Il «final warning» sull’emergenza climatica

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di Fabrizio Motta

Lunedì 20 marzo, l’IPCC (il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) ha concluso la pubblicazione del Sesto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici (AR6) con il c.d. “Rapporto di Sintesi”.Il Rapporto (Syntesis Report 2023 – SYR) integra i risultati dei tre gruppi di lavoro (Le basi fisico-scientifiche, del 2021, Impatti, adattamento e vulnerabilità, del 2022, Mitigazione dei cambiamenti climatici, del 2022) e dei tre Rapporti speciali (Riscaldamento Globale di 1.5°Cdel 2018, Climate Change and Land, del 2019, Oceano e Criosfera in un clima che cambia, del 2019).

Si tratta dell’operazione di conoscenza scientifica più imponente mai svolta a livello internazionale in merito allo stato di salute del pianeta terra rispetto alla pressione antropogenica su tutte le sfere che lo compongono, in ragione della quantità enorme di dati ed evidenze raccolte, modelli elaborati e riscontri sperimentati o effettuati, articoli scientifici peer reviewed letti e discussi, numero di scienziati partecipanti nella veste di autori degli studi, estensori dei rapporti o revisori del lavoro svolto (non solo scienziati della terra ma anche sociologi, economisti, giuristi ecc.).

Questo “Rapporto di sintesi” non contiene nuovi documenti o nuove evidenze, ma riunisce i messaggi chiave di tutto il lavoro dell’ultimo decennio, allo scopo di fornire una guida alla politica. Con i governi degli Stati, del resto, esso è stato discusso e sottoscritto, parola per parola, conclusione per conclusione.

Da questo punto di vista, la “Sintesi” suggella un atto politico collettivo mondiale dopo 24 anni di attività dell’IPCC, dove, per la prima volta, gli Stati, attraverso i loro rappresentati supportati dalle istituzioni scientifiche nazionali di appartenenza (per l’Italia, il CMCC), convergono nella ineluttabilità di valutare l’adeguatezza delle misure di mitigazione, da ciascuno intraprese, assumendo come riferimento i metodi scientifici ricostruiti dall’IPCC medesimo e il periodo di tempo che separa l’oggi dalla finestra del 2030-40 quale ultima soglia temporale di controllo del pericolo di fronte al peggio (ovvero il disastro locale e planetario per tutti).

Poiché il prossimo Rapporto IPCC non dovrebbe essere pubblicato prima del 2030, questa “Sintesi” è stata denominata il “gold standard scientifico” e il “final warning” (F. Harvey) della conoscenza del mondo in questo decennio cruciale.

Nessuno può più dire di non sapere. Nessuno può girarsi dall’altra parte.

Il messaggio finale che sintetizza la presa d’atto è stato così riassunto: agisci ora (entro il 2030) o sarà troppo tardi. Questo perché il c.d. “bilancio di carbonio”, ovvero la quantità di gas serra che si può ancora emettere senza pregiudicare l’aumento della temperatura globale a non più di 1,5°C rispetto ai livelli industriali ed evitare, così, conseguenze dannose ormai note di destabilizzazione di tutte le sfere climatiche (inclusa la biosfera umana), si esaurirà nel 2030, a causa degli attuali impegni statali, evidentemente inadeguati e insufficienti.

Il tempo, dunque, è diventato un limite esterno alla discrezionalità politica degli Stati.

Come ha ribadito il Presidente della Repubblica Mattarella in più occasioni (si v., da ultimo, il suo discorso all’Università di Nairobi), “non esiste un secondo tempo” ed è per questo che siamo in emergenza climatica (unico organo dello Stato italiano a dichiararlo senza infingimenti).

Ma non solo.

