Tra decreti e decreti: l’importanza di usare lo strumento giusto

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di Giovanni Di Cosimo

In attesa di vedere come sarà la fase due, cerchiamo di capire meglio quel che è capitato finora. In estrema sintesi, è successo che per affrontare l’emergenza sanitaria il Governo abbia imposto una forte e inaudita limitazione delle libertà individuali dei cittadini. Confortato dalle indicazioni dei tecnici, ha ritenuto che il lockdown fosse indispensabile per fronteggiare l’emergenza sanitaria. Possiamo dire che l’impianto costituzionale abbia retto, proprio perché le limitazioni alla libertà sono strettamente finalizzate alla lotta al virus, complessivamente proporzionate a questo scopo, e sono a termine. Del resto, gli altri poteri dello Stato sono rimasti operativi, a partire dal legislativo, che però è finora rimasto ai margini della vicenda, schiacciato dall’attivismo del Governo.

Questo in generale. Ma ci sono alcuni quesiti a cui è necessario rispondere.

 

Illegittimità dei divieti? Vi sono state tuttavia alcune slabbrature, per esempio relativamente alla scelta degli strumenti normativi a disposizione del Governo, una questione tecnica che però assume rilievo più generale perché la scelta dello strumento finisce con l’impattare sulle libertà.

Vediamo meglio i termini della questione. Nelle situazioni d’emergenza è gioco forza ricorrere al decreto legge, che è lo strumento normativo che la Costituzione indica per i casi di straordinaria necessità ed urgenza. E infatti il 23 febbraio le misure limitative delle libertà individuali sono state introdotte proprio con decreto legge (dl 6/2020). Fra queste, figura il “divieto di allontanamento dal comune”, una misura che incide sulla libertà di circolazione tutelata dall’art. 16 della Costituzione.

Ma l’8 marzo un decreto del Presidente del Consiglio (dpcm) ha aggiunto un ulteriore divieto relativo allo spostamento delle persone all’interno dei territori comunali della regione Lombardia e di alcune province. Il divieto di spostamenti infra-comunali è stato poi esteso all’interno nazionale dal dpcm del giorno successivo.

Illegittimità del dpcm?

Il problema è che questa misura fuoriesce dal perimetro delineato dal dl 6/2020 che vieta soltanto il transito da un comune all’altro. Di qui la questione della sua legittimità. Per affrontarla occorre domandarsi quale sia la natura dei dpmc anticovid: sono atti amministrativi meramente esecutivi, oppure hanno natura regolamentare?

Se si opta per la prima ipotesi (atto meramente esecutivo), si deve constatare che introducendo l’ulteriore divieto il dpcm è andato oltre la stretta attuazione del decreto legge; ha allargato l’area dei comportamenti vietati esorbitando dall’elenco di misure contenuto nel dl 6/2020; una cosa è non poter transitare da un comune all’altro, un’altra non potersi spostare nell’ambito del proprio comune. E dunque il nuovo divieto è illegittimo perché il dpcm che l’ha introdotto non si è attenuto suo compito, ossia attuare la fonte primaria, ma ha innovato il sistema normativo, compito riservato alle fonti normative.

 

Incostituzionalità del decreto-legge?

Tuttavia, nel nostro caso, forse è preferibile la seconda ipotesi (atto di natura regolamentare), dato che i dpcm contengono misure che vietano comportamenti individuali e sanzionano penalmente le trasgressioni ai divieti, proprio come fanno di solito gli atti normativi. La seconda ipotesi deve fare i conti con la riserva di legge prevista dall’art. 16 della Costituzione. Secondo l’interpretazione prevalente si tratta di una riserva relativa che non esclude che alla disciplina concorrano le fonti secondarie fra le quali, per le ragioni dette, possiamo annoverare i dcpm anticovid, ai quali in ipotesi riconosciamo natura regolamentare.

L’attenzione si sposta allora sulla fonte primaria (il decreto legge) che autorizza il concorso della fonte secondaria (i dpcm). Infatti, il dl 6/2020 consente alle “autorità competenti” l’adozione con dpmc di ulteriori misure rispetto a quelle che elenca. Più precisamente, l’art. 2 del dl 6/2020 stabilisce che le autorità competenti “possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da Covid-19 anche fuori dai casi” indicati dall’articolo precedente che, appunto, elenca una serie di misure (e l’art. 3 chiarisce che queste ulteriori misure sono adottate con lo strumento del dpcm).

Il problema è che in tal modo l’art. 2 del decreto legge non circoscrive adeguatamente il potere che attribuisce alle autorità competenti; lascia un margine troppo ampio, che il Presidente del Consiglio ha sfruttato per limitare la libertà di circolazione con un divieto ulteriore. Tuttavia nel nostro sistema costituzionale esiste “l’imprescindibile necessità che in ogni conferimento di poteri amministrativi venga osservato il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Tale principio non consente «l’assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l’effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (…). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa.” (Corte cost.le, sent. 115/2011).

Se così è, bisogna concludere che l’art. 2 del dl 6/2020 è incostituzionale perché non circoscrivere il potere che concede al dpcm violando il principio di legalità sostanziale. A cascata ne segue che è illegittima la stessa previsione del dpcm che aggiunge l’ulteriore divieto di spostamento infra-comunale.

L’importanza di usare lo strumento giusto

Riassumendo: se riteniamo che il dpcm sia un atto meramente esecutivo è illegittimo perché ha innovato rispetto al decreto legge; se pensiamo invece che sia un atto di natura regolamentare, il problema si sposta sulla disposizione del decreto legge che non ne ha circoscritto il margine di azione, violando così la legalità sostanziale.

Tutto ciò porta a concludere che per rispettare l’art. 16 della Costituzione il Governo avrebbe dovuto utilizzare un atto con forza di legge (il decreto legge). E dunque, quando ha ritenuto di introdurre il divieto degli spostamenti infra-comunali, non ha scelto bene fra i vari strumenti normativi a sua disposizione, con la conseguenza che ha illegittimamente limitato la libertà di circolazione. Fra l’altro, la scelta dello strumento del decreto legge avrebbe implicato una procedura più garantista (con un passaggio anche dalle parti del Quirinale) e avrebbe consentito al Parlamento di esprimersi sul punto in sede di conversione del decreto legge.

La consapevolezza di questi aspetti critici ha probabilmente spinto il Governo a includere il divieto di spostamenti all’interno del comune in nuovo decreto legge (dl 19/2020). Al contempo, questo provvedimento adottato il 25 marzo sana gli effetti prodotti sulla base del dl 6/2020. Ma c’è da dubitare che sia sufficiente a chiudere la partita, dal momento che l’incostituzionalità dell’art. 2 del primo decreto comporta verosimilmente l’illegittimità degli effetti prodotti.

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