Quando la legge elettorale non aiuta il Paese

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di Glauco Nori

Parlare della legge elettorale sotto elezioni espone a rischi, ma vale la pena di correrli: potrebbe essere proprio il momento, purché non si parta da idee preconcette.

Come per tutte le leggi, non ce n’è una buona in assoluto e per sempre. Nella Commissione dei 75 si decise di non prevedere nella Costituzione il sistema elettorale per non costringere il Parlamento a modificarla se col tempo ne fosse risultato utile uno diverso: è solo in un ordine del giorno che si è manifestata la preferenza per il criterio proporzionale. Si è, dunque, presupposta la possibilità di modificare il sistema e di farlo con legge ordinaria se una nuova situazione elettorale l’avesse richiesto.

Dal punto di vista dell’estetica costituzionale il criterio proporzionale può apparire il più soddisfacente. Senonché la legge elettorale non dovrebbe servire solo per eleggere il Parlamento, ma anche per far funzionare lo Stato. La rappresentatività, realizzabile con il criterio proporzionale, andrebbe adottata, secondo l’opinione di molti, quando non impedisca allo Stato di essere efficiente. Sarebbe da cercare una soluzione intermedia quando efficienza e rappresentatività diventassero incompatibili.

C’è chi ha posto la questione in termini, anche se non eleganti, sicuramente chiari: si vuole un Parlamento, specchio dell’elettorato, anche a costo della immobilità dello Stato, o uno Stato in grado di operare, anche se con qualche distorsione rispetto alla struttura dell’elettorato?

La Costituzione è nata in un’atmosfera culturale che si potrebbe definire newtoniana, con tempi dilatati, quando, per esempio, il sistema economico trovava ancora nel codice civile una disciplina adeguata. Nel bicameralismo perfetto si è vista una garanzia di equilibrio democratico, anche se appesantiva i tempi del procedimento legislativo, e con la sfiducia anche di una sola Camera si è reso meno stabile il Governo. Non è il caso di stare a ripetere come e perché il sistema per un certo tempo abbia funzionato. Ha subito uno shock nei primi anni ’90. Con “mani pulite” due partiti, e di peso, sono scomparsi per l’intervento dei giudici penali e non per un orientamento diverso dell’elettorato che così si è trovato senza strutture politiche di riferimento. Buona parte è finita in uno schieramento senza tradizioni politiche, fondato soprattutto su organizzazione e programmi di stampo aziendalistico.

Sono poi intervenuti mutamenti per i quali l’ambiente politico non era impreparato: la Comunità Europea è diventata Unione; è stato introdotto l’euro; con l’evoluzione tecnologica sono sopravvenuti internet e tutti quegli altri strumenti chiamati social media che, in pratica, hanno annullato i tempi. Oggi, dal punto di vista temporale, tra un contratto, o qualsiasi altra operazione, con chi si trova a Singapore o nel piano di sotto del fabbricato non ci sono differenze. Le operazioni di maggiore rilievo sono virtuali, nel senso che si realizzano attraverso impulsi elettromagnetici senza trasferimenti materiali. Anche quando sono coinvolti, i beni materiali possono subire mutamenti di stato giuridico in pratica senza limiti. Il carico di una petroliera, che parte dal Golfo Persico, prima di arrivare a destinazione può finire sul mercato una serie di volte attraverso operazioni contrattuali, insensibili alla collocazione territoriale. In pratica si sta vivendo a velocità einsteiniana alla quale certo non si poteva pensare quando il codice civile e la Costituzione sono stati varati. Più di venti anni fa un commentatore politico, che aveva già colto il mutamento in corso, sollecitò il governo in questi termini: “sbagliate pure, ma fatelo subito”. In più di un’occasione e da fonti diverse è stato rilevato che il ritardo può essere più dannoso di un intervento non del tutto appropriato, ma in tempo.

Stando a quello che si sente, di questi mutamenti non sarebbe necessario tenere conto quando si mette mano alla legge elettorale. Sembrerebbe che vada concepita secondo principi indipendenti dalla situazione del momento, tecnica o tecnologica che sia. Per adottare una formula, che è stata di moda, sarebbe una variabile indipendente o, meglio, dipendente solo dagli interessi dei partiti. Si adotta la tattica degli spot pubblicitari: formule che, per il loro effetto suggestivo, non richiedano di essere argomentate. Tra i partiti ce ne è sempre qualcuno che vorrebbe una legge elettorale nuova. In genere si evita di dire che cosa non vada in quella in vigore, se con la nuova si avrebbe un rimedio e soprattutto con quale rapporto tra rappresentatività e governabilità.  Qualche volta sorge il dubbio che sia preferito il tanto peggio: lo Stato dovrebbe funzionare quando si è al Governo, ma non quando ci si trova all’opposizione.

Una domanda da porsi dovrebbe essere se la nuova legge elettorale possa portare a maggioranze diverse nelle due Camere. In questo caso ci sarebbe un maggiore controllo reciproco tra gli schieramenti politici, ma i tempi si allungherebbero ulteriormente. Che, quando i partiti sono numerosi, ce ne siano di favorevoli al criterio proporzionale è comprensibile per l’interesse alla massima rappresentatività: con più ostacoli alla governabilità il loro valore marginale aumenta. Ci si dovrebbe domandare se sia anche il sistema più adatto alle esigenze del momento.

