Legge elettorale: ultima chiamata

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di Salvatore Curreri

Lo scorso 20 settembre 2017 l’on. Fiano, a nome del Pd, ha presentato in Commissione affari costituzionali alla Camera (analogo testo è stato presentato anche al Senato) un nuovo progetto di legge (v. https://stefanoceccanti.wordpress.com/2017/09/21/il-testo-della-proposta-di-riforma-elettorale-rosatellum-bis/), detto Rosatellum bis o 2.0, a seconda che si voglia scimmiottare il lessico sartoriano o informatico.

La formula elettorale proposta è identica per entrambe le Camere. Se approvata, quindi, si andrebbe oltre quanto evidenziato dalla Corte costituzionale nell’ultimo capoverso della sentenza n. 35/2017, secondo cui la Costituzione non impone sistemi elettorali identici ma esige che essi “pur se differenti, non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee” così da “non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare”. In ogni caso, a caratterizzare il sistema elettorale del Senato rispetto a quello della Camera rimarrebbero l’elettorato attivo (25 anni anziché 18) e la base elettorale per la ripartizione dei seggi (regionale anziché nazionale).

La proposta di legge prevede l’attribuzione dei circa due terzi dei seggi alle liste con metodo proporzionale e soglia di sbarramento e del restante terzo ai candidati più votati in collegi uninominali (maggioritario plurality). Ogni candidato del collegio uninominale sarebbe collegato ad una o più liste proporzionali. Un sistema quindi non tedesco, dove com’è noto ai fini dell’attribuzione dei seggi vale solo il voto proporzionale, ma simile al Mattarellum, seppur rovesciato, giacché – come si ricorderà – le percentuali, oltreché diverse, erano invertite (75% maggioritario e 25% proporzionale).

Più precisamente il sistema elettorale funzionerebbe nel modo seguente.

I collegi uninominali sarebbero 102 al Senato (esclusi i 6 del Trentino Alto Adige e l’unico della Valle d’Aosta: il 34% del totale) e 231 alla Camera (37% circa del totale), nei quali invece sarebbero inclusi i 6 del Trentino Alto Adige.

Quest’ultima cifra (231) è infatti è la somma dei 225 collegi uninominali previsti nella prima versione del progetto di legge Rosato e i 6 collegi uninominali ora attribuiti al Trentino Alto Adige (ripresi da quelli del Senato), dopo che, come si ricorderà, lo scorso 8 giugno l’Aula della Camera, approvando a scrutinio segreto l’emendamento Biancofiore-Fraccaro, aveva soppresso i previsti (e oggi vigenti) otto collegi uninominali e tre proporzionali, determinando di fatto la bocciatura del modello simil-tedesco su cui i maggiori partiti avevano convenuto. Una volta scartata dalla Presidenza della Camera la soluzione, proposta dall’on. Brunetta, di approvare una norma transitoria che postergasse gli effetti dell’approvazione di tale emendamento, si è quindi preferito includere i collegi uninominali del Trentino Alto Adige, a tutela delle minoranze linguistiche ivi residenti, nel computo generale, seppur in misura ridotta (6 anziché 8), mentre di contro aumenterebbero da 3 a 5 i seggi proporzionali.

I restanti 386 seggi alla Camera e 200 seggi al Senato (per entrambi il 63% circa del totale) – al netto rispettivamente dei 12 e 6 assegnati alla circoscrizione Estero – sarebbero attribuiti in collegi plurinominali (stimati in 70-77 alla Camera) con metodo proporzionale a liste bloccate (senza voto di preferenza) e corte (2-4 candidati alla Camera, 3-6 al Senato). Come accennato, le liste potrebbero coalizzarsi tra loro per sostenere un unico candidato nel collegio uninominale, ma tali coalizioni devono essere omogenee sul piano nazionale.

Al contrario di quanto oggi previsto, il fatto che una lista si presenti in coalizione o no non influisce sulla soglia di sbarramento da superare per l’accesso alla ripartizione dei seggi, ora fissata al 3% dei voti validi a livello nazionale. Da notare, piuttosto, che seppur esclusi dalla ripartizione dei seggi, i voti delle liste che non superano la soglia di sbarramento, purché superiori all’1%, sarebbero comunque assegnati alla coalizione. Il che consentirebbe, come avvenuto in passato, la proliferazione di liste marginali e monotematiche (animalisti, indignati, pensionati, trasportatori e, financo, liste di squadre calcistiche…). Nel Trentino Alto Adige per accedere alla ripartizione dei seggi proporzionale la lista o la coalizione di liste devono superare il 20% dei voti a livello regionale o aver vinto due collegi uninominali.

