Quel “pasticciaccio brutto” del voto di fiducia iniziale

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di Salvatore Curreri

Nereo Rocco, dopo la clamorosa vittoria del suo Milan sull’Atalanta per 9 a 3, dichiarò che più che essere soddisfatto per i nove gol fatti, era preoccupato per i tre subiti. Così, concluso il primo ciclo di audizioni informali dei costituzionalisti presso la Commissione Affari costituzionali del Senato sulle proposte di riforma costituzionale presentate dal sen. Renzi (n. 830) e dal Governo (n. 935), entrambe dirette ad introdurre l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, più che concentrarsi sulla messe di critiche piovute da quasi tutti gli auditi (incluso chi scrive), vale la pena piuttosto affrontare le lodi ricevute da (invero pochi) colleghi. Anche perché nel diritto gli argomenti non si contano ma si pesano, cioè valgono per la loro intrinseca fondatezza giuridica e non perché sostenuti dalla maggioranza.

Si è così sostenuto che la fiducia parlamentare al Governo del Presidente del Consiglio eletto non sia in contraddizione con la sua elezione diretta – se eletto non ha bisogno della fiducia perché legittimato dagli elettori ma non dal Parlamento – ma anzi un’utilissima verifica dell’effettivo sostegno parlamentare alla squadra di Governo e al suo programma, come resto – si sostiene – avviene in molte Regioni dove, nonostante il Presidente sia eletto direttamente, sono previste procedure di verifica iniziale del rapporto fiduciario.

Al riguardo, due osservazioni.

In punta di diritto, solo alcuni Statuti prevedono che il Presidenti di Regione, dopo aver nominato gli assessori della Giunta regionale, si presenti dinanzi al Consiglio regionale non però per ottenerne la fiducia – non prevista – ma semplicemente per illustrare il programma di governo. Consiglio regionale che, a sua volta, si limita a discuterlo (v. artt. 46.2 St. Campania, 39.1 Statuto e 12 reg. cons. Liguria; 25.8 St. Lombardia e 50.4 St. Piemonte) oppure lo vota (v. artt. 16.2.a), 33.4 St. e 57 reg. cons. Calabria; 28.2 e 44.2 St. e 5 reg. cons. Emilia Romagna; 11.2, 32.1-2 St. Toscana e 43.2.a) St. Umbria). Ma tale voto iniziale del Consiglio regionale ha valore solo politico, non fiduciario; e non potrebbe essere altrimenti.

L’ha affermato la Corte costituzionale non in una ma in ben tre sentenze a proposito della fiducia iniziale prevista negli Statuti di Toscana (372/2004), Emilia Romagna (379/2004) e Abruzzo (12/2006): “la eventuale mancata approvazione consiliare [del programma di governo] può avere solo rilievo politico, ma non determina alcun effetto giuridicamente rilevante sulla permanenza in carica del Presidente, della giunta, ovvero sulla composizione di questa ultima” (372/2004); tali conseguenze, infatti, sarebbero “certamente inammissibili, ove pretendessero di produrre qualcosa di analogo ad un rapporto fiduciario” perché “il sistema della elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Regione (…) ha quale sicura conseguenza l’impossibilità di prevedere una iniziale mozione di fiducia” (379/2004); pertanto “estendere gli effetti [della mozione di sfiducia] ad un atto di approvazione del programma politico del Presidente della Giunta equivarrebbe ad un conferimento di fiducia iniziale senz’altro coerente in una forma di governo che non prevede l’elezione a suffragio universale e diretto del vertice dell’esecutivo, ma contraddittorio con un sistema di rapporti tra poteri fondato sul conferimento da parte del popolo di un mandato a governare ad entrambi gli organi supremi della Regione, ciascuno nei suoi distinti ruoli (…) Da quanto detto sopra si trae la conseguenza che non esiste tra Presidente della Giunta e Consiglio regionale una relazione fiduciaria assimilabile a quella tipica delle forme di governo parlamentari, ma un rapporto di consonanza politica, istituito direttamente dagli elettori, la cui cessazione può essere ufficialmente dichiarata sia dal Presidente che dal Consiglio con atti tipici e tassativamente indicati dalla Costituzione” (12/2006).

Pertanto, se il Presidente è eletto dagli elettori, va escluso in radice il voto di fiducia iniziale del Consiglio. Esso, piuttosto, può esprimere la sua consonanza politica al programma esposto o, in caso negativo, votare piuttosto la sfiducia al Presidente eletto, determinandone le dimissioni ma anche il contestuale proprio scioglimento. Insomma, il Consiglio regionale non deve dare la fiducia (che è presunta) al Presidente eletto ma, al contrario, può sfiduciarlo, innescando così uno scontro tra i due organi direttamente eletti che spetterà agli elettori – per questo chiamati alle urne – dirimere. 

