Tornano le elezioni suppletive (qualcuno se ne è accorto?)

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di Giuseppe Lauri*

Tra le pieghe del Rosatellum bis si nasconde un ritorno che è passato alquanto sottotraccia: si tratta delle elezioni suppletive per i collegi uninominali.

Proprio perché fortemente legate alla presenza di questi ultimi, esse sono state già sperimentate dal nostro ordinamento dapprima in maniera limitata (per l’elezione delle rappresentanze parlamentari di circoscrizioni particolari come la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige) e poi a livello nazionale dal 1993 al 2005, in virtù della presenza nel Mattarellum di una (sostanziosa) quota maggioritaria.
In particolare, si prevede che a seguito di accertamento della vacanza del collegio uninominale operata dalla Giunta delle Elezioni e comunicata dal Presidente del relativo ramo parlamentare, il Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero degli Interni, convochi con decreto i comizi elettorali del collegio interessato, in una data compresa tra i novanta e i centrotrentacinque giorni dal verificarsi della vacanza. Le elezioni non si terranno se il seggio da surrogare si sia liberato a meno di un anno dalla scadenza naturale della legislatura.

Il nostro è un Paese dalla memoria notoriamente corta, che pare aver dimenticato di aver già conosciuto l’istituto e, soprattutto, le trentasette tornate suppletive (una ogni quattro mesi, in media) tenutesi tra la XII e la XIV legislatura. Certamente, rispetto alla volta precedente, l’impatto delle elezioni suppletive potrebbe essere attutito dalla circostanza che vede l’attuale sistema elettorale privilegiare la propria componente proporzionale (che elegge, grosso modo, i due terzi dei seggi) piuttosto che quella uninominale (che esprime il restante terzo dei parlamentari); eppure, le by-election sono un importante strumento principalmente per tre motivi.

Anzitutto, le elezioni suppletive consentono di tenere sott’occhio i trend politici nazionali, resi evidenti dal passaggio di collegi da una forza politica all’altra. Nell’ottobre del 2004, ad esempio, le elezioni suppletive per la Camera dei Deputati videro prevalere nettamente la coalizione di centrosinistra, allora all’opposizione, che vinse tutti i collegi in palio non solo riconfermando quelli già espressi all’indomani delle elezioni politiche generali del 2001, ma anche strappandone due al centrodestra. Questo risultato si ebbe a pochi mesi dalle regionali dell’aprile del 2005, anch’esse vinte dal centrosinistra che da lì ad un anno sarebbe poi prevalso alle politiche del 2006.

Secondariamente, le elezioni suppletive possono essere un ottimo banco di prova per nuovi partiti, o nuove coalizioni tra partiti già esistenti o sorti nel corso della legislatura, allo scopo di ottenere o di aumentare una rappresentanza parlamentare. Chiaramente, queste forze devono dimostrare di avere una potenza tale da consentire loro di giocarsela, e con successo, con quei soggetti che abbiano già partecipato alle elezioni politiche generali, magari trascinate da candidati capaci di convincere gli elettori del collegio a sceglierle. Inoltre, soprattutto quando le forze politiche sorte nel corso della legislatura non abbiano già alle spalle una rappresentanza parlamentare (magari frutto di scissioni da altri gruppi), devono comunque superare lo scoglio dell’alto numero di firme (1500-2000) previste per la sottoscrizione e presentazione delle candidature. La peculiarità della tornata suppletiva, infatti, non deroga quest’aspetto dell’iter elettorale.

Terzo aspetto di virtù, le elezioni suppletive potrebbero dimostrarsi un limite preventivo ai “cambi di casacca”. Nei sistemi proporzionali, infatti, la surroga del parlamentare venuto meno avviene chiamando a sostituirlo il primo dei non eletti di un listino bloccato, più o meno lungo. Nulla garantisce, tuttavia, che il primo dei non eletti non abbia aderito, nel frattempo, ad una forza politica diversa da quella che lo aveva candidato originariamente. Questo comporta il rischio di uno squilibrio nella rappresentanza parlamentare. Un partito politico che perdesse un proprio esponente nelle assemblee legislative, infatti, lo vede sostituito da un altro divenuto espressione di una forza politica diversa. Ciò è già successo più volte col Porcellum, e potrebbe succedere ora nella parte plurinominale del Rosatellum bis. L’elezione suppletiva, invece, intanto restituisce la parola agli elettori che, soprattutto in collegi “sicuri” (e al netto di quanto si è detto nei due punti precedenti), potrebbe confermare il proprio appoggio al candidato della forza politica già depauperata del candidato uninominale venuto meno; e comunque, anche qualora il nuovo eletto non appartenesse a questa forza politica, questi avrebbe una maggior legittimazione, in quanto sarebbero stati gli elettori del collegio (e non una posizione privilegiata nel listino bloccato) a decidere di essere rappresentati da lui in rottura con gli orientamenti politici manifestati alle precedenti elezioni generali.

Pochi, forse, si sono accorti del ritorno delle suppletive; e forse è anche un segno dei tempi. Le ultime due legislature hanno infatti insegnato come i sistemi elettorali siano quanto mai instabili e piegati al capriccio della maggioranza di turno, al punto tale che qualsiasi analisi rischia di essere travolta da nuove e poco meditate legislazioni. Inoltre, la narrazione attuale vuole che i collegi uninominali siano visti come “sicuri”. Lo erano già col Mattarellum, ma proprio l’instabilità cui si accennava poc’anzi e, soprattutto, il fatto che eleggano meno parlamentari rispetto ai collegi plurinominali, ha spinto le forze politiche a non porsi il problema di come sostituire gli eletti uninominali, e a non fare di quest’aspetto un punto particolarmente divulgato della nuova legge elettorale.

I collegi uninominali sono stati così assicurati dai principali partiti in questa tornata elettorale a candidati delle forze minori delle rispettive coalizioni, allo scopo di garantire a queste ultime un “diritto di tribuna” sufficientemente valido a convincerle ad aderire ai relativi accordi di coalizione. Pare dunque poco plausibile che un candidato “garantito” rinunci allo scranno parlamentare così ottenuto. Verosimilmente, e soprattutto se quella che inizierà il 23 marzo prossimo sarà una legislatura breve, le elezioni suppletive resteranno un istituto inattuato, nell’attesa di vedere se la legge elettorale successiva all’attuale le riproponga o meno.

*dottorando in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Università di Pisa

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