Elezioni 2018 e candidati. Avete voluto il “leader”? Allora non piangete se fa lui le liste

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di Antonio D’Andrea

Quando si inneggia al “partito del leader” o più precisamente al “capo della forza politica”, imponendo con un’esplicita disposizione legislativa la sua obbligatoria individuazione, e quando si sostiene che sia bene che chi comanda il partito (o movimento politico) si proponga al corpo elettorale come candidato premier in occasione delle elezioni politiche, si resta inevitabilmente imprigionati dentro una cultura istituzionale radicatasi da tempo nel nostro Paese (e nello stesso ordinamento giuridico) non uscita sconfitta con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016.
Dunque va da sé che al momento della formalizzazione delle candidature per competere alla carica di parlamentare (il che rappresenta, a livello nazionale, l’unica espressione di scelta diretta da parte degli elettori), proprio i leader si chiudano in una stanza con i propri fidati collaboratori (sia pure dopo pregresse riunioni, direzioni ad hoc e/o qualche click) per scegliere chi e dove dovrebbe essere chiamato a “correre” per aggiudicarsi i seggi in palio.

Si vince e si perde in questo o quel collegio, più che per se stessi, per i leader della forza politica di appartenenza, “impregnata” dalla “posizione dominante” di chi ne detiene la guida (certo, perché così desiderano i c.d. militanti). Del resto anche il meccanismo elettorale approvato sul finire dell’attuale legislatura – il c.d. Rosatellum – asseconda molto bene questa impostazione, che produce una fittizia rappresentanza parlamentare tra liste bloccate, pluricandidature e artificiali trasferimenti di seggi tra collegi, sottraendo, a voler ben vedere, all’elettore la libertà di scelta del suo rappresentante nel territorio dove egli esprime il suo voto (il massimo della libertà che gli viene consentita è ancora una volta quella di conferire una delega in bianco proprio al leader del partito prescelto).

Dunque questa stucchevole polemica sulle scelte riconducibili alla diretta volontà dei leader, con il piagnisteo degli esclusi dalle candidature o comunque con una più o meno fittizia contestazione delle stesse da parte di chi avrebbe voluto spazio per questo o quel sodale (molti dei quali saranno alla prima occasione utile “ricompensati” in qualche modo), resta insopportabile per chi ha sempre pensato che, nel sistema parlamentare accolto dal dettato costituzionale e da nessuno seriamente ripudiato, i partiti siano ben altro rispetto a queste “conventicole” a cui essi sono stati ridotti dalla nefasta cultura istituzionale del “capo”, chiamato, non si sa bene sulla base di quale congegno costituzionale vigente, a vincere le elezioni e dunque a governare senza poter essere intralciato dalla maggioranza parlamentare annessa alla sua persona!

In realtà le cose non stanno così e i fatti, ancora una volta, si incaricheranno di dimostrarlo. Altro che Governo scelto liberamente dagli elettori! È sperabile che nel frattempo si ripensi davvero, a meno di non voler variare il sistema di governo (il che presupporrebbe un’onestà intellettuale che in questa classe politica non si riesce proprio a intravedere), al partito come fondamentale associazione collettiva di uomini liberi decisi a stare insieme nel nome di qualcosa che deve per forza assomigliare, almeno dal mio punto di vista, ad una precisa ideologia, che non necessariamente deve essere riproduttiva di “mondi” che non ci sono più ma che, tuttavia, da lì è bene che riparta per proiettarsi nel tempo presente. Se non piace parlare di ideologia si parli almeno di “idee” forti e limpide ben oltre gli scanni da occupare.

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4 commenti su “Elezioni 2018 e candidati. Avete voluto il “leader”? Allora non piangete se fa lui le liste”

