Libertà di riunione e videoriprese di polizia: ancora sul “caso Apostolico”

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di Giacomo Menegus*

Questo giornale ha già dedicato uno spazio di riflessione al “caso” della giudice Apostolico, ripresa in un video – poi diffuso in rete dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti – mentre partecipava ad una manifestazione promossa da associazioni e movimenti in difesa dei migranti. In quella prima occasione, il focus dell’intervento di Roberto Bin era centrato sui diritti – e, tra questi, quello di riunione – di cui pur godono quanti ricoprono i delicati ruoli della magistratura giudicante e inquirente (v. qui).

Se si torna a distanza di più di due mesi sulla vicenda, è per affrontare un altro, rilevante aspetto, rimasto in ombra nelle risposte offerte dal Ministro degli Interni Piantedosi e dal Sottosegretario Molteni alle interrogazioni presentate da alcuni parlamentari di opposizione, e che prescinde dalla presenza della magistrata alla manifestazione in questione.

Il tema è quello delle videoriprese, effettuate dalle forze di polizia, delle riunioni svolte in luogo pubblico e dei relativi partecipanti.

Da quanto è dato apprendere dalle risposte di Ministro e Sottosegretario, nel nostro ordinamento la disciplina della raccolta, del trattamento e della conservazione di immagini audiovisive delle manifestazioni pubbliche è, in larghissima parte, rimessa ad atti di rango sub-legislativo.

La base legislativa per il quadro regolatorio è data dall’art. 1 T.u.l.p.s. – una disposizione che, se raffrontata alla specifica attività in questione, appare quantomeno vaga e generica – e dalla legge n. 121 del 1981. La disciplina sostanziale è formata invece da un Decreto del Ministero dell’Interno del 24 maggio 2017, che individua i trattamenti dei dati personali in questione e i relativi titolari, e da un successivo regolamento governativo (D.P.R. 15 gennaio 2018, n. 15) “recante l’individuazione delle modalità di attuazione dei principi del Codice in materia di protezione dei dati personali relativamente al trattamento dei dati effettuato, per le finalità di polizia, da organi, uffici e comandi di polizia”.

Dalla lettura di queste fonti, per quanto qui interessa, si ricava come l’utilizzo di sistemi di ripresa fotografica, video e audio “è consentito ove necessario per documentare: una specifica attività preventiva o repressiva di fatti di reato, situazioni dalle quali possano derivare minacce per l’ordine e la sicurezza pubblica o un pericolo per la vita e l’incolumità dell’operatore, o specifiche attività poste in essere durante il servizio che siano espressione di poteri autoritativi degli organi, uffici e comandi di polizia” (art. 23, D.P.R. n. 15/2018 – enfasi aggiunta), in conformità a una serie di principi di derivazione europea in materia di data protection, tra cui merita essere evidenziato l’espresso richiamo alla minimizzazione (si v. l’art. 23, comma 2, D.P.R. n. 15/2018, che prescrive la registrazione solo dei dati “indispensabili”).

Lo stesso regolamento individua in 3 anni dalla raccolta il termine massimo per la conservazione dei “dati raccolti mediante sistemi di ripresa fotografica, audio e video nei servizi di ordine pubblico” (art. 10, comma 3, lett. u), fatto salvo il possibile prolungamento dei termini in una serie di casi (ad es. quando i dati confluiscono in un procedimento penale).

Recentemente, il Garante della Privacy (parere n. 291 del 22 luglio 2021) ha avuto occasione di pronunciarsi sulla dotazione di specifiche body-cam “per l’acquisizione, la gestione e la conservazione delle immagini realizzate nel corso dei servizi di ordine pubblico”, in relazione alle cui registrazioni si è ritenuto congruo il termine massimo di conservazione di 6 mesi dalla raccolta.

A completare il quadro così sommariamente tracciato, può richiamarsi una circolare (555/VI/SD del 28 settembre 2023) del Capo della Polizia Gabrielli, nella quale – proprio partendo dal “caso Apostolico” – si precisa che “nei casi in cui sia necessario raccogliere la documentazione fotografica o audiovideo di specifiche attività di polizia (…) gli operatori possono utilizzare i dispositivi di ripresa privati (es. smartphone) quando siano indisponibili gli strumenti in dotazione a ciò destinati (es. body-cam, videocamere) o gli operatori adibiti allo specifico servizio”. Le riprese, prosegue la circolare, devono “essere tempestivamente trasferite sul supporto digitale messo a disposizione dall’ufficio incaricato di conservare la documentazione probatoria e cancellate dal dispositivo personale”.

A questo punto, interessa relativamente verificare a quale titolo l’agente, che (pare) abbia ripreso la manifestazione cui partecipava la giudice Apostolico il 25 agosto 2018 (quindi più di 5 anni fa), abbia conservato per tutti questi anni il video e lo abbia trasmesso a terzi estranei alle forze dell’ordine.

