzione. Alberto Burgio, autorevole studioso del razzismo e dell’”invenzione delle razze” (per riprendere il titolo di un suo libro del 1998), spiegò la necessità di una “minima revisione” dell’art. 3 Cost. con l’argomento che non si deve mai parlare di “razza” come di una realtà, perché le “razze” esistono solo come elaborati concettuali (Una patologia della modernità, in Grazia Naletto, a cura di, Rapporto sul razzismo in Italia, Manifestolibri, 2009, p. 23).

Confesso che la proposta di Alberto Burgio mi sorprese e non mi convinse. Ero e resto dell’opinione che, nella formulazione del fondamentale principio di eguaglianza, il riferimento alla “razza” debba essere letto come il netto ripudio da parte della Costituzione repubblicana delle “politiche razziali” della dittatura fascista, quelle politiche che determinarono – per riprendere le categorie di Michele Sarfatti (Gli ebrei nell’Italia fascista, Einaudi, 2007) – l’obbrobrio della persecuzione dei diritti degli ebrei e, poi, l’orrore della persecuzione delle loro vite.

Ha espresso con grande chiarezza questa posizione Giorgio Lattanzi, quando, nella conferenza stampa tenuta dopo la sua elezione alla presidenza della Corte costituzionale, affermò che «il termine “razza” deve rimanere» nell’art. 3 Cost. «non perché ci siano le razze, ma perché c’è il razzismo che per la Costituzione è inaccettabile» (Ivan Cimmarusti, Consulta, Lattanzi nuovo presidente, Il Sole 24 ore, 9 marzo 2018). Il riferimento costituzionale alla razza – si è sottolineato da un punto di vista antropologico – rappresenta infatti una «condivisibile esigenza di memoria, ancora attuale oggi» (Giovanni Pizza, L’antropologia di Gramsci. Corpo, natura, mutazione, Carocci editore, 2020, p. 21).

E che questo fosse l’intento del Costituente è confermato inequivocabilmente dai lavori dell’Assemblea, anche se, come di recente è stato messo in luce, all’epoca non si era ancora consolidata la convinzione dell’inconsistenza scientifica della nozione di “razza”, sicché «la volontà di esprimere una ferma condanna nei confronti delle persecuzioni» si accompagnò «alla convinzione che il termine “razza” avesse comunque una sua dignità scientifica, il che non consentì di percepirne pienamente l’inappropriatezza» (Alessandro Morelli, Togliere la parola “razza” dalla Costituzione?, in Quad. Cost., 2/2021, pagg. 470 s.).

Da questo punto di vista, tuttavia, molta acqua è passata sotto i ponti e gli approdi della ricerca scientifica – in particolare, della genetica – consentono oggi di relegare qualsiasi pretesa di “scientificità” della nozione di “razza” nel mondo delle credenze prive di alcun fondamento, appunto, scientifico. Questi approdi hanno saputo anche generare una benefica attività divulgativa. Ho avuto la fortuna, tra il 2011 e il 2012, di visitare, al Palazzo delle esposizioni di Roma, la mostra, curata da Luigi Luca Cavalli Sforza e da Telmo Pievani, dedicata a Homo Sapiens e al suo viaggio iniziato circa 200 mila anni fa: una straordinaria testimonianza dell’unità della specie umana e la conferma di quanto sostenuto da uno scienziato di una certa autorevolezza e notorietà, ossia che l’unica razza dell’uomo è … quella umana!

Forse, però, proprio le consolidate acquisizioni scientifiche hanno contribuito ad accentuare il “disagio” provocato dalla presenza nella Costituzione di quella che già Meuccio Ruini definì una «parola maledetta». Sta di fatto che da più parti la soppressione della parola “razza” è stata proposta nella prospettiva di evitare che il riferimento ad essa possa – sulla base di un paradosso senz’altro perverso rispetto alla genesi e all’ispirazione di fondo delle Costituzioni del secondo dopoguerra – accreditare l’idea dell’esistenza di “razze”: iniziative volte alla revisione costituzionale in tal senso sono state promosse – ma non portate a termine – in Francia, prima, e, più di recente, in Germania; nella stessa prospettiva, nel nostro Paese, proposte di soppressione sono giunte dall’Associazione antropologica italiana, hanno formato oggetto di alcuni disegni di legge e, più di recente, sono state riprese dal G20 Interfaith, il forum interreligioso mondiale (Sergio Rizzo, Mai più la parola razza, La Repubblica, 14 settembre 2021).

Difficile sottrarsi al confronto con queste sensibilità, anche se è ben chiaro che la soppressione della parola “razza” potrebbe avere effetti contrapposti, ossia, come nelle proposte cui ho fatto cenno, «essere intesa come una revisione utile a riallineare il testo della legge allo stato attuale delle conoscenze scientifiche» ovvero, al contrario, essere finalizzata all’«obiettivo, anche soltanto sottinteso, di depotenziare la tutela dell’eguaglianza contro le discriminazioni ispirate da pregiudizi razziali» (Alessandro Morelli, op. cit., pagg. 475 s.).

Non credo che rischi del genere possano essere scongiurati – come proposto dai disegni di legge a suo tempo presentati – “aggiungendo” alla «parola maledetta» altri vocaboli ovvero sostituendola con il vocabolo “etnia”; al di là dell’ambiguità di quest’ultima parola, tali proposte avrebbero un effetto comune, quello di ridimensionare (nel primo caso), se non di escludere (nel secondo) quell’espressa condanna delle politiche razziste del fascismo che il Costituente ha voluto scolpire nel marmo dell’art. 3 Cost.

E allora, per concludere, pur restando personalmente dell’idea che la parola “razza” abbia – e debba continuare ad avere – quel significato di irrinunciabile (e attuale) condanna che ad essa vollero associare i padri costituenti, un “compromesso” tra le sensibilità che oggi reclamano l’eliminazione della «parola maledetta» e la necessità di scongiurare effetti perversi potenzialmente derivanti dalla revisione potrebbe tradursi nella soppressione, sì, della parola “razza” dal primo comma dell’art. 3 Cost., accompagnata, però, dalla contestuale aggiunta nello stesso comma di un periodo di questo tipo: «La Repubblica ripudia il razzismo».

Un periodo chiaramente ispirato al ripudio della guerra di cui all’art. 11 Cost., ma l’accostamento dei due “flagelli” non sembra fuori luogo perché, come ci ha insegnato Michel Foucault (Bisogna difendere la società, Feltrinelli, 1997, p. 220), il razzismo rappresenta il modo in cui è stato possibile «introdurre una separazione, quella tra ciò che deve vivere e ciò che deve morire».   

* Magistrato.

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