Le lacune del ddl Bonafede sui partiti politici

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di Gianluca De Filio

Il disegno di legge del Ministro Guardasigilli Alfonso Bonafede (A.C. 1189) recante misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici, detta una serie di nuove disposizioni in materia di trasparenza nonché di finanziamento dei partiti e movimenti politici (articoli da 7 ad 11).

Tralasciando il giudizio sulla necessità e l’opportunità di intervenire nuovamente su una normativa già molto stratificata e in cui, dopo l’eliminazione di ogni forma di finanziamento pubblico diretto, si potrebbe parlare, prendendo in prestito una fortunatissima definizione di Francis Fukuyama, di “fine della storia”, quello che colpisce e sorprende è la scarsa qualità normativa che contraddistingue queste norme.

Una scarsa qualità che in alcuni casi riguarda errori, anche molto evidenti di tecnica normativa, in altri invece denota una scarsa conoscenza della normativa vigente in materia di partiti. Lacune ed errori che, qualora non sanati in sede emendativa, rischiano di rendere in gran parte inapplicabili le nuove norme.

Proveremo dunque a redigere un elenco delle principali carenze partendo da quelle più critiche e di natura più materiale.

L’articolo 9 del ddl al comma 1, tramite una novella all’articolo 5, comma 4 del Dl 149/2013, prevede una definizione estremamente ampia di quei soggetti che dovranno essere considerati fondazioni, associazioni e comitati politici e in quanto tali equiparati a tutti gli obblighi (vigenti e nuovi) già in capo ai partiti e movimenti politici. Il comma 2 del medesimo articolo detta la disposizione che dovrebbe costituire l’architrave del provvedimento cioè il divieto per un partito o movimento politico di collegarsi a più di una fondazione, associazione o comitato politico, prevedendo in caso di violazione di tale obbligo una sanzione pecuniaria che nel massimo può arrivare a 120.000 euro.

Anche da una semplice lettura sommaria del comma 2 e del resto delle disposizioni è di tutta evidenza che il legislatore non specifichi le modalità con le quali dovrebbe avvenire il collegamento. Senza tale disposizione il divieto e la conseguente sanzione sono destinati inevitabilmente ad essere inapplicabili.

All’articolo 7, comma 5 del provvedimento, si prevede l’obbligo per i partiti e movimenti politici “in occasione delle competizioni elettorali di qualunque genere”, fatta eccezione per l’elezione dei comuni al di sotto dei quindicimila abitanti, di pubblicare sul proprio sito internet istituzionale i curricula di tutti i propri candidati corredato di certificato penale. Anche in questo caso per i trasgressori si prevede una sanzione che nel massimo può arrivare a 120.000 euro.

Anche questa norma presenta una lacuna tecnica, dal momento che non è esplicitato un termine ultimo entro il quale si debba adempiere all’obbligo. Per come è scritta la disposizione del comma 5, per non incorrere in sanzione basta pubblicare il materiale previsto anche solo poche ore prima del voto, ma l’effetto trasparenza (reale o presunto) che si verrebbe perseguire non è il medesimo per chi pubblica i curricula 15 giorni prima e per chi invece li pubblica un solo giorno prima.

Esulando dall’aspetto strettamente tecnico normativo, questa norma ha tutte le potenzialità per creare non pochi problemi a partiti che, senza più finanziamento pubblico, sono ormai privi di struttura e personale dipendente. Prevedere la pubblicazione a livello centrale dei curricula dei candidati a livello comunale è la classica norma facile a scriversi e molto meno ad attuarsi. Se si pensa ad esempio che nelle elezioni amministrative del 2018 i comuni al voto con più di 15.000 abitanti sono stati 112 in tutta Italia.

Sempre all’articolo 7, ma al comma 1, il ddl prevede l’obbligo di annotare in apposito registro numerato progressivamente e bollato dal notaio gli importi ricevuti a titolo di erogazione liberale e l’identità dell’erogante. In questo caso il legislatore ripropone una norma già in vigore, senza però richiamarla ovvero abrogarla. Si tratta dei commi 5 e seguenti dell’articolo 8 della legge 2/1997, dove è previsto l’obbligo per i partiti politici della tenuta del libro giornale. Nel dettare le nuove disposizioni, che al netto delle novelle recate al dl 149/2013, vivranno autonomamente all’interno dell’ordinamento, il legislatore governativo parla genericamente di Partiti e movimenti politici. Ad oggi le principali leggi in materia ancora vigenti (la legge 96/2012 e il Dl149/2013) recano definizioni diverse di partito o movimento politico circoscrivendo solo alla rispettiva platea le loro disposizioni.

Il ddl Bonafede non richiamando nessuna delle due definizioni vigenti vuole evidentemente (e si spera non inconsapevolmente) riferirsi ad una platea di soggetti diversa. Il problema, però, sta nel fatto che in assenza di una definizione che individui i nuovi soggetti destinatari delle norme, la platea diviene sterminata ricomprendendo in ipotesi quei partiti o movimenti, come ad esempio il Partito del Sacro Romano Impero, che per vezzo o originalità presentano il simbolo o le liste ad alcune elezioni, ma di fatto non esistono e men che meno sono rilevanti.

In questo caso gli effetti esplicati potrebbero essere due di segno inverso. In un caso la nuova legge potrebbe imporre procedure, obblighi ed eventuali sanzioni, anche molto afflittive, a soggetti assolutamente residuali e materialmente non in grado di adempierli. Oppure proprio per l’indeterminatezza dei soggetti ricompresi nelle nuove norme l’inapplicabilità in fatto delle stesse.

A tal proposito si prenda un ulteriore disposizione dell’articolo 7. Il comma 6 prevede che “i partiti e movimenti politici” debbano trasmettere annualmente i propri rendiconti, corredati della certificazione del revisore legale alla apposita Commissione di cui all’articolo 9, comma 3 della legge 96/2012. La disposizione, però, non richiama i termini di deposito previsti al comma 4 del medesimo articolo 9. Dunque per i soggetti non ricompresi nella definizione della legge 96/2012 qual è il termine di deposito del rendiconto, il 15 giugno o altra data?

Infine le nuove disposizioni del ddl Bonafede aumentano a dismisura le funzioni di controllo della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti. Ad essa infatti saranno inviati per il relativo controllo anche i rendiconti di tutte le fondazioni, associazioni e comitati considerati come politici dalle nuove norme, nonché quelli dei partiti e movimenti politici non ricompresi nelle definizioni già vigenti. La Commissione dovrebbe vigilare sulla pubblicazione sui siti internet dei curricula dei candidati. Dovrebbe predisporre controlli per verificare la corretta tenuta dei nuovi registri.

Le nuove norme, però, non solo non attribuiscono alla Commissioni risorse aggiuntive, sia in termini di risorse umane che strutturali (ad oggi la Commissione si compone di 5 magistrati con due o tre unità di segreteria), ma neppure nuove disposizioni che la autorizzino ad inviare ipoteticamente la guardia di finanza ad effettuare controlli a campione nelle sedi di partito.

A fronte di tali disposizioni viene il dubbio, rafforzato anche dalla decisione di inserirle in coda ad un testo il cui fine principale è dettare norme in materia penale e di contrasto alla corruzione nella pubblica amministrazione, che il fine di queste norme sia più sbilanciato sul fronte della propaganda che su quello di arrecare modifiche opportune ed efficienti alla normativa in materia di partiti politici.

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