di Antonio D’Andrea
Quando si inneggia al “partito del leader” o più precisamente al “capo della forza politica”, imponendo con un’esplicita disposizione legislativa la sua obbligatoria individuazione, e quando si sostiene che sia bene che chi comanda il partito (o movimento politico) si proponga al corpo elettorale come candidato premier in occasione delle elezioni politiche, si resta inevitabilmente imprigionati dentro una cultura istituzionale radicatasi da tempo nel nostro Paese (e nello stesso ordinamento giuridico) non uscita sconfitta con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.