È noto come il funzionamento di un ordinamento costituzionale che si basa sulla forma di governo parlamentare è condizionato in profondità dalle forze politiche che agiscono all’interno del sistema democratico.
Se il corpo elettorale è chiamato ad individuare i suoi rappresentanti – i parlamentari – è in capo a costoro che risiede la delicata e fondamentale responsabilità di fare nascere il Governo piuttosto che determinarne la fine, stante la necessaria connessione istituzionale, attraverso il rapporto fiduciario, tra tale organo e l’organo parlamentare. Tra i parlamentari e coloro che potrebbero (e in qualche caso desiderano) assumere un ruolo di governo, a cominciare dal Presidente del Consiglio, è evidente che si debbano considerare i partiti politici che restano fattori determinanti del sistema costituzionale destinati ad orientare in un senso o nell’altro la maggioranza governativa e la stessa struttura dell’Esecutivo: a maggior ragione ove non sussistano le condizioni, politiche e numeriche, per dar vita ad un Governo espressione di una singola forza maggioritaria presso le due Camere elettive previste nell’ordinamento italiano. Questo assunto di partenza ovviamente non è una novità e, in ogni caso, non sarà superato in questa Legislatura e neppure con l’inizio di quella successiva che prima o poi verrà in essere.
Sin dall’avvio della Legislatura, del resto, spetta alle formazioni politiche, più o meno strutturate e consolidate nel sistema intorno alle rispettive leadership, predisporre l’offerta elettorale rispetto alla quale si misureranno i consensi degli elettori dai quali ovviamente dipenderanno i successivi equilibri all’interno delle Camere: è evidente che il “peso elettorale” che si traduce in seggi conquistati rappresenta pur sempre un elemento di forza o di debolezza allorché i partiti trattano tra loro per cercare di dare vita ad una coalizione di maggioranza. Nonostante la posizione di autonomia costituzionale assicurata a ciascun deputato e senatore all’interno della Camera di appartenenza, i partiti restano strutture collettive così come la loro stessa configurazione parlamentare, vale a dire i “gruppi” cui occorre necessariamente aderire da parte di ogni “eletto”.
Tale ulteriore richiamo all’organizzazione interna degli organi parlamentari può essere utile ove si pensi che la maggioranza destinata a consentire la permanenza in carica del Governo (ma anche la sua “forza politica” da spendere, ad esempio, sul piano internazionale: si pensi appunto alla vastità del consenso di cui gode il Governo Draghi), almeno sino a quando sussiste la evocata relazione fiduciaria, finisce sempre per essere espressione nell’ordinamento italiano di una pluralità di forze politiche, ciascuna delle quali non può essere considerata una meccanica riproduzione della volontà suprema del rispettivo capo o leader. Anche laddove la formazione di gruppi o di componenti interne ai gruppi nascondono “manovre” parlamentari addebitabili allo “stratega” del momento, coloro che aderiscono alla strategia, rendendola fruttuosa, normalmente attendono fiduciosi di riscuotere il dividendo promesso al quale non sono disposti a rinunciare, cosicché nessun gruppo, per quanto piccolo, potrà essere davvero (e comunque per molto tempo) etero-diretto da un capo carismatico!
