Sentenze suicide nel «Climate Endgame»

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di Fabrizio Motta

La categoria delle sentenze suicide è stata elaborata dalla dottrina giuridica italiana processualistica, penale e civile, nel corso del Novecento (si ricorda il volume di Gennaro Escobedo, Le sentenze suicide, Torino, 1943, con scritti di Antolisei, Calamandrei, Carnelutti, D’Amelio, Vassalli e altri). Essa è servita a identificare le forme più abnormi o illogiche di argomentazione e giudizio dei giudici. Pare che sia maturata durante il fascismo, come modalità di dissimulazione dei giudici verso le interferenze degli interessi locali fascisti sulle decisioni da prendere nei casi di loro interesse. Anche per questo, la figura è stata evocata con riguardo al tema dell’imparzialità, e non solo terzietà, del giudice nei riguardi del potere politico e della sua protervia di insindacabilità (si veda Buonomo, Il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario e le “sentenze suicide”).

In estrema sintesi, la sentenza è detta “suicida” quando si manifesta in due forme: come fallacia argomentativa da travisamento dei fatti, da un lato; dall’altro, come contraddizione logico-fattuale, dettata da grave negligenza nella presa in considerazione dei dati scientificamente riconosciuti. Su quest’ultimo profilo, tra l’altro, si potrebbe profilare, nel caso del giudice italiano, anche l’illecito disciplinare di cui all’art. 2, primo comma, lett. h), del Decreto legislativo n. 109 del 2006.

Mi sembra interessante richiamare questa categoria con riguardo al dibattito giuridico sull’emergenza climatica, ospitato da questa Testata (Bin, Campeggio, Carducci, Cittadino, Verciano). E mi pare importante, alla luce di quella che è ormai denominata la “tragedia della scienza del cambiamento climatico” (The tragedy of climate change science), espressione con cui si sottolinea l’indifferenza, o supponenza, dei decisori pubblici, politici e giuridici, nei riguardi delle evidenze scientifiche ormai schiaccianti sulla gravissima situazione emergenziale planetaria (come tale ubiqua e quindi anche locale), già produttiva di morte presente e futura. Proprio su queste pagine è stato ricordato lo sconvolgente studio di Bressler sul tasso di mortalità climatica, crescente a ritmo pandemico (The mortality cost of carbon): abbattere le emissioni climalteranti nella maggiore quantità e nel più breve tempo possibili significa ridurre il numero di morti e salvare vite.

Non è una discrezionalità, ma una necessità.

Un comunicato ANSA di questi giorni ci avvisa sul fatto che i punti di non ritorno della degenerazione planetaria sono sempre più vicini e gravi, perché sempre più probabile è il superamento della temperatura di 1,5°C, assunta come soglia di sicurezza dagli Stati e dall’Unione europea. Si parla apertamente di scenari catastrofici, mai – prima d’ora – vissuti dall’umanità e, per questo, di “partita finale” (Climate Endgame) sulla vita di tutti, nessuno escluso.

Sembra che lo abbiamo compreso i Giudici della Corte europea dei diritti umani, presso i quali pendono ormai numerosi ricorsi in tema di emergenza climatica (consultabili dal database del Sabin Center della Columbia University), tutti accomunati da tre fattori:

– l’allegazione del fatto del carattere inedito dell’emergenza climatica e ambientale, tra l’altro dichiarata pure dal Parlamento europeo, resa ormai evidente – sino al limite quasi del fatto notorio – da una scienza corale a livello mondiale;

– la constatazione dell’urgenza che non ammette più margini di apprezzamento nell’esercizio dei tempi di protezione statale sulla vita delle persone;

– l’ineluttabilità, non negoziabile, dell’abbattimento più drastico e repentino possibile delle emissioni di gas serra, per scongiurare il suicidio collettivo della popolazione.

Com’è noto, i giudici, nell’ammettere le azioni promosse, ne hanno riconosciuto l’urgenza, nonostante le contestazioni degli Stati, e questo è un passo importante perché certifica la consapevolezza giudiziale sulla gravità dei fatti in contenzioso, scongiurando il primo profilo che potrebbe preludere alla sentenza suicida: la fallacia argomentativa appunto sul fatto, tutt’altro che normale od ordinario (se c’è emergenza, c’è urgenza di decisione).

Ma il giudice di Strasburgo sta anche procedendo a un’istruttoria scientifica accurata e aperta, grazie al plurale intervento di organizzazioni scientifiche indipendenti, portatrici di studi ed evidenze scomode per gli Stati, i quali, infatti, ne contestano addirittura l’autorevolezza (scivolando nella classica fallacia dell’argumentum ad hominem: contesto l’autore di uno studio come soggetto, non riuscendo a confutare i contenuti della ricerca da lui prodotta). La serietà istruttoria è il miglior antidoto contro la seconda manifestazione delle sentenze suicide: la negligenza nella raccolta e nell’utilizzo delle fonti scientifiche.

Con queste caratteristiche, la Corte europea dei diritti umani ha inaugurato un metodo di giudizio, all’altezza dell’importanza epocale dell’emergenza climatica.

È un metodo che fungerà da “precedente”, in senso non sostanziale (questo dipenderà ovviamente dal tenore argomentativo e dispositivo della sentenza) ma deontologico; di serietà dei giudici nel garantire, di fronte all’emergenza climatica, standard estremamente elevati di istruttoria e argomentazione.

Tornano in mente le parole di Guido Calabresi, in un libro intitolato Il mestiere di giudice. In esso, l’autore, professore universitario e poi giudice, ricorda che, a decidere sulla vita delle persone, non è mai il principio o la regola legale in sé, ma sempre e comunque il giudice con le sue sentenze e i possibili travisamenti su fatti e prove (su questo libro, si v. le interessanti interviste a cura di Conti, Il giudice disobbediente del terzo millennio).

Un altro grande giurista, Josef Esser, coniò il termine “paradosso della giurisdizione” per spiegare come il giudice, apparentemente imparziale nella sua funzione di mero amministratore di regole giuridiche sui fatti, operi contemporaneamente come qualificatore dei fatti, ossia produttore di realtà rispetto al diritto (su questo, si v. Miccù, Teoria delle finzioni giuridiche e koinè ermeneutica).

Sembra che a Strasburgo ne siano consapevoli.

Del resto, è stato scritto che, con l’emergenza climatica ed ecosistemica planetaria, l’Antropocene, quale periodo della crescente pressione umana sul pianeta, sia transitato definitivamente nel “Necrocene”, ovvero nel tempo della “uccidibilità massiva” (termine che, non a caso, nasce con la Prima Guerra mondiale e i genocidi) legittimata dalla insindacabile e sovrana discrezionalità del potere politico ed economico (cfr. Batalla, Green Capitalism?).

Esiste, tuttavia, una differenza tre le “uccidibilità” del Novecento e questa nuova forma di indifferente negligenza verso la vita umana: l’emergenza climatica ed ecosistemica provoca morte per tutti, nessuno escluso e compresi i giudici.

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