Elezioni 2018: vincerà il secondo

di Antonio Ramenghi

La vignetta di Altan, quella dell’elettore al voto che inserendo la scheda nell’urna esclama: “Che perda il peggiore”, il 4 marzo sarà, in molti casi, ribaltata: a vincere uno scranno in Parlamento non sarà il più votato in quel seggio.

Il Rosatellum, la legge elettorale con cui si andrà a votare, non solo non consente di esprimere le nostre preferenze per questo o quel candidato, non solo non consente il voto disgiunto (voto un partito ma voto il candidato di un’altra lista), ma grazie alle pluricandidature farà sì che in molti collegi plurinominali non venga eletto il candidato capolista, ma il secondo nell’ordine (poco male, in fondo, visto che – appunto – non ci sono le preferenze).

Il gioco delle pluricandidature del Rosatellum, che per certi versi assomiglia al tanto e giustamente vituperato Porcellum, ha un doppio effetto: aver messo nelle mani delle segreterie dei partiti la quasi totale futura rappresentanza parlamentare e, secondo, aver tolto ai tanto declamati “territori” la possibilità di mandare in Parlamento candidati della propria terra, che conoscono la realtà locale, i suoi bisogni, le sue speranze, e che sono conosciuti (nel bene e nel male) dalla platea degli elettori del collegio.

Il primo effetto come si è visto ha provocato estenuanti trattative nelle segreterie e nei vari vertici dei partiti, con strascichi polemici, rischio di fratture, addirittura, come nel caso di Silvio Berlusconi, la necessità di una pausa defatigante nella campagna elettorale servita al leader di Forza Italia per rimettersi dalle giornate e nottate di trattative. A complicare ulteriormente la partita delle candidature e pluricandidature è stata anche la formazione delle coalizioni nelle quali ciascun partito aveva diversi centravanti o attaccanti di sfondamento, o presunti tali, da difendere e da schierare in campo. E per tenere insieme le alleanze non sono stati tanto i punti programmatici, i programmi, a suscitare discussioni e divisioni, ma appunto la spartizione dei seggi in particolare quelli presunti “sicuri”.

Il risultato è un puzzle che vede amplificata al massimo la possibilità delle pluricandidature prevista dal Rosatellum che in realtà inizialmente dovevano essere tre e che poi sono state portate a cinque.

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Dalle Alpi alle piramidi, dal Manzanarre al Reno: il Rosatellum tra (pluri) candidature e rappresentanza dei territori

di Alessandro Lauro

Les jeux sont faits. Alle ore 20 del 29 gennaio 2018 sono scaduti i termini di legge per la presentazione delle liste dei candidati dinanzi agli Uffici elettorali circoscrizionali e regionali. I partiti e movimenti politici hanno dunque “chiuso” la partita sulle candidature, fra “strappi” delle minoranze, accuse alle dirigenze ed altre reazioni varie ed eventuali.

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I programmi dei partiti, obbligatori per legge, sono cosa diversa dagli slogan elettorali

di Roberto Bin

Pochi lo sanno, ma una delle novità della nuova legge elettorale (il c.d. Rosatellum) è che ogni partito o coalizione è tenuto a depositare, assieme allo Statuto della formazione politica e alla lista dei candidati, anche l’indicazione del “capo politico” e il programma elettorale. Il tutto dev’essere pubblicato entro oggi, 31 gennaio, nel sito “Elezioni trasparenti” del Ministero dell’interno.

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Elezioni 2018 e candidati. Avete voluto il “leader”? Allora non piangete se fa lui le liste

di Antonio D’Andrea

Quando si inneggia al “partito del leader” o più precisamente al “capo della forza politica”, imponendo con un’esplicita disposizione legislativa la sua obbligatoria individuazione, e quando si sostiene che sia bene che chi comanda il partito (o movimento politico) si proponga al corpo elettorale come candidato premier in occasione delle elezioni politiche, si resta inevitabilmente imprigionati dentro una cultura istituzionale radicatasi da tempo nel nostro Paese (e nello stesso ordinamento giuridico) non uscita sconfitta con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.

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La sottoscrizione delle liste: i radicali hanno ragione, ma la colpa è della legge

di Roberto Bin

È scoppiata da poco la questione della raccolta delle firme a cui sono tenuti i partiti che non erano già rappresentati in parlamento e che vogliono aderire ad una coalizione: è la questione sollevata da Emma Bonino, la cui lista, +Europa, avrebbe dovuto entrare nella coalizione di centro-sinistra.

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La Corte frena la corsa all’impazzata dei ricorsi contro le leggi elettorali

di Antonio D’Andrea

Mi spiace dover rilevare che la Corte, nel dichiarare senza troppi imbarazzi inammissibili (ordinanze n. 277 e 280 del 2017) i quattro ricorsi per conflitto di attribuzione sostanzialmente diretti nei confronti della nuova legge elettorale – il cosiddetto Rosatellum – (formalmente indirizzati nei confronti delle Assemblee parlamentari, dei l0r0 Presidenti e del Governo) e sollevati da singoli parlamentari, elettori, rappresentanti dei Gruppi parlamentari e varie altre sigle di “consumatori istituzionali”, abbia semplicemente dovuto riaffermare il buonsenso, prima ancora di dare risposte di sicura valenza tecnico-giuridica,  alla luce dei vigenti precetti costituzionali.

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Un caso interessante alla Corte: può un deputato ricorrere contro il modo di procedere della Camera di appartenenza?

di Roberto Bin

Il 12 dicembre la Corte affronta in Camera di consiglio (quindi senza dibattito pubblico) una questione assai interessante: se il membro di una Camera possa sollevare un conflitto di attribuzione contro la sua Camera di appartenenza, lamentando la violazione della disciplina delle procedure contenute nel regolamento parlamentare e in Costituzione.

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La nuova legge elettorale in cinque schede

di Roberto Bin

Il c.d. Rosatellum è ormai in fase di promulgazione. La legge approvata dalle Camere non è un testo semplice, a causa della pessima tecnica legislativa che è ormai prassi italiana (approvazione non di una nuova disciplina, ma di emendamenti alle leggi precedenti, cioè il Porcellum, come corretto dalla sent. 1/2014 della Corte costituzionale, per il Senato e l’Italicum, come corretto dalla sent. 35/2017 per la Camera), che rende le leggi incomprensibili e crea grande difficoltà (e perciò troppa incertezza e conseguente discrezionalità) nella loro applicazione.

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Caro Travaglio, per essere democratica, la legge elettorale deve prevedere le preferenze?

di Roberto Bin

A seguire Travaglio e Libertà e giustizia, sembrerebbe che la risposta alla domanda del titolo debba essere positiva. Si invoca una legge elettorale che restituisca agli elettori il potere di scegliere gli eletti e ci liberi da un Parlamento di “nominati”.

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