Quello che colpisce nella “querelle” che investe il ruolo assegnato al Presidente Conte e, correlativamente, quello di “garante” che dovrebbe essere mantenuto da Grillo nella ipotizzata rifondazione del Movimento 5 Stelle (già forza politica di maggioranza relativa in occasione dell’ultimo voto politico dell’aprile 2018 e sempre coinvolta nei tre Esecutivi che si sono sinora succeduti, due dei quali presieduti dallo stesso Conte, sebbene con il sostegno parlamentare di differenti gruppi) è la strutturazione verticistica del dibattito interno a quella forza politica, le cui fortune, avviatesi sin dal voto del 2013, sembravano viceversa da ricondurre ad una effettivamente sui generis condivisione “dal basso” dell’innovativo “movimento politico”, emerso nello scenario italiano ben lontano dai partiti tradizionali in netta regressione di consensi. In realtà, a voler ben vedere, la strategia originaria e la stessa esaltazione del web (e del blog nel dominio di Grillo) di quel movimento – le cui venature, per così dire, ingenuamente astratte erano comunque ben evidenti ed esaltate dalla certo perseguita distanza con il consolidato sistema politico al cui superamento si intendeva, in solitudine provvedere, recuperando una dimensione addirittura prepolitica , quale il ripristino della legalità e dell’onesta comportamentale prima di tutto degli eletti, identificati enfaticamente come “portavoce” – nascondevano una malformazione genetica destinata inesorabilmente a manifestarsi non appena avrebbe provato ad essere una forza politica impegnata, non in solitudine ma insieme alle altre, ad assumersi la responsabilità di dare vita ad un Governo, destinato, come tutti i Governi, a realizzare un “certo” indirizzo politico che ovviamente individua obiettivi da cogliere e scelte da realizzare qui, ora e adesso e non nel 2050! E come in effetti è accaduto e non poteva che accadere a meno di non pensare effettivamente che il Movimento avrebbe potuto resistere al di fuori di qualsiasi “contaminazione” con tutte le altre forze politiche, ma nel contempo crescere sempre più nei consensi pur se ai margini dei processi decisionali interni ed internazionali (magari neppure partecipando ai dibattiti televisivi con i suoi rappresentanti chiamati, bene o male, ad assolvere la funzione parlamentare affidandosi per raggiungere il “grande pubblico” estraneo al web ai soli responsabili della comunicazione selezionati da Grillo o chi per lui), così da prepararsi ad esprimere forse, solo al momento debito, un Governo a 5 Stelle!
A me pare che il problema che si trova ad avere davanti quel che resta dell’originario Movimento non è solo stabilire se Conte avrà o non avrà mano libera nella definizione del nuovo Statuto e delle strategie che da adesso in avanti dovranno essere individuate in questa stessa Legislatura (a partire dalla elezione del Capo dello Stato): e che cosa, di contro, dovrà rimanere nella capacità decisionale del suo fondatore Grillo, quanto piuttosto quale tipologia di forza politica (a partire da una finalmente riconoscibile curvatura ideologia novecentesca, mi verrebbe da suggerire) è destinata ad essere nel “merito” il rinnovato partito se vorrà continuare nella sua “missione” di incalzare e superare (tuttavia non già ignorare) le forze politiche più tradizionali; le quali nel frattempo, come è naturale, non resteranno ferme ad attendere quale sarà il destino di quella che è stata la forza politica di maggioranza relativa nell’ordinamento italiano e che tale certamente non è più da tempo.
In ogni caso, a questo punto, il tema di ordine generale riguarda prima di ogni altra cosa i deputati e i senatori che in questo momento si riconoscono ancora nel Movimento e nei gruppi parlamentari di riferimento. Sono loro, gli eletti – in primo luogo portavoce di loro stessi e che tali rimarranno sino alla fine di questa Legislatura – ad avere un peso decisivo in questa “partita” tra Conte e Grillo e nessuno può davvero pensare che i parlamentari in carica potranno restare indifferenti innanzitutto alla loro sorte personale. La scommessa, almeno quella che ha pregio istituzionale, è tutta qui: si riuscirà, tenendo uniti i gruppi (già abbastanza ridimensionati per diverse ragioni rispetto all’inizio della Legislatura), a rilanciare il Movimento rendendolo sostanzialmente simile ad un partito “classico” che nessuno voleva al tempo del “vaffa” e che ancora adesso nessuno può dire di voler costruire – neppure Conte – senza sembrare paradossale, smentire clamorosamente la “storia”, tutto sommato recente dei “grillini” con il rischio di perdere ulteriormente consensi?
La nemesi che è toccata al Movimento di Grillo e Casaleggio senior, a voler ben guardare, è implacabile: si è giunti al punto di sforzarsi per dar vita, in corsa, ad un partito partendo da una sgradevole e imbarazzante contesa intorno alla effettiva leadership, dovendosi realisticamente prendere atto di un fallimento strategico che, alla lunga, non poteva funzionare nel contesto ordinamentale dato. E allora, essere attenti a tutti i risvolti istituzionali che si presentano lungo il percorso per ascendere al “potere”, quando si pensa ad un nuovo soggetto politico attraverso il quale si pensa di chiedere consenso per poter incidere nella realtà ordinamentale è, egualmente, più che uno dei prerequisiti di partenza da considerare insieme agli altri, una necessità democratica; certamente, partire dallo strumento “partito politico” non rappresenta per nulla una regressione storica, occorre saperlo da subito senza inseguire fantastiche ma improponibili “rivoluzioni politiche” per via tecnologica.