La “Sintesi” riconosce – e con essa gli Stati che l’hanno approvata – ulteriori elementi fondamentali di inquadramento, scientificamente corretto, dell’emergenza climatica. Si citano i più significativi, proprio per il fatto di non essere stati contestati dalle rappresentanze governative:

– le conseguenze dannose dell’emergenza climatica sono ormai note e prevedibili;

– esse sono ancora evitabili, ma a condizione che si agisca immediatamente;

– esse riguardano l’intero sistema climatico e non solo l’atmosfera e, dunque, incidono sulla tutela dei territori degli Stati e sulle persone che vi abitano;

– per agire subito in modo efficace, tutti gli Stati devono impegnarsi a quantificare la loro giusta quota di abbattimento delle emissioni entro il 2030 (“giusta” in funzione delle responsabilità storiche di ciascuno Stato nel destabilizzare il sistema climatico);

– questa è l’unica e insostituibile misura tecnica capace di scongiurare tali conseguenze dannose;

– allo stato attuale, nessun governo lo ha fatto pienamente, preferendo proiettare i propri sforzi in termini di c.d. “neutralità climatica”, ovvero di “net zero” tra emissioni di gas serra e loro cattura (naturale e artificiale) all’interno di ciascun territorio statale, per di più al 2050 (enfatizzando – sulla spinta anche degli impatti energetici della guerra in Ucraina – l’indicazione generale contenuta nell’Accordo di Parigi, all’art. 4 n.1, la quale, però, non abroga le altre misure, indicate come prodromiche sin dalla Convenzione quadro del 1992);

– tuttavia, la “neutralità climatica” non serve a evitare i danni, dato che essa non permette di controllare l’aumento della temperatura media (potendo, la “neutralità”, essere realizzata a qualsiasi temperatura atmosferica), sicché è arbitrario assumerla a surrogato della giusta quota di abbattimento delle emissioni;

– gli Stati, quindi, non possono sottrarsi al dovere dell’abbattimento entro il 2030;

– in ogni caso, anche la “neutralità climatica” dovrebbe essere conseguita prima del 2050, in modo da rafforzare gli effetti stabilizzanti da conseguire per il 2030.

Insomma, prima si fa tutto, meglio è: il messaggio è semplice, ma fatica a prendere piede nella politica.

Tuttavia, che i governi lo abbiano sottoscritto, è un punto di non ritorno nell’assunzione delle loro responsabilità.

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1 commento su “Il «final warning» sull’emergenza climatica”

  1. Buongiorno al Professore, al Direttore Roberto Bin ai Collaboratori ed a Tutti i Lettori,
    prendo spunto dalle celebrazioni della cd. giornata della terra che mi riconducono alla CO2 che, a mio modestissimo parere, come ho già scritto in altra circostanza è incolpevole vittima di aberranti interpretazioni:
    L’iperbolico carico antropico ha, in poco più d’un secolo, portato all’immissione in atmosfera di enormi quantità di energia termica endogena ch’è dunque la principale causa dei rialzi termici locali e/o diffusi della corona circostante il pianeta mentre la CO2 unitamente ad altri è indice di tale problema limitatamente ai combustibili di riferimento.
    Qualora, ipoteticamente a breve, si sostituissero le fonti energetiche da carbonio con quelle nucleari in aggiunta alle oltre quattrocento centrali fissili già attive, molto probabilmente il problema si complicherebbe accadendo il tutto nella stessa “serra” con calorie da smaltire anche superiori; quanto alla fusione nucleare la lascerei alle idrodinamiche stellari di cvi il Sole è umile rappresentante intergalattico.
    Concludo questo breve intervento sulla cd. “giornata del Pigreco”, celebrata nel mese scorso, con una nota di stupore scientifico che son certo sorprenderà anche Giuristi: frugando in rete da oltre un decennio da pensionato ho trovato una definizione internazionale coniata nel 1960 relativa alla valutazione dei cd. “angoli solidi” ed essendo i miei ricordi geometrici elementari saldamente ancorati al più anziano DIEDRO (senza disturbare il grande Apollonio di Perga) ho provato a metterla in crisi ponendo un diedro in asse col centro d’una qualsiasi sfera ed aprendolo d’un suo raggio all’equatore verificando che l’area dello “spicchio” (detta anche fuso sferico) risulta dueerrequadro dvnqve gli STEradianti afferenti ad un sfera, una qualsiasi sfera, sommano duepigreco e NON quattro!…a me pare un enorme svarione concettuale che può, nelle relazioni fra superfici e volumi, condurre ad errate valutazioni nelle applicazioni tecniche…sui GRADI QUADRATI poi……!
    Cordialità, enzo Bargellini Santarcangelo di Romagna 25 aprile 2023.

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