Per le coalizioni di liste la soglia di sbarramento è fissata al 10% dei voti validi espressi, a patto che esse contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 3 per cento dei voti validi espressi.

Per quanto riguarda le candidature, ci si può candidare in un solo collegio uninominale e/o in massimo tre collegi plurinominali. Circa le c.d. quote rosa, nessuno dei due generi potrebbe essere rappresentato in misura superiore al 60% (quindi vale il rapporto 60-40) sia nei collegi uninominali sia nei capolista dei collegi plurinominali. Essendo le liste bloccate, non sarebbe più prevista la doppia preferenza di genere.

Unica sarebbe la scheda elettorale, che recherebbe il nome del candidato nel collegio uninominale e il contrassegno di ciascuna lista ad esso collegata, corredato dei nomi dei candidati del listino nel collegio plurinominale.

Unico sarebbe anche il voto dell’elettore: o per il candidato del collegio uninominale e per la lista o una delle liste ad esso collegate, senza quindi possibilità di voto disgiunto; oppure per il solo candidato del collegio uninominale. In tal caso, però, i voti si sommano alla lista o liste ad esso collegate, nel primo caso interamente, nel secondo caso pro quota. Ad esempio, se 90 elettori votano solo il candidato uninominale collegato a due liste, di cui la prima ha preso 60 voti e la seconda 30, dei 90 voti per il candidato 60 vanno alla prima lista (che passa da 60 a 120) e 30 alla seconda (che passa da 30 a 60) (per gli specialisti: si divide la somma dei voti di lista della coalizione per il totale dei voti a favore del solo candidato nel collegio uninominale, ottenendo il quoziente di ripartizione, per il quale si divide il totale dei voti di ciascuna lista, ottenendo così il numero dei voti da attribuire a ciascuna lista che vanno sommati alla quelli già conseguiti nel collegio plurinominale).

Evidenti le differenze rispetto al sistema attuale (per il testo a fronte Rosatellum/normativa vigente Senato v. https://stefanoceccanti.wordpress.com/2017/09/22/testo-a-fronte-rosatellumnormativa-vigente-senato/;

Innanzi tutto, le coalizioni tra liste diverse, oggi previste solo al Senato (e incentivate giacché le liste coalizzate devono superare lo sbarramento non dell’8 ma del 3 per cento), sarebbero possibili anche alla Camera (oggi possibili solo sotto forma di “listone infracoalizionale”, cioè di lista formata da più liste). Il che certo è gradito a quelle forze politiche che vogliono allearsi mantenendo però la loro autonoma identità (si pensi a Forza Italia rispetto alla Lega e a Fratelli d’Italia, ma anche al “Campo Progressista” di Pisapia rispetto al Pd), mentre di contro non incontra ovviamente il favore di quelle forze politiche (M5S e Mdp) che non vogliono/possono allearsi con altre.

Tali coalizioni, inoltre, sarebbero solo elettorali, senza alcun impegno politico futuro, dato che il sistema non è majority assuring, cioè non in grado di assicurare una maggioranza parlamentare alla coalizione più votata. Non a caso ogni lista, all’atto del deposito del contrassegno, avrebbe l’obbligo di presentare il “programma elettorale” e di dichiarare il “nome e cognome della persona indicata come capo della forza politica” mentre non si prevede né l’obbligo di un programma di coalizione, né la designazione di un “capo” della coalizione, che pure è oggi previsto al Senato.

In secondo luogo, l’effetto disproporzionale – oggi affidato all’improbabile attribuzione del premio di maggioranza del 54% dei seggi alla lista (e non coalizione) che alla Camera ha ottenuto almeno il 40% dei voti validi, e alle soglie di sbarramento (specie quella dell’8 per cento previste per le liste non coalizzate) – sarebbe in parte assicurato dai collegi uninominali. Ma sarebbe proprio nella ripartizione dei candidati uninominali che le divisioni all’interno delle coalizioni, scongiurate come sopra detto grazie alle liste proporzionali, potrebbero facilmente riemergere, dato che il divieto di voto disgiunto e di alleanze “a geometria variabile”, cioè diverse sull’intero territorio nazionale, non consentirebbe ad una lista proporzionale in dissenso con un candidato uninominale di correre da sola.

Infine, sarebbe abolito il voto di preferenza introdotto al Senato dalla sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale al Senato, a favore di liste corte e bloccate e collegi uninominali.

Il testo, su cui sembra esserci la convergenza di Pd, Forza Italia, Lega e Ap, dovrebbe essere esaminato dalla Camera tra il 9 e il 12 ottobre, cioè una settimana prima che al Senato inizi l’esame della legge di Stabilità, così da evitare che su di essa si possano scaricare eventuali – e, visto i precedenti, nient’affatto imprevedibili – tensioni politiche che, alla Camera, dovranno peraltro reggere al voto segreto.

