I sonnambuli degli Stati Uniti d’Europa

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di Andrea Guazzarotti

Le istituzioni e i governi dell’UE, come sonnambuli, stanno incamminandosi sul baratro degli ‘Stati Uniti d’Europa’. L’invocazione del superstato europeo è stata fatta di recente dall’eterno Mario Draghi e dal Parlamento europeo (Lanzalaco); contemporaneamente, Commissione e Consiglio europeo aprono all’adesione di Ucraina e Moldavia nell’UE, progettando di includere anche la Georgia. Le conseguenze geopolitiche di ammettere Paesi in guerra con (o parzialmente occupati dal)la Russia sono inaudite, ma tutto ciò sembra non spaventare troppo i sonnambuli.

Che si tratti di percorsi erratici è testimoniato dal parallelo andamento delle trattative sul nuovo Patto di stabilità e (de)crescita, in cui la visione dei governi frugali rischia di perpetuare, aggravandola, la logica pro-ciclica dell’austerity (Cesaratto; Clericetti). Ma l’austerity sottesa alle regole sul rientro dal debito è solo l’epifenomeno di una contraddizione più radicale. La visione sottesa alla proposta della Commissione e, ancor di più, alle contro-proposte di Germania e ‘frugali’, è quella di chi ignora le interdipendenze economiche tra Stati dell’UE: le implicazioni macroeconomiche negative che la depressione della domanda negli Stati più indebitati può avere sul resto dell’economia europea sono ignorate, al pari del danno che produce il contenimento della domanda in Stati meno indebitati (Guarascio, F. Zezza). Si progettano, dunque, allargamenti dell’UE contrabbandati per afflato solidaristico, mentre con la mano sinistra si predispongono dispositivi di de-crescita economica collettiva che pervicacemente ignorano proprio le interdipendenze degli Stati membri, ossia la dimensione complessiva dell’UE.

Per molto tempo l’integrazione europea (passando dalla CEE all’UE) ha danzato sul vuoto funzionalista dell’unione sempre più stretta tra i popoli europei (Somek, Rendl), per cui non è importante decidere assieme dove si sta andando, ma solo che si vada da qualche parte assieme (Hoffmann, cui debbo l’immagine del sonnambulismo europeo). Da alcuni anni quel vuoto ha assunto la dimensione geopolitica dell’unione sempre più larga, quasi a voler compensare l’inesistente avanzamento dell’integrazione politica, ossia della costruzione di un demos europeo. Se, tuttavia, un tempo ci si poteva anche beare del moto incessante senza direzione del funzionalismo, data l’irresponsabilità geopolitica dell’Europa stretta tra i due blocchi, dopo la sbornia unipolare degli anni Novanta e inizio Duemila e l’avviarsi del conflitto con la Russia, il moto incessante dell’allargamento ad Est è oggi una tecnica d’ipnosi molto più pericolosa. Con quali risorse politiche potrà gestirsi un allargamento che imporrà all’attuale UE un drastico ri-orientamento dei fondi di coesione, similmente a (ma più drammaticamente di) quanto prodottosi con l’allargamento ad Est del 2004-2007 a danno delle aree mediterranee? Possono ancora i sonnambuli cullarsi nell’eterno sogno di un mercato capace – nel lungo periodo – di rimediare a ogni carenza dell’intervento pubblico? Possiamo ancora illuderci che, abbandonata l’economia politica, il costituzionalismo potrà salvarsi l’anima scommettendo sull’esportazione di valori liberali, quali Stato di diritto e tutela dei diritti individuali e proprietari affidati all’indipendenza del potere giudiziario, oltre all’immancabile indipendenza delle banche centrali (Guazzarotti)? Non abbiamo piuttosto assistito a un moto inverso dei vasi comunicanti, per cui a essere influenzati dalle dinamiche socio-economiche, politiche e valoriali ‘esterne’ sono stati proprio i Paesi dell’Europa occidentale? Azzeramento dell’identità di classe dei lavoratori e competitività neoliberale è transitata dall’Est all’Ovest, piuttosto che l’inverso, così come il fascino esercitato da flat-tax e da forme di leaderismo populista. Per non parlare della rimessa in discussione dell’antifascismo alla base di costituzioni come la nostra, annacquato nella discutibilissima equiparazione con il comunismo che il Parlamento europeo ha avuto l’incoscienza di proclamare nella Risoluzione del 19 settembre 2019. Dalla lettura di quest’ultimo documento traspare tutta l’incapacità dell’Europa occidentale (che avrebbe dovuto essere consapevole del ruolo svolto dal compromesso tra capitale e lavoro, tra visioni liberali e socialiste) di indurre l’altra parte al duro lavoro della rielaborazione del proprio passato e della propria identità (Dani). Con l’appiattirsi sulle posizioni anti-sovietiche e anti-comuniste degli Stati europei centrorientali, invece, si è finito per legittimare le posizioni vittimistiche e auto-assolutorie di questi Paesi, sollevandoli da qualsiasi responsabilità per le scelte autoritarie e liberticide compiute tra le due Guerre. Di quale forza maieutica sarà capace l’attuale UE nei confronti di Stati dal passato così ambiguo come l’Ucraina?

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