Serve di più evitare il referendum costituzionale… o preservare l’elezione diretta delle Camere?

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di Roberta Calvano

Come era inevitabile, il problema del possibile impatto del voto degli italiani all’estero nella riforma del “premierato” ha suscitato un vivo dibattito. Sollevai il tema la prima volta in audizione al Senato e poi su questo blog (qui con Lorenzo Spadacini) e qui, per evidenziare l’effetto di trascinamento previsto dal progetto, che prevede l’attribuzione di una maggioranza dei seggi parlamentari in base ai voti ottenuti, non dai candidati per Camera e Senato, ma dal candidato premier.Ciò comporta una vera e propria elezione indiretta delle Camere, dato reso solo più macroscopico dalla previsione del voto degli italiani all’estero, che pur rappresentando una minoranza avrebbero la possibilità di risultare decisivi, e determinare coi loro voti l’elezione del Presidente del Consiglio da loro scelto e l’attribuzione della maggioranza dei seggi parlamentari.

Se oggi l’impatto del voto degli italiani all’estero viene circoscritto tramite l’attribuzione alla circoscrizione estero di soli 4 senatori ed 8 deputati, ciò non sarebbe possibile per l’elezione diretta del premier, non potendosi in questo caso giustificare deroghe al principio del “voto eguale” previsto in Costituzione.

Questo “inconveniente” secondo alcuni (sul Sole24ore del 22 marzo definiti “costituzionalisti bipartisan”), verrebbe aggirato se si modificasse il ddl Casellati, prevedendo non più l’elezione diretta, ma l’indicazione del nome del candidato premier sulla scheda elettorale, venendo poi nominato chi prevalga grazie al consenso delle liste a lui/lei collegate. A parte la difficoltà di immaginare che il Governo rinunci alla tanto agognata “elezione diretta del Capo”, con tutti i suoi contraccolpi e controindicazioni costituzionali evidenziati da più parti, tale soluzione offrirebbe il fianco ad almeno 3 problemi: la possibile “vittoria” di due candidati premier diversi tra Camera e Senato, giacché le schede elettorali non potrebbero che essere due; la perdurante possibilità di crisi di governo in corso di legislatura (ve ne sono state quando era in vigore il Porcellum che prevedeva l’indicazione del nome del capo della coalizione sulla scheda); queste crisi, e la conseguente possibile nomina di un premier diverso risulterebbero difficilmente comprensibili per l’elettore che ha votato anche sulla base di un nome sulla scheda. I due principali obiettivi dichiarati della riforma, stabilità e recupero di legittimazione delle istituzioni agli occhi del corpo elettorale, sarebbero entrambi mancati.

L’ipotesi di cui si discute sembra in realtà solo teorica, il Governo insiste in I Commissione al Senato su un modello ben diverso e blindato: quello del premierato elettivo, che darà necessariamente vita ad un sistema con tre schede elettorali di cui solo la prima, quella per l’elezione del premier, sarà decisiva per spostare l’ago della bilancia del Governo e dell’attribuzione di metà più uno dei seggi delle Camere. Il centro del dibattito non dovrebbe allora essere, – come richiesto dai bipartisan – evitare il referendum sull’elezione diretta del premier, ma piuttosto come tornare a garantire l’elezione diretta delle Camere ed avversare le insidie antidemocratiche interne al ddl Casellati.

 

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