  1. Condivido la parte critica (contro le pluri-candidature bloccate), ma non l’elemento propositivo di quest’analisi:
    “Altro che Governo scelto liberamente dagli elettori! È sperabile che nel frattempo si ripensi davvero, a meno di non voler variare il sistema di governo …, al partito come fondamentale associazione collettiva di uomini liberi decisi a stare insieme …”.
    Non conviene istituzionalizzare i partiti, ma applicare o cambiare le regole costituzionali esistenti:
    1. Contrariamente a quello che sembra insinuare il titolo, la gente non “ha voluto” un bel niente. Sono i politici cialtroni e i pessimi accademici che hanno creato la confusione che ormai regna da padrona nell’opinione pubblica.
    2. Eleggere un “Parla-mento” (un’assemblea rappresentativa che propone, formula, critica, confronta, vota, approva) è cosa ben diversa della formazione di un organo esecutivo (che decide coeso, senza dibattito pubblico interno, agendo, andando avanti con la fiducia del Parlamento).
    3. Per l’elezione del primo valgono regole (quelle vigenti, della Cost. interpretata dalla C. Cost. sentenza 35/2017) diverse di quelle della nomina (Presidente/Parlamento) del secondo.
    4. Per cambiare queste regole non basta creare dei partiti istituzionali (sembra questo l’auspicio dell’Autore) che scelgono e decidono, cioè eleggono, legiferano e governano al posto dei cittadini, del Parlamento e del governo; la soluzione preconizzata rischia di creare una rappresentanza politica da nomenclatura di tipo sovietico, a meno di assicurare la democrazia interna; ma come fare per risolvere all’interno dei partiti un problema che non ha potuto essere risolto nelle istituzioni pubbliche?
    5. Per far scegliere direttamente agli elettori servirebbe, se davvero conveniente, o necessario, l’elezione diretta dell’esecutivo, come in Francia e negli Stati Uniti. Se no, il governo sarà scelto (come negli altri paesi, di solito attraverso il voto di fiducia) dai rappresentanti eletti.
    6. Una soluzione meno radicale dell’elezione diretta sarebbe di responsabilizzare il parlamento e stabilizzare il governo attraverso lo strumento della sfiducia costruttiva (vigente in Germania post 1949, discussa ma scartata dall’assemblea costituente nel 1946-47).
    7. Soluzioni istituzionali serie (=i punti 5. e 6.) hanno ricadute pressoché meccaniche sulla vita dei partiti, perché disciplinano il comportamento dei deputati (come illustrato dall’esperienza di altri paesi; benché come in tutte le vicende umane non esista una soluzione perfetta).
    8. Indipendentemente dalla soluzione per l’esecutivo, serve per il Parlamento una legge elettorale democratica, conforme (agli art. 48, 49, 51), senza trucchi formalmente o sostanzialmente incostituzionali quali liste bloccate con candidature plurime e rappresentanti nominati, o meccanismi rigidi chiamati “majority assuring”.
    9. Se i partiti sono ideologici e stabili o più opportunistici e elettorali-strumentali, personali (dietro un leader carismatico e/o facoltoso-potente), lobbistici (difesa di un interesse particolare) o non, di massa o elitari, territorialmente organizzati o concentrati, democratici e aperti o chiusi e monolitici, decentrati e federati o centralizzati e dispotici, etc è una scelta che spetta ai loro associati, non alla legge (costituzionale).

    http://www.lavoce.info/archives/48904/legge-elettorale-usi-abusi-delle-liste/
    https://www.academia.edu/33331644/La_garanzia_dei_diritti_elettorali_fondamentali

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  2. L’autore del breve commento auspica semplicemente che nel nostro ordinamento un sano sistema politico possa reggersi su partiti che non siano organizzati e diretti nel modo che è sotto gli occhi di tutti e che è frutto di una perdurante “cultura del capo”, alimentata tra l’altro da metodiche note (a partire da fantasiose primarie aperte). Sul piano costituzionale si limita semplicemente ad osservare, tra l’altro tra le righe, uno “sviamento ” dei meccanismi vigenti del sistema parlamentare che certo dovrebbe giovarsi di una legge elettorale conforme ai precetti costituzionali, alcuni dei quali individuati dal giudice costituzionale, e della capacità del sistema politico di individuare maggioranze in Parlamento e non già in occasione del voto politico (che non è chiamato a risolvere la questione del Governo del Paese ma a garantire nei territori la rappresentanza del corpo elettorale).
    A.D’A.

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  3. Ringrazio l’Autore dell’attenzione e chiedo venia per il commento troppo prolisso. Si, sostengo che la soluzione non può essere la regolamentazione dei partiti (cioè ulteriori rigidità e restrizioni all’accesso), ma dovrebbe essere cercata in un’applicazione più scrupolosa dei principi elettorali sanciti dalla Costituzione. Gli art. 48, 49 e 51 sono garanzie dei diritti politici individuali, non la base di poteri occulti. La Corte costituzionale è troppo permissiva ammettendo come conforme liste bloccate corte o parziali; i politici, i potenti e i loro consulenti non si fanno pregare per sfruttare le crepe del sistema create dalla giurisprudenza.

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  4. Mi trovo d’accordo nel sottolineare il rispetto dei precetti costituzionali che attengono al diritto di voto nella sua ineliminabile configurazione individuale (l’elettore è tenuto a conoscere gli effetti diretti della sua manifestazione di volontà) e naturalmente auspico che il giudice costituzionale possa continuare a intervenire – beninteso seguendo la “strada maestra” dell’incidente di costituzionalità apertasi meritoriamente e inaspettatamente con la sentenza n.1/2014 – al fine di vanificare “aggiramenti” degli stessi nel nome di altri fumosi obiettivi, il più insidioso dei quali è la governabilità ad ogni costo.
    Non c’è dubbio che una corretta legislazione elettorale possa aiutare l’esistenza di forze politiche diverse da quelle che si sono nutrite con “premi di maggioranza”, “sbarramenti diversificati”, “liste bloccate” e “pluricandidature”.

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