Riforma della giustizia e «presenzialismo» di politici e giudici

di Felice Blando

Il varo della legge costituzionale sulla c.d. «separazione delle carriere» ha riportato alla ribalta ricorrenti ed estenuanti polemiche. Su questo tema le questioni vengono drammatizzate e abbondano le reciproche delegittimazioni: ne segue un chiacchiericcio continuo. L’importante, per gli uomini politici, è fare dichiarazioni ed ottenere che siano riprodotte dai mezzi di comunicazione.

Da un lato l’accusa di derive autoritarie nei confronti di chi intende modellare l’ordinamento della Magistratura ispirandosi – giusto o sbagliato che sia – a modelli propri di altri Stati democratici o rivendicando – sbagliando – il supposto primato sul potere giudiziario degli organi investiti di un mandato popolare.

Dall’altro la corrispondente accusa di giustizialismo e di uso politico della magistratura nei confronti di chi – giusto o sbagliato che sia – intende mantenere l’assetto della Costituzione del 1948.

Un tema troppo enfatizzato, e con toni infuocati, con il principale effetto di emarginare nell’indirizzo politico di governo i ben più seri problemi della giustizia italiana: l’insoddisfacente funzionamento del sistema giudiziario, la macchinosità delle procedure, l’eccessiva durata dei processi, le scarse garanzie a presidio della certezza del diritto, temi affrontabili con la normale attività legislativa. E altrettanto enfatizzato, da quanti, con toni altrettanto accesi, nel tentativo di salvaguardare l’autonomia del pubblico ministero dal potere politico, non vogliono considerare che la separazione delle carriere fra organi giudicanti e organi requirenti, pur se consegnata in un testo mal fatto, non sconvolgerebbe le regole fissate in Assemblea costituente.

Quest’ultimo punto è stato di recente sottolineato, con la consueta esemplare chiarezza, da Augusto Barbera in Una riforma inevitabile, mia cara sinistra, intervento pubblicato su Il Foglio del 4 novembre 2025 (vedi la replica su questa rivista di A. D’Andrea, Separazione delle carriere: in rispettoso dissenso dal Presidente Barbera).

In questo contesto, dunque, i caratteri rusticani che ha assunto la contesa politica sulla legge costituzionale approvata hanno intaccato principi costituzionali che noi crediamo vadano difesi: a) l’autonomia del Parlamento, un organo sovrano ridotto al ruolo puramente notarile della volontà governativa nell’iter di approvazione della legge di riforma: ai parlamentari è stato inibito il diritto di emendamento perché il loro dovere è approvare, e di farlo sollecitamente, perché la questione ha assunto un rilievo politico di primo piano; b) la separazione dei poteri, l’associazione nazionale magistrati fondando un comitato per il No alla riforma costituzionale si costituisce in corpo politico, così ci troviamo al cospetto di alti funzionari dello Stato che si fanno parte e operano come potere di parte in vista di una votazione popolare. La Magistratura, invero, dovrebbe rispettare l’autonomia della politica; dovrebbe far prevalere il senso dell’alto valore della giurisdizione rispetto alle luci abbaglianti dell’agone politico.

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