di Roberto Bin
Finalmente Di Maio ha annunciato il primo dei suoi ministri. È il generale dei carabinieri Sergio Costa, un curriculum di primissimo livello. Il problema non è certo lui, ma Di Maio. Se è vero che gli mancano pochi esami per laurearsi, avrà sicuramente sostenuto Diritto costituzionale, che è un fondamentale del primo anno.
E allora dovrebbe sapere che la scelta dei ministri non spetta ai candidati alle elezioni, e neppure agli eletti; non spetterebbe neanche al leader del partito più votato, pur nell’ipotesi che ottenesse una valanga di voti, una solida maggioranza assoluta.
Persino in quell’ipotesi sarebbe necessario ricevere il mandato a formare il Governo da parte del Presidente della Repubblica: il quale naturalmente sceglierà la personalità che gli sembra in grado di ottenere una maggioranza in Parlamento, grazie al supporto che le forze politiche si sono dichiarate disponibili ad assicuragli.
È solo a questo punto che il Presidente del Consiglio incaricato può proporre la lista dei ministri al Presidente della Repubblica: ma in via riservata, perché il Presidente della Repubblica deve essere mantenuto libero di esprimere le proprie valutazioni in merito ai singoli ministri candidati. Per esempio, Pertini rifiutò di nominare persone compromesse nella P2 e Scalfaro non volle approvare la proposta di Berlusconi di nominare Previti alla Giustizia (sarebbe stato in seguito condannato per corruzione in atti giudiziari!).
Allora che senso ha che Di Maio annunci ora il nome del primo dei ministri del suo eventuale, futuro Governo? Può avere solo un senso: quello di fare del generale Sergio Costa un emblema pubblicitario per la sua campagna elettorale. Non proprio un regalo, dunque, per il generale Costa, che ha ottimi titoli e una faccia che esprime serietà e stimola fiducia: perché farne un uso così opportunistico e spregiudicato, probabilmente bruciandolo?