Qualità della democrazia rappresentativa e riduzione del numero dei parlamentari: davvero un ossimoro costituzionale?

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di Giorgio Grasso

Tra gli argomenti ricorrenti, richiamati per opporsi alla revisione costituzionale approvata dal Parlamento nell’autunno del 2019 e su cui i cittadini italiani saranno finalmente chiamati a pronunciarsi il 20 e 21 settembre 2020, dopo lo slittamento del voto del 29 marzo 2020 determinato dall’emergenza del Covid-19, si sostiene che la riduzione assai consistente del numero dei parlamentari alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, che il testo prevede… possa determinare il declino, se non la fine, della struttura di democrazia rappresentativa su cui si fonda il nostro sistema costituzionale, proiettando verso la seconda Parte della Costituzione il contenuto dell’art. 1, comma 2, che sottopone anche l’esercizio della sovranità popolare alle forme e ai limiti della Costituzione.

Tuttavia, attraverso queste brevi note, si cercherà di dimostrare che, forzando eccessivamente la mano su questo elemento, come è stato fatto anche nell’appello, promosso da alcuni valenti colleghi costituzionalisti e pubblicato sull’Huffington Post il 24 agosto 2020, si finisce per svalutare il senso di una riforma che, intervenendo soltanto sulla composizione delle due Camere, senza incidere in alcun modo sulle funzioni costituzionali assegnate al Parlamento, potrebbe invece costituire un “detonatore” capace di restituire proprio all’organo parlamentare quella dignità costituzionale, largamente erosa negli ultimi lustri di funzionamento della forma di governo parlamentare del nostro Paese.

Certamente, non può sottacersi che, come appena osservato, si tratti di una riduzione davvero drastica del numero dei deputati e dei senatori, tanto che sarebbe stato probabilmente più opportuno stabilire una contrazione minore, che avrebbe potuto attestarsi, per esempio, su 480/500 deputati e su 240/250 senatori. Ciò, ovviamente, a patto di voler mantenere – cosa peraltro non costituzionalmente imposta – la rigida simmetria numerica ad oggi esistente tra le due Camere, che consegna alla Camera bassa il doppio dei membri elettivi della Camera alta, con l’eccezione al principio democratico data solo dal piccolo drappello dei senatori a vita dell’art. 59, comma 2, Costituzione, a sua volta oggetto di una opportuna modifica da parte del testo di revisione, al fine di vietare con la forza normativa della Costituzione quell’interpretazione estensiva della disposizione costituzionale che durante le Presidenze Pertini e Cossiga aveva permesso ai due Presidenti di nominare ciascuno 5 senatori a vita.

Una riduzione non irrilevante, quindi, che però intanto salvaguarda un numero complessivo di parlamentari, eletti a suffragio universale e diretto, pur con la limitazione costituzionalmente prevista per l’elezione dei senatori dall’art. 58, comma 1, Costituzione, che resta in termini assoluti di tutto rispetto, anche in chiave comparatistica, nel cui ambito, infatti, a parte alcuni casi, come gli Stati Uniti d’America o la Confederazione elvetica, la regola è che soltanto una delle due Camere, la Camera bassa, venga eletta effettivamente a suffragio universale. Una riduzione, soprattutto, che non toglie valore alla qualità della democrazia rappresentativa, sperimentata in settant’anni di storia repubblicana, potendo diventare semmai lo strumento per ridare fiato all’istituzione parlamentare che appare, del resto, molto in sofferenza, per ragioni che nulla hanno a che fare con la cifra finale degli eletti dal popolo in Parlamento. E se, agli albori della vicenda repubblicana, quando si doveva assicurare una capillare rappresentanza del popolo italiano, calpestato da un ventennio di «visioni in camicia nera… a cui ribellarsi era cosa seria», come ricorda una struggente ballata della Casa del Vento, appariva necessario moltiplicare la quantità di deputati e senatori, poi fissata in Costituzione nel numero attuale con la riforma del 1963, oggi quei numeri così elevati, da molti anni oggetto di tentativi non riusciti di diminuzione, finiscono per mascherare in parte proprio molte delle difficoltà che gli ingranaggi della democrazia rappresentativa costituzionalmente previsti hanno incontrato nel corso del tempo.

Non può nascondersi, inoltre, che, senza voler qui condividere nessuna delle istanze populiste o demagogiche che potrebbero talora filtrare tra le ragioni giustificatrici della riforma, essa sembri in grado di esprimere una irrinunciabile esigenza di sobrietà e di misura, meglio corrispondente a un frangente politico e istituzionale nel quale, ben prima degli effetti disastrosi del Covid-19 sul sistema economico e produttivo del Paese, era costituzionalmente richiesto – oserei dire – che fossero le istituzioni politicamente rappresentative a fornire per prime il loro esempio. È ciò che troppo a lungo non è stato colto, da una politica a tratti clientelare, da partiti politici in lotta per il potere che non sono stati più in grado di svolgere la loro funzione costituzionale, ovvero quella di essere meri strumenti attraverso cui i cittadini concorrono con metodo democratico a determinare la politica nazionale, da pessime leggi elettorali, in particolare dal c.d. Porcellum in poi, che hanno rafforzato in modo spropositato, nella scelta dei candidati al Parlamento, futuri deputati e senatori (si pensi soltanto al meccanismo deleterio delle liste bloccate), i vertici di quei medesimi partiti, così lontani da ogni parvenza di rispetto della democrazia al loro interno.

Un numero inferiore di parlamentari, infine, potrebbe forse contribuire a meglio diffondere tra i rappresentanti nella nostra istituzione parlamentare quell’alto senso di responsabilità imposto dall’esercizio delle funzioni parlamentari e che, utilizzando come foglia di fico l’art. 67 Costituzione, è stato invece spesso trascurato, dimenticando colpevolmente che, accanto al diritto a esercitare liberamente il mandato parlamentare, esiste anche un dovere a svolgerlo in modo conforme a ciò che la Costituzione richiede inderogabilmente a chi rappresenta la Nazione, compreso ovviamente l’adempimento delle funzioni pubbliche assegnate con disciplina e onore, secondo quanto recita l’art. 54 Costituzione.

Un vecchio e conosciuto adagio recita che «il meglio può essere talora nemico del bene»; credo che tali parole si possano convenientemente utilizzare a proposito del referendum costituzionale al voto il 20 e 21 settembre prossimi venturi, suggerendo allora di esprimersi a favore di una revisione costituzionale che – lo si ribadisce – non ha alcuna finalità di indebolire l’assetto di democrazia rappresentativa esistente, ma che al più potrà permettere di recuperare la piena fiducia dei cittadini italiani verso l’istituzione parlamentare. Di un Parlamento che ritorni a essere considerato il luogo privilegiato del confronto tra le forze politiche, capace inoltre di dialogare in posizione dialettica con il Governo, questo Paese ha del resto disperatamente bisogno.

 

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