di Fabio Ferrari
Dunque il Governo pone la questione di fiducia sulla legge elettorale; si tratta di una scelta molto importante: se i media, oltre a riferire la notizia, spiegassero anche di che cosa di tratta, sarebbe ancora più interessante. Cosa vuol dire “porre la questione di fiducia”? Perché è così determinante nei rapporti Parlamento-Governo? A quale titolo le opposizioni gridano al “golpe”? Cosa dicono le norme?
Cerchiamo di fare un minimo di chiarezza.
La questione di fiducia è un istituto previsto dai regolamenti parlamentari e nato in via di prassi; sostanzialmente consiste in questo: quando il Governo ritiene che un proprio provvedimento – sul quale deve votare il Parlamento – sia di fondamentale importanza per la realizzazione del proprio programma politico, può porre la questione di fiducia, di modo che ad un eventuale voto contrario di una delle due Camere corrisponda l’obbligo giuridico (così si ritiene) delle proprie dimissioni.
Che senso ha? Semplice: se, in condizioni normali, la maggioranza non sostiene un provvedimento del proprio Governo, ciò non comporta alcun obbligo di dimissioni da parte di quest’ultimo (art. 94.4 Cost.); certo, un voto sfavorevole può avere un valore politico molto importante, ma senza conseguenze “coattive”; ponendo la fiducia, al contrario, il Governo accetta il rischio di doversi giuridicamente dimettere in caso di voto contrario, stimolando in questo modo la propria maggioranza a non fare brutti scherzi. Detta con il linguaggio corrente: “è ora di serrare i ranghi, quindi votiamo compatti o l’esperienza di questo Esecutivo finisce qui”.
I parlamentari, dunque, sanno che in caso di q.d.f. (questione di fiducia) il loro voto può produrre conseguenze devastanti, aprendo una vera e propria crisi di Governo (Prodi cadde due volte su due proprio a causa della q.d.f., caso unico nella storia repubblicana): o il provvedimento passa (e il Governo è salvo), o non passa (e allora il Governo deve dimettersi). Proprio per questo il voto avviene per appello nominale, di modo che ogni deputato o senatore esprima palesemente il suo voto, assumendosene la responsabilità politica innanzi agli elettori.
Dove sta il problema, dunque? Dove è il golpe? Il punto è esattamente questo: la q.d.f. ha un costo molto pesante in termini di democrazia parlamentare; difatti, il prezzo da pagare per poter usare uno strumento come questo è la caduta automatica di tutti gli emendamenti proposti da tutte le forze parlamentari. Il che significa che la proposta può essere valutata solo così come è voluta dal Governo, senza che il Parlamento possa far approvare modifiche: posto che il Parlamento serve proprio a questo, cioè a rappresentare gli interessi di tutti i cittadini, mediandoli e integrandoli con quelli della sola maggioranza (un maestro come Kelsen parlava di «medio termine»), è evidente che lo strappo è assai pesante.
Per questo un uso prolungato della q.d.f. strozza la democrazia parlamentare, trasformando il Parlamento (eletto) in un ratificatore automatico delle scelte del Governo (cioè di un organo non eletto e tecnicamente non rappresentativo). Lo stesso avviene con un suo uso distorto, come nel caso del vergognoso maxi-emendamento con cui si converte in legge un decreto legge… su cui si pone la q.d.f.
Va però detto che molto spesso la q.d.f. è indotta (o quantomeno giustificata) da una pratica altrettanto disdicevole: l’ostruzionismo parlamentare; nei regolamenti parlamentari, difatti, non esiste una vera e propria barriera contro la presentazione dissennata di emendamenti, fatta non certo per dialogare e rappresentare lealmente gli interessi di tutti, ma solo per bloccare a piacere – e sconsideratamente – il Governo e la sua maggioranza (impossibile dimenticare il devastante software con cui il Senatore Calderoli crea milioni di emendamenti inutili e pseudo identici).
Risultato? Il tipico, italico, cane che si morde la coda, dove tutti hanno torto perché tutti hanno un po’ di ragione: le opposizioni protestano per l’uso cronico della q.d.f., ma il Governo ribatte che è indotto a queste forzature dall’irresponsabilità delle opposizioni e dal loro insensato ostruzionismo: a rimetterci, come sempre, è la qualità della democrazia, anche perché sovente i cittadini, invece di attribuire con rigore e attenzione la responsabilità politica, si comportano come tifosi di calcio, dando torto o ragione a prescindere dal merito e solo in funzione del proprio “credo” politico.
È evidente che la q.d.f. in materia di legge elettorale è ancora più delicata: non si tratta infatti di una legge qualunque, ma della “legge” per eccellenza, il cui compito delicatissimo è regolare la conversione di voti in seggi. Il tutto, nel caso corrente, a pochissimi mesi dalle elezioni. È vero, ed è doveroso sottolinearlo, che i regolamenti parlamentari non impediscono di porre la q.d.f. in materia di legge elettorale; il che non toglie che si tratti di una scelta non proprio entusiasmante, almeno dal punto di vista del decoro istituzionale.
Al solito, però, il Governo ritiene che non vi sia altra via, mentre le opposizioni gridano al golpe.
Starebbe a noi cittadini farci a riguardo un’opinione critica, basata sui fatti e sulle norme. E possibilmente tolta la casacca.