Il Governo non deve discutere con l’opposizione, se non in Parlamento

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di Roberto Bin

Sembra che l’appello del presidente Mattarella all’unità politica debba tradursi nel diritto delle opposizioni a essere sentite dal Governo e nel suo impegno a tenere in conto le loro proposte. Ma non è così, o quantomeno non è questa la strada indicata dalla Costituzione.

Le opposizioni hanno tutto il diritto di avanzare le loro proposte e discutere quelle che vengono dal Governo e dalle forze di maggioranza. C’è un luogo in cui tutto questo deve avvenire, si chiama Parlamento. L’interlocutore delle forze di minoranza sono anzitutto le forze di maggioranza: il dibattito parlamentare serve a questo.

Tutti  auspichiamo che il Governo metta presto a fuoco un programma di attività diretto al rilancio del Paese. E’ chiaro che a una simile impresa il Governo non potrà accingersi senza sentire tutte le forze produttive e le organizzazioni sociali, che è opportuno ascoltare e le cui proposte devono essere soppesate. Ci sono queste proposte? Per il momento si sentono soprattutto critiche, facili rampogne dettate dal senno di poi: proposte – cioè progetti che abbiano superato il confronto con il principio di realtà – ce ne sono ancora poche, francamente, ma forse verranno. Dopodiché il Governo dovrà discutere nel suo seno il  programma e poi renderlo pubblico e affrontare un dibattito parlamentare: è in quella sede che le opposizioni devono disporre di tutto il tempo per farsi sentire, per criticare e controproporre. Quella è la sede giusta, quella tipica di una democrazia parlamentare. Accordi tra Governo e opposizioni, fuori da quella sede, non sono ammessi.

L’altro giorno, però, Matteo Renzi, intervistato da SkyTG24 in occasione della presentazione del suo libro, La mossa del cavallo, ha spiegato che, nell’epoca dei sondaggi, delle news e dei tweet, “la democrazia parlamentare è percepita come arcaica”. Poi l’intervista si è purtroppo interrotta e siamo rimasti in sospeso. Era un discorso partito dall’idea dell’elezione del “Sindaco d’Italia”, per cui non prometteva molto. Ma il poco detto appare preoccupante. Certo, a chi pensa che la politica si faccia sui social e via tweet (idea congeniale a Trump, sfottuto dalla stampa americana come Tweeter-in-chief , dopo che lui aveva annunciato che di fronte al Coronavirus avrebbe assunto il ruolo costituzionale di Commander-in-chief) è logico che il sistema parlamentare sembri obsoleto, una perdita di tempo. La cultura della politica di plastica e dei partiti nati in televisione a questo conduce.

Ma come si realizzerebbe l'”unità morale” della politica italiana all’epoca dei social? Come dovrebbe realizzarsi l’incontro tra Governo e opposizioni? Dovrebbe essere accompagnato anche da un incontro tra Governo e partiti di maggioranza? E dovrebbe concludersi con interviste e commenti televisivi o ci penserebbe Bruno Vespa a Porta a portai? Un’unica serata, o una per la maggioranza e una per le opposizioni? E il Governo? potrebbe essere rappresentato dal suo leader o forse dovrebbe partecipare qualche ministro, magari uno per ogni “anima” politica della sua maggioranza? Già, ma Renzi dove starebbe? Elementari esigenze di visibilità – costituzionalmente necessarie nella politica di plastica – imporrebbero una serata tutta per lui…

 Come tutta la plastica, anche la politica di plastica è fortemente inquinante. Inquina le istituzioni democratiche. E forse un richiamo da parte del Presidente Mattarella, sempre molto attento alla difesa del quadro istituzionale, sarebbe davvero opportuno per definire il tracciato costituzionale nel quale la politica dovrà muoversi nelle prossime settimane.

 

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2 commenti su “Il Governo non deve discutere con l’opposizione, se non in Parlamento”

  1. Penso invece che (contrariamente a quello che scrive, in fondo, anche il prof. Bin pensi che ) il governo debba discutere con tutti, forze parlamentari e attori (a volte chiamati rappresentanti) della società civile, economica ed accademica. Dovrebbe fare meno annunci, parlare meno, e agire concretamente, fare di più. Al governo spetta l’iniziativa e la formulazione di un programma concreto, da approvare dalle camere. Questo compito richiederebbe persone capaci (sine quibus non), oneste (perché sono giudicate, sempre, e soprattutto alle elezioni) e coraggiose (perché dovrebbero pensare all’interesse di medio-lungo termine). Dove sono?
    E’ la maggioranza parlamentare – non il governo – che deve discutere con le opposizioni in parlamento, cioè pubblicamente e democraticamente. Il governo si deve spiegare in parlamento, il quale è il garante dell’efficienza soggettiva ed oggettiva (interesse della comunità) e della trasparenza (condizione della responsabilità) dell’azione governativa. Lo fa?
    Ma non basta. Governo e maggioranza sono impotenti, se non sono appoggiati da un ampio consenso, non tanto nell’opinione pubblica (la quale conta nelle elezioni) quanto nell’apparato amministrativo, economico ed accademico del paese, indispensabile per affinare ed applicare il programma. Dov’è il piano strategico supportato dagli esperti, un piano più o men o condiviso per le riforme che si attendono da 30 anni? Si, da 30 anni, non dall’inizio della pandemia.
    Da tre mesi il governo è impegnato – oltre la lotta all’epidemia e le misure contingenti per limitarne gli effetti economici – in una battaglia su due fronti, uno esterno e uno interno, partner europei, opinione pubblica, opposizioni, per ottenere ingenti risorse europee senza condizioni, cioè salvaguardando la propria (relativa) autonomia. Sembra accorgersi solo ora che la parte più difficile non è l’accesso alle risorse (che comunque sono sempre tasse o debiti, e in larga misura nazionali, direttamente o indirettamente), ma un piano valido, virtuoso, lungimirante per spenderle. Chi determinerà tale piano? Formalmente il governo e la maggioranza, ovviamente. Ma chi ne fisserà le condizioni? Lentamente la verità sta venendo a galla. La risposta dipende dal tipo di governo, populista o non, se dirà la verità all’opinione, o se la camufferà in una nuova prestidigitazione retorica in cui il paese eccelle.
    L’incapacità del paese di formulare un tale piano – che nelle grandi linee dovrebbe essere pronto da anni, perché l’epidemia è solo una circostanza che accentua inefficienze e difetti preesistenti – non è solo colpa della politica (nel doppio senso della parola, delle istituzioni reali, inadeguate, e degli attori prodotti dalle strutture vigenti), ma di tutti coloro che invece di comprendere la realtà hanno partecipato al coro che rivendicava solidarietà senza condizioni (mi riferisco anche ai numerosi articoli pubblicati su questo forum, ma smentiti o corretti dai loro autori).
    Le condizioni sono tutto: sono il diritto, la giustizia, l’efficienza, l’utilità, la conformità …. Vedremo chi le detterà (formulerà, approverà, applicherà).
    Siamo nel cuore del diritto costituzionale, inteso come teoria che sovrasta le regole positive.

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