Inoltre, si ricordi che il 4 ottobre è previsto il voto per il ricorso all’indebitamento per il quale l’art. 81.2 Cost. richiede in entrambe le camere la maggioranza assoluta, quindi con il consenso anche almeno di una parte delle forze politiche oggi contrarie a tale progetto di riforma.

Tutti motivi che inducono a dubitare della capacità della classe politica di rispondere a quella che a tutti appare come l’ultima chiamata per non andare a votare con leggi elettorali scritte dalla Corte costituzionale.

 

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1 commento su “Legge elettorale: ultima chiamata”

  1. La proposta di nuova legge elettorale è un riflesso cinico dell’ultima giurisprudenza costituzionale

    La proposta di nuova legge elettorale rinuncia ai premi di super-maggioranza delle precedenti versioni bocciate dalla Corte costituzionale e ottempera formalmente ai criteri molto permissivi di libera scelta degli eletti da parte degli elettori fissati dalla recente giurisprudenza.

    La proposta consiste in un sistema sostanzialmente proporzionale di lista nazionale, con soglie di sbarramento basse e liste bloccate che suffragano la triste tradizione del Porcellum e dell’Italicum, mollemente contrastata dai giudici. Una mia analisi delle sentenze 1/2014 e 35/2017 è disponibile su https://www.academia.edu/33331644/La_garanzia_dei_diritti_elettorali_fondamentali.

    Per rispettare formalmente i criteri giurisprudenziali di conformità, la proposta prevede piccoli collegi plurinominali con listini bloccati, ma anche pluri-candidature che consentono a chi governa la lista di decidere chi finalmente entra in Parlamento.

    L’unico elemento disproporzionale (oltre le soglie) consiste in un terzo circa dei parlamentari da eleggere (a maggioranza relativa) in collegi uninominali doppiamente fasulli: essendo il voto uninominale formalmente legato e di fatto subordinato alla scelta di lista , i collegi sono solo una foglia di fico per nascondere e attenuare marginalmente la natura bloccata delle liste; i candidati uninominali non rischiano perché si possono presentare inoltre in tre collegi plurinominali bloccati; la scheda a voto unico ostacola la facoltà di voto disgiunto fra una lista e il candidato uninominale di un altro schieramento; un’ipotetica candidatura individuale che fosse solo di collegio sarebbe quindi incompleta perché chi votasse per un indipendente senza lista nazionale rinuncerebbe a due terzi del suo diritto di voto.

    Nonostante la relativa omogeneità delle procedure fra Camera e Senato, la fiducia dipenderà da un voto in entrambi i rami del Parlamento e quindi da una doppia maggioranza, omogenea solo se più ampia. Le regole per l’apparentamento e le coalizioni non cambiano la natura del sistema. Le disposizioni poco rilevanti a favore dell’uguaglianza di genere possono essere facilmente raggirate attraverso calcoli pre-elettorali e le pluri-candidature con assegnazione definitiva post-elettorale.

    A pochi mesi dalle elezioni l’assegnazione proporzionale dei seggi permette ai partiti che appoggiano la proposta di vanificare le speranze del M5S di raggiungere da solo la maggioranza assoluta in almeno un ramo del Parlamento; giuridicamente accettabile (la maggioranza è ampia, benché di nominati) e politicamente comprensibile (i grillini che rifiutano alleanze se la sono cercata), la tattica di fissare regole che danneggiano una parte, se denunciata con successo, rischia tuttavia di ritorcersi contro chi la sostiene e di portare voti agli avversari.

    Le liste sostanzialmente bloccate, introdotte nel 2005 in condizioni similari a quelle odierne, censurate tardivamente e mollemente dalla Corte costituzionale, servono ai padroni dei tre grandi partiti, perfettamente allineati e concordi su questo punto, di comandare loro le candidature, le elezioni e gli eletti.

    Visto che la legge truffa c’era già, questa è l’ennesima super-truffa elettorale escogitata da esperti diabolici al servizio di politici cinici, in assenza di protezione giuridica adeguata dei cittadini (la proposta sfrutta i criteri permissivi dell’ultima giurisprudenza ; manca il tempo per nuovi ricorsi), in assenza di analisi accademica e dottrinale all’altezza (confusione fra argomenti di scienze politiche e di diritto costituzionale, servilismo nei confronti dei potenti) all’altezza, in un paese avvilito, disilluso, vergogna dei giovani che vorrebbero liberarsi dei vizi atavici, della cultura delle carte truccate, della finzione, dell’inganno e del sopruso. Se approvata la legge aumenterà il fattore rischio-paese e dovrebbe preoccupare il resto dell’Europa.

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