Terza via

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di Henri Schmit

Davanti alla scelta di votare SI o NO nel referendum per il taglio dei parlamentari, esistono formalmente altre due decisioni individuali, quella del voto bianco e quella dell’astensione. Essendo il referendum costituzionale senza quorum, l’effetto dell’astensione equivale a quello del voto bianco e le possibili scelte concrete sono solo tre.
La terza scelta (voto bianco o astensione) permette non solo di non partecipare (per disinteresse o per qualsiasi altra ragione) alla decisione popolare, ma anche di rifiutare consapevolmente l’appoggio formale ad entrambe le opzioni proposte, per esempio perché si ritiene che sia giusto ed opportuno tagliare il numero dei parlamentari, ma che il modo in cui viene fatto sia sbagliato; che esistono argomenti validi per entrambe le opzioni (non necessariamente quegli avanzati dalle due tifoserie), che portano però entrambe ad una situazione positiva similarmente insoddisfacente, incompleta o incoerente, piena di incertezza e di insidie per gli elettori. Con il SI si avalla politicamente l’attacco inizialmente demagogico alla democrazia rappresentativa e l’argomento facile di un risparmio sul costo delle istituzioni costituzionali; si contribuisce a creare una situazione giuridica incoerente e incerta che necessita altri interventi legislativi non evidenti, in materia elettorale e di regolamenti interni delle camere, permettendo più soluzioni molto diverse. Con il NO si avalla lo status quo di un numero eccessivo di parlamentari divisi in due camere, create paritarie (con gli stessi poteri) ma differenziate (composizione, età elettorale attiva e passiva, durata del mandato), rese ormai quasi perfettamente omogenee attraverso una serie di revisioni puntuali (di cui alcune ancora in itinere, età, collegi regionali) largamente condivise e attraverso l’adozione di leggi elettorali uniformi; si approva quindi un bicameralismo non solo paritario ma omogeneo, puramente procedurale, con 945 parlamentari indistinguibili.
Come effetto la terza scelta del voto bianco o dell’astensione accetta virtualmente la revisione non autosufficiente votata dal Parlamento lasciando alla maggioranza anche la responsabilità di completare la riforma iniziata con il taglio. Effettivamente si accetta però l’esito positivo o negativo del referendum, deciso dagli elettori che si esprimono, senza prendere posizione. Anche questa conseguenza è razionalmente accettabile perché entrambe le soluzioni benché opposte sono similarmente insoddisfacenti. La vittoria popolare del SI peggiorerà l’incoerenza della situazione vigente, mentre la vittoria del NO la consoliderà.
Quello che manca adesso e dopo il referendum è quello di cui si dovrebbe dibattere e su cui si dovrebbe eventualmente votare prima di decidere il numero dei parlamentari. Manca una legge elettorale conforme, più scrupolosa di quanto permesso dalla giurisprudenza costituzionale (le sentenze 1/2014 e 35/2017 sdoganano, a certe condizioni molte permissive, le liste bloccate); anzi nello stato attuale ne mancano due. Solo la natura ordinaria della legge elettorale sembra subordinarla alla determinazione del numero dei parlamentari; ma procedere in questo modo significa sacrificare la sostanza alla forma. Manca inoltre una riforma del Parlamento bicamerale paritario, reso omogeneo inconsapevolmente delle conseguenze, un’evidente assurdità creata nel tentativo maldestro di depotenziare il bicameralismo. Manca quindi una riforma seria del Senato. Una revisione in senso monocamerale non sarebbe incompatibile con un Senato depotenziato, solo consultivo, con potere solo sospensivo, ma potenzialmente utile, se formato per lo scopo preciso di contribuire alla qualità delle leggi, alla loro coerenza intrinseca, sistemica e nel tempo e alla convergenza con gli altri paesi dell’UE e dell’eurosistema.

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