Ma è in punta di fatto che il voto di fiducia iniziale si rivela inutile, ed anzi pernicioso, per cui alla fin dei conti il Presidente del Consiglio eletto da esso avrebbe tutto da perdere e nulla da guadagnare. Immaginiamoci lo scenario. Il Presidente del Consiglio eletto forma la squadra di governo, la presenta al Presidente della Repubblica che nomina, su sua proposta, i ministri. A questo punto si possono dare due ipotesi. O va tutto liscio e il Governo ottiene la fiducia del Parlamento. Oppure insorgono contrasti in seno alle forze politiche che hanno sostenuto la candidatura del Presidente eletto, presumibilmente a seguito di scelte non condivise all’interno della compagine di governo, in misura tale addirittura da portare alla bocciatura della mozione di fiducia con l’obiettivo di costringere il Presidente del Consiglio ad apportare gli opportuni correttivi. Già perché, se la mozione di fiducia iniziale non viene approvata, il progetto di riforma costituzionale del Governo prevede che il Presidente della Repubblica debba rinnovare l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo e solo qualora questi non ottenga, per la seconda volta, la fiducia delle Camere, debba sciogliere le Camere.

A me pare evidente che, grazie a tale disciplina, si potrebbe innescare una gravissima tensione politico-istituzionale tra legittimazione elettorale e legittimazione parlamentare, tra volontà degli elettori e volontà delle camere. Da un lato, il Presidente direttamente eletto che, forte della sua legittimazione elettorale, rivendicherebbe a buon titolo il diritto a scegliere i ministri che ritiene idonei a realizzare il programma di governo scelto dagli elettori, proponendoli per la nomina al Presidente della Repubblica. Dall’altro le Camere, e in esse i partiti politici della maggioranza che hanno sostenuto il Presidente eletto, i quali di contro potrebbero cominciare a brigare per condizionarne le scelte, confidando proprio sulla possibilità di ripetere per una seconda volta il voto di fiducia.

In tal modo innanzi tutto si finirebbe per svilire il voto di fiducia, privandolo della sua intrinseca solennità politica ed istituzionale. E la fiducia – come diceva un vecchio slogan pubblicitario – è una cosa seria. È vero che in altri Stati è prevista una doppia votazione fiduciaria, ma sol perché i quorum richiesti sono diversi: maggioranza assoluta nella prima; semplice (art. 99.3-5 Cost. Spagna) o relativa (art. 63.1-3 L.F. Germania) nella seconda. Qui invece la doppia votazione fiduciaria determinerebbe l’immediata corrosione della figura del Presidente del Consiglio eletto che a questo punto, pur di sopravvivere a questa forma di accanimento terapeutico nei suoi confronti, sarebbe costretto a modificare quanto meno la compagine di Governo (infatti il Presidente gli rinnova l’incarico “per formare il Governo”) al fine di ottenere la fiducia delle Camere, rimediando così subito una figura barbina e una cocente umiliazione dinanzi ai suoi elettori che finirebbe per incidere subito sulla sua autorità politica ed istituzionale.

Si potrebbe obiettare che il Presidente del Consiglio potrebbe resistere a tali pressioni perché, in caso di seconda bocciatura, il Presidente della Repubblica è obbligato a sciogliere le Camere; prospettiva che potrebbe stavolta indurre a più miti consigli la forza e le forze politiche della maggioranza recalcitranti. Non è così. Basterebbe infatti votare la fiducia iniziale al Presidente del Consiglio e alla prima occasione utile (subito dopo?) sfiduciarlo per sostituirlo con un altro Presidente del Consiglio che, nonostante non eletto direttamente, sarebbe molto più saldo del predecessore perché potrebbe essere sfiduciato solo a prezzo però dell’interruzione anticipata della legislatura.

Fantapolitica? Forse. Ma chi conosce la politica italiana se che è stata spesso contrassegnata da mille impreviste e diaboliche astuzie, per cui, come il passato dimostra – tra patti della staffetta (Craxi – De Mita) non rispettati e mozioni di sfiducia votate contro propri governi per andare alle elezioni (Fanfani) – ciò che sembra oggi inverosimile, un domani potrebbe non esserlo. È la legge di Murphy.

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