Quello che colpisce è piuttosto come la disciplina di un’attività così delicata sia:

a) rimessa, nella sostanza, a fonti sub-legislative non particolarmente puntuali o garantiste nel definire obblighi e limiti;

b) sia in parte integrata, per aspetti non secondari, da mere circolari;

c) sia ampiamente schiacciata sulle questioni della data protection, senza attenzione alcuna per le potenziali ricadute sulla libertà di riunione costituzionalmente tutelata.

Sorprendentemente questi aspetti non sono oggetto di dibattito pubblico in Italia né di particolare attenzione in dottrina. Sarebbe invece opportuno avviare una riflessione sul punto, soprattutto perché le videoriprese dei partecipanti ad una manifestazione costituiscono un’evidente interferenza nell’esercizio – se non una vera e propria limitazione – del diritto di riunione.

Chi dubitasse di tale affermazione farebbe bene a guardare a quanto avviene in Germania, ove – anche sulla scorta della giurisprudenza costituzionale in materia (BVerfGE 122, 342/369; 65, 1/43) – si ritiene che sia costituzionalmente tutelata, ai sensi dell’art. 8 GG, anche la libertà di riunione “interna”: la libertà di riunione e di manifestazione presuppone, nel suo contenuto di libertà, che i partecipanti alla riunione non debbano temere di essere sottoposti a sorveglianza da parte dello Stato a causa o in occasione dell’esercizio di tale diritto fondamentale. La registrazione della manifestazione potrebbe avere infatti un effetto intimidatorio o deterrente, dissuadendo i cittadini dal partecipare o dal tenere determinati comportamenti (pur legittimi) con una ricaduta negativa sul confronto democratico che la libertà di riunirsi pubblicamente alimenta (in dottrina si v. Dietel – Gintzel – Kniesel, Versammlungsgesetze, 18. Auf., 2019).

Per questa ragione, sia la legge federale (sin dal 1989) sia quelle di diversi Länder (i quali hanno competenza in materia dalla riforma costituzionale del 2006) contengono previsioni piuttosto articolate e precise in proposito.

Giusto per fare qualche esempio, basti dire che la Versammlungsfreiheitsgesetz (legge sulla libertà di riunione) di Berlino – riformata nel 2021 – prevede (§ 18 VersFG BE) che le registrazioni siano effettuate in modo palese e solo in presenza di “minacce significative alla pubblica sicurezza” (così anche la legge federale, § 12a (2) VersG), distinguendo tra riprese di singoli partecipanti e panoramiche. Di regola, si prescrive che le immagini siano cancellate immediatamente al termine della riunione, salvo per finalità espressamente indicate (per le quali si prevede un periodo di conservazione variabile), tra cui il perseguimento di reati o illeciti amministrativi, l’adozione di misure preventive, la documentazione di azioni di polizia o la formazione e addestramento delle forze di polizia (con una versione “anonimizzata” delle riprese). In favore delle persone interessate dalla registrazione sono previsti obblighi informativi e i motivi delle riprese e le diverse versioni audio-video delle stesse vanno documentati. Sulla stessa linea si colloca anche la legge dello Schleswig-Holstein (§ 16 VersFG SH), in cui si arriva a prevedere che, delle riprese, debba essere data comunicazione immediata agli organizzatori e alle persone interessate. La legge del Nordrhein-Westfalen – in relazione alla quale peraltro non sono mancate le critiche, anche in dottrina – prevede la possibilità di effettuare riprese occulte, ma le circonda di particolari garanzie (ad es. la comunicazione, al termine dell’impiego, al promotore della riunione).

L’esempio offerto dall’ordinamento tedesco non dev’essere considerato un caso isolato. In proposito giova ricordare come le Linee guida della Commissione di Venezia sulla libertà di riunione siano molto chiare non solo nell’indicare come l’attività di videoripresa dovrebbe essere “rigorosamente regolamentata”, ma anche nel paventare il potenziale effetto dissuasivo (“chilling effect”) che la sistematica registrazione delle manifestazioni pubbliche può determinare in danno all’esercizio di tale diritto.

Una revisione di rango legislativo del quadro normativo italiano – necessaria per rispettare appieno la riserva di legge implicita in materia di riunione – che prendesse sul serio i problemi descritti sarebbe quanto mai opportuna. Tanto più che si profilano sfide ben più complesse, quali ad esempio quelle poste dal possibile impiego dell’intelligenza artificiale nell’identificazione dei partecipanti ad una manifestazione (l’accordo appena raggiunto a livello europeo sul cd. AI Act – per il momento – circonda di particolari cautele l’impiego di tecniche di riconoscimento biometriche da parte delle forze di polizia, limitandolo a casi eccezionali). Si tratta d’altra parte di un’attività esclusa al momento da Ministro e Sottosegretario, ma le cui potenzialità nocive per le libertà fondamentali sono di per sé evidenti, soprattutto se la stessa disciplina che concerne la ripresa e la conservazione delle registrazioni delle manifestazioni dovesse rimanere piuttosto blanda e poco garantista come l’attuale.

* Questo articolo è prodotto nell’ambito della Mobilità Docenti all'estero - MO.DOC. A.A. 2023/24 – Università degli Studi di Macerata.
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