Una breve riflessione: perché NO

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di Giuseppe de Vergottini

La legge sul taglio dei parlamentari nasce dal malumore anti-casta del M5S, e dalla Lega, per indurre i grillini a stipulare l’alleanza di governo con cui si è aperta la diciottesima legislatura, e accettato infine dal Pd che, dopo aver votato contro tre volte, ha voluto indurre il M5S alla seconda alleanza, per dar vita a un governo e non andare a elezioni anticipate da cui si temeva potesse uscire vincitrice la destra.

La riforma, ove passasse, a causa della riduzione del numero dei collegi elettorali comporterebbe la impossibilità di rappresentanza di aree periferiche del Paese. A livello interno alle Camere (e in particolare al Senato) diverrebbe difficile o impossibile la formazione delle commissioni e quindi il normale lavoro legislativo e di controllo politico del governo.

La riduzione dei costi. La motivazione con cui è stata argomentata la riduzione dei deputati e dei senatori è intrisa di un sentimento anti-parlamentare, tipico di chi pensa, illusoriamente, di semplificare e ridurre la politica a referendum continui. Ma i risparmi sui costi di un terzo dei parlamentari eliminati saranno “mangiati” dall’aumento dei costi delle campagne elettorali più competitive e in circoscrizioni più ampie. Il reclutamento di candidati e candidate ad opera dei dirigenti di partito e di corrente premierà coloro che hanno dimostrato di essere più disciplinati (è un eufemismo).

La pluralità di assemblee che rappresentano i cittadini. Alla critica per cui la riforma pregiudicherebbe la rappresentanza politica, in quanto ridurrebbe insieme ai parlamentari le aree del territorio nazionale oggi sicuramente rappresentate, si oppone che in realtà il cittadino italiano sarebbe pur sempre garantito perché oltre al Parlamento dello Stato abbiamo i consigli comunali, regionali e il parlamento europeo, tutte sedi di rappresentanza politica. Quindi i vari interessi dei cittadini avrebbero sedi più che idonee cui rivolgersi che “compenserebbero” eventuali carenze della rappresentanza nazionale. Questo argomento a favore del SÌ è semplicemente assurdo. Qui stiamo parlando di future drammatiche carenze del canale di collegamento fra il cittadino e il suo parlamento che ha funzioni e competenze di gran lunga più importanti di quelle, ad esempio, di un consiglio regionale. Ma, soprattutto, è diversa la qualità della rappresentanza nei diversi livelli richiamati (cittadina, regionale, europea).

Si tratta di un provvedimento del tutto disorganico che tocca solo il numero e non incide sulle disfunzioni di fondo del nostro sistema politico.

Non ci si è preoccupati di chiarire quale sarebbe la futura legge elettorale disciplinante le nuove Camere (il dibattito in corso è del tutto confuso e probabilmente inutile). Chi ha un minimo di conoscenza della gravità della situazione sa benissimo che occorrerebbe mettere una serie impressionante di cerotti ove vincesse il SÌ. Servirebbero leggi complesse e di difficilissima approvazione entro la legislatura: abolizione dei collegi regionali per l’elezione dei senatori, parificazione dell’età per esercitare l’elettorato alla Camera e al Senato, passaggio al monocameralismo o al contrario differenziazione dei ruoli delle due Camere, revisione al ribasso del numero dei delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato. Un libro dei sogni, o un elenco di pretesti. In ogni caso, compiti troppo impegnativi, perché apportatori di ulteriori lacerazioni e difficoltà, per il governo Conte due.

Date le logiche politiche che hanno partorito questa riforma e questo referendum, è fin troppo prevedibile che in seguito al probabile esito di questo non inizierà alcuna stagione costituente, al contrario di quanto si sforzano di credere coloro che si sono schierati per il SÌ.

La legge che taglia il numero dei parlamentari, portandoli da 915 a 600, non è un toccasana per superare l’inefficienza del nostro sistema politico, non considera che il ridimensionamento del numero dovrebbe essere accompagnato dalla revisione dei collegi elettorali e dalla scelta di una nuova legge elettorale (proporzionale o maggioritaria?). Non prende in esame le necessarie modifiche dei regolamenti parlamentari.

A prima vista il vizio di fondo della riforma sta nel fatto che è completamente avulsa da una riconsiderazione organica del problema. Riguarda un profilo specifico e perde di vista le ripercussioni negative che inciderebbero su altri aspetti importanti.

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