Chi vince a Sanremo  non vince alle elezioni?

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di Antonio D’Andrea

In un Paese dove tanti – comunque troppi – prendono sul serio la portata politica del Festival di Sanremo… sopravvalutando la capacità di orientamento elettorale di parole, musica (leggera), gesti di donne scosciate e uomini con brillantini dappertutto, che fanno “spettacolo” sul palco e nella vita privata secondo la moda in voga degli influencer, non è possibile stupirsi se la risposta del corpo elettorale – di buona parte di questo, ma pur sempre una minoranza – sia quella di disinteressarsi degli appuntamenti elettorali formali. Mi pare evidente che inseguire nuovi e moderni metodi comunicativi e sperimentare tecniche persuasive fondate su performance in apparenza suggestive, ma in realtà caricaturali, non serva a migliorare né l’offerta politica, né a motivare gli elettori. Ed è così che, pensando di rivitalizzare il confronto politico e di stimolare la partecipazione che serve per imporsi nelle urne, si inseguono modelli e si ricercano ossessivamente candidature in realtà capaci prevalentemente di essere apprezzate dal popolo che guarda Sanremo e valuta con piacere oppure almeno con curiosità le personalità che vanno in scena all’Ariston nella ridente cittadina ligure.

Nella realtà istituzionale e con riguardo alla volontà di prendere parte attiva alle consultazioni elettorali di buona parte delle persone che finiscono, viceversa, per non ritenere “fruttuoso” interessarsi alla scelta di chi viene chiamato ad occuparsi delle sorti della comunità da governare (come è accaduto in occasione delle ultime elezioni regionali in Lazio e Lombardia) gioca, a mio parere, un peso rilevante l’aver banalizzato la “questione politica” trasformandola, sempre e comunque, in uno “spettacolo”, di cui fruire facilmente. Di averla, cioè, ridotta ad una sorta di competizione canora nella quale è giusto o, comunque, è ben possibile “orecchiare” qualcosa di quel che si gorgheggia – e sembra potersi apprezzare o non apprezzare, quasi istintivamente –  oppure è persino giustificato rifiutarsi di prendere parte ad una “battaglia politica”, che in realtà non c’è, e di cui non si capisce, o si capisce sempre meno, la serietà della reale posta in gioco.

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