I referendum abrogativi del 2025: una nuova occasione per il voto fuori sede

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di Alessandro De Nicola*

La decisione della Corte costituzionale sull’ammissibilità di cinque quesiti referendari pone il Parlamento dinanzi all’imperativo di procedere con sollecitudine all’approvazione di una disciplina che agevoli l’esercizio del voto per quegli elettori che si trovino fuori dal comune di residenza nel giorno della consultazione.

Come è noto, per le scorse elezioni europee, l’art. 1-ter del decreto-legge n. 7 del 2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2024, ha introdotto un meccanismo sperimentale di esercizio del voto in un luogo diverso da quello di residenza, circoscritto ad una limitata categoria di fuori sede: gli studenti. Se, da un lato, si è trattato di un’innovazione di sicuro interesse sul piano del diritto elettorale, da salutare come un primo significativo passo in avanti nel contrasto al fenomeno dell’astensionismo involontario, dall’altro non possono non essere notati alcuni dei limiti che ab origine hanno segnato questa esperienza. Benché, infatti, la disciplina sperimentale abbia avuto il merito di scardinare il paradigma del “non si può fare”, vincendo le non poche resistenze palesate nel corso degli anni dall’Amministrazione dell’Interno, incaricata di organizzare il procedimento elettorale, essa rimane un tentativo incompiuto. La sperimentazione si rivolgeva esclusivamente a un ristretto novero di destinatari, dai quali restavano esclusi gli elettori fuori sede per motivi di lavoro o di cura (per riprendere la tassonomia più diffusa nelle proposte di legge presentate sul tema e quella attualmente utilizzata dall’art. 4-bis della legge n. 459 del 2001 per il voto degli italiani temporaneamente all’estero). A ciò si unisce il fatto che le previsioni del già citato art. 1-ter erano limitate alle sole elezioni europee del 2024 e che, pertanto, al momento in cui si scrive non sono più vigenti.

Ciononostante, sembra utile rammentare, seppur brevemente, il meccanismo individuato dal legislatore per l’esercizio del voto degli studenti fuori sede, partendo da una necessaria premessa: per l’elezione dei membri italiani al Parlamento europeo il territorio nazionale è diviso in cinque circoscrizioni elettorali, ognuna delle quali elegge un dato numero di eurodeputati. Ebbene, a mente di ciò, per l’individuazione del luogo di esercizio del diritto di voto è stata operata una differenziazione sulla base del comune di residenza dell’elettore-istante, prevedendo due distinte modalità: a) se il comune di temporaneo domicilio fosse stato ubicato nella medesima circoscrizione del comune di iscrizione nelle liste elettorali, il voto poteva avvenire in una delle sezioni elettorali del comune di temporaneo domicilio; b) se, invece, il comune di temporaneo domicilio fosse appartenuto a una circoscrizione diversa da quella del comune di iscrizione nelle liste elettorali, lo studente elettore avrebbe potuto esercitare il proprio suffragio nel capoluogo della regione del comune di temporaneo domicilio. In questa seconda ipotesi, volendo garantire il principio di rappresentanza territoriale, il voto veniva comunque espresso «per le liste e i candidati della circoscrizione di appartenenza dell’elettore» presso sezioni elettorali speciali.

Per sua natura, il referendum non prevede la divisione del territorio in circoscrizioni elettorali (salvo il caso della circoscrizione Estero), questo per il semplice assunto secondo cui un “Sì” o un “No” ha il medesimo valore, ovunque il suffragio venga espresso. Partendo da tale presupposto, per il legislatore sarebbe abbastanza semplice riproporre – questa volta in modo generalizzato, non limitando la platea dei beneficiari ai soli studenti – il meccanismo sub a). In vista dei prossimi referendum abrogativi, l’elettore fuori sede potrebbe chiedere, mediante istanza da rivolgere al comune di residenza, di essere ammesso a votare in una delle sezioni elettorali del comune di temporaneo domicilio. Ciò non sembrerebbe porre particolari problemi. D’altronde, durante l’esame alla Camera dei deputati della proposta di legge A.C. 115 (ora in attesa di essere approvata dal Senato della Repubblica), l’articolato originario è stato modificato da un emendamento del relatore di maggioranza: il nuovo testo contiene ora una delega al Governo che, tra i principi e i criteri direttivi, reca uno specifico riferimento alle «consultazioni re­ferendarie, previste dagli articoli 75 e 138 della Costituzione», nel senso di prevedere «per gli elettori che per motivi di studio, lavoro, cure medi­che o prestazione di assistenza in qualità di caregiver familiare […] la possibilità di votare nel comune di temporaneo domicilio».

Dopotutto, deve altresì essere considerato che, già da tempo, in occasione dei referendum sia abrogativi che costituzionali, gli elettori, con l’ausilio dei partiti e dei comitati promotori, utilizzano strumentalmente la figura del rappresentante di lista (ex art. 48 T.U. n. 361 del 1957 e art. 18 l. n. 352 del 1970) per poter esercitare il proprio suffragio in un seggio diverso da quello naturale. Infatti, se per le elezioni politiche la possibilità per il rappresentante di lista di votare in una sezione differente è limitata dalla necessità di essere «elettori nel collegio plurinominale», ciò non è altrettanto previsto in caso di referendum, dove, come si diceva precedentemente, è presente una sola circoscrizione.

I referendum abrogativi della prossima primavera potrebbero rappresentare un’occasione per addivenire all’approvazione di una disciplina definitiva del voto fuori sede per tutte le consultazioni, quantomeno quelle di rilievo nazionale.

Benché le strette tempistiche non lascino ben sperare circa un intervento organico, sulla scorta di quanto accaduto in occasione delle elezioni europee, il legislatore potrebbe replicare – data anche la semplicità di tale misura e i pochi oneri organizzativi che ne deriverebbero in capo al Viminale – la sperimentazione per i prossimi appuntamenti referendari, ampliandola auspicabilmente a tutte le categorie di fuori sede.

Tale misura, oltre ad agevolare l’esercizio del suffragio, sarebbe sicuramente idonea ad aumentare la partecipazione al voto, elemento – quest’ultimo – che proprio nel caso di referendum assume grande importanza, atteso l’impatto che potrebbe determinare sulla probabilità di raggiungere il quorum del 50%+1 degli aventi diritto; obiettivo di certo non gradito al Governo (a nessun Governo, beninteso). Nel corso degli anni, infatti, non sono mancati casi in cui leaders politici (e anche Presidenti del Consiglio e Ministri) hanno scoraggiato l’esercizio del voto referendario, tra cui si ricorda il celebre «Andate al mare» di Bettino Craxi in occasione del referendum abrogativo del 1991 (che registrò comunque il 62,50% di affluenza!).

Tuttavia, dopo la sperimentazione della scorsa estate, sembra difficile invertire la rotta. Siamo certi che le ragioni che militano a sostegno della necessità di garantire l’effettività del suffragio per i cittadini fuori sede prevarranno rispetto a meri calcoli di parte.

* Assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato nell’Università degli Studi Roma Tre

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