Con la legge in vigore un terzo dei seggi sarà assegnato secondo il criterio maggioritario. Non sono mancate critiche, ma senza spiegarne in forma comprensibile le ragioni all’elettorato, in difficoltà ad orientarsi autonomamente. Un terzo si ritiene poco o troppo? Se si elimina si arriva al proporzionale puro; se si vuole aumentarlo, andrebbe precisato in quale misura e in vista di quale obiettivo.                                                                                                                                                                                  Viene contestata, anche tra chi accetta il sistema misto, la impossibilità del voto disgiunto. Poter dare il voto ad una lista diversa da quella del candidato nel collegio uninominale gioverebbe alla rappresentatività. Sarebbe utile nella situazione attuale? Con la possibilità di dare nel proporzionale il voto ad una lista che non sostiene il candidato votato nell’uninominale, si finirebbe col neutralizzare l’effetto maggioritario del collegio uninominale. Si vuole forse arrivare una definizione più precisa della situazione elettorale dopo che i tentativi maggioritari sono falliti?

Ma non è ben definita nemmeno la posizione di chi è interessato alla governabilità. Sia il premio di maggioranza che il ballottaggio sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale per non essere state richiesti limiti minimi ragionevoli di voti. Per realizzare o avvicinarsi alla governabilità si potrebbe ricorrere ai collegi uninominali dal momento che, almeno per ora, l’elezione scatta qualunque sia la percentuale raggiunta da chi ha avuto più voti. Nessuno, a quanto risulta, lo sta proponendo. I partiti più deboli non sarebbero sicuramente d’accordo e richiederebbero almeno la possibilità di coalizioni.

Per l’eventualità che dopo le prossime elezioni una maggioranza non fosse possibile, c’è già la proposta di modificare la legge elettorale.  Sarebbe il caso di fissare alcune condizioni di metodo per aiutare l’elettorato ad orientarsi, sempre che ci sia interesse ad un voto più consapevole. Si dovrebbe cominciare con l’indicati i difetti che ciascuna formazione politica vede nella legge attuale, che non sono gli stessi per tutti. Non andrebbe trascurato che ha rimediato ad una anomalia sulla quale non è stata richiamata l’attenzione. Dichiarato incostituzionale il ballottaggio, la legge, applicata nelle ultime elezioni, da maggioritaria era diventata proporzionale. Che la sentenza della Corte costituzionale potesse portare ad un effetto di questo genere, sarebbe stato da dimostrare perché, non solo veniva a mancare la volontà legislativa sottostante, ma addirittura si arrivava ad un sistema opposto a quello voluto dal Parlamento. Ed è singolare che per la Corte fosse consentito dopo che aveva riconosciuto di non poter fissare la percentuale minima di voti per la legittimità del ballottaggio perché non ne aveva i poteri. La legge in vigore ha evitato le questioni che sarebbero potute sorgere,

Con una nuova come si rimedierebbe ai difetti che si denunciano e con quali risultati? Tra rappresentatività e governabilità a quale si intende dare la prevalenza e in quali limiti? E’ stato chiarito da tempo che la legge elettorale non può rimediare alle difficoltà dovute alla struttura dell’elettorato. Può orientarlo, ma solo se lo stesso sistema dura nel tempo. Si si passa con disinvoltura da un sistema ad un altro, gli elettori restano disorientati. Con un elettorato, diviso come è oggi, si dovrebbe essere chiari nelle scelte tra le alternative possibili: o un sistema maggioritario, che non dia luogo a dubbi di costituzionalità, o una maggiore rappresentatività, attraverso un sistema proporzionale, in misura diversa, anche se con più difficoltà a formare una maggioranza. In questo caso sarebbe da fare rilevare che al partito votato si darebbe il mandato non a governare, ma a negoziare un accodo di governo con chi ci sta e alle condizioni possibili. La rappresentatività sarebbe ridotta nella misura necessaria per arrivare alla governabilità. Chi non la vuole, per paura di trovarsi all’opposizione e per provocare una reazione istintivamente negativa, continuerà a parlare di “inciucio”.

Non ci si può aspettare che già in campagna elettorale si dica con quali partiti si è disposti a tentare accordi di governo: ci si dimostrerebbe consapevoli di non poter raggiungere la maggioranza. In previsione che possa capitare, sarebbe, però, il caso di ricorrere a forme un po’ sfumate nei confronti di quelle formazioni con le quali non si esclude che si debba trattare. Almeno su un punto non ci dovrebbe essere discussione: se ogni formazione vuole una legge che la favorisca, mettendo in difficoltà le altre, una maggioranza per vararla diventa difficile. In genere è considerato un buon segno che una legge elettorale sia approvata col contributo di partiti distanti tra di loro perché ne farebbe presumere una certa neutralità. Ma si può essere certi che ci si vedrebbe un altro “inciucio”.

La globalizzazione, internet ed i c.d. social, la internazionalizzazione dei mercati, le immigrazioni sembra che non abbiano niente a che fare con la legge elettorale. Può essere che sia vero, ma si dovrebbe spendere qualche parole per dimostrarlo.

I programmi proposti dai partiti in buona parte si sovrappongono: tutela del lavoro, delle donne e dei giovani; contrasto alle disuguaglianze; riforma tributaria, del welfare e della giustizia. Nessuno dice quali tempi sarebbero necessari anche con la migliore volontà. Pensano che sia sufficiente una legislatura? Se non lo fosse, sarebbe il caso di tenerne conto nel proporre una nuova legge elettorale: in Italia c’è la tendenza non a migliorare quello che è stato fatto dal governo precedente, ma a disfarlo. Non si pone la domanda nemmeno chi propone la flat tax, innovazione tributaria certo non